- Memoria dei Santi Barsanufio e Giovanni, di Gaza
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
Τῷ αὐτῷ μηνὶ ς’, μνήμη τοῦ ὁσίου Πατρὸς ἡμῶν Βαρσανουφίου.
Ἐκ γῆς συνέστη σῶμα Βαρσανουφίου. Καὶ γῆν ὑπῆλθε, τὴν ἑαυτοῦ μητέρα.
Τῇ αὐτῇ ἡμέρᾳ, μνήμη τοῦ ὁσίου Πατρὸς ἡμῶν Ἰωάννου τοῦ ἐπικαλουμένου Προφήτου, μαθητοῦ τοῦ ἁγίου Βαρσανουφίου.
Δίκαιόν ἐστιν, ὦ Ἰωάννη, ἅμα. Τάττειν σε ᾧδε, τῷ φίλῳ διδασκάλῳ.
San Barsanufio il grande, originario dell’Egitto, e il suo discepolo Giovanni il profeta lottarono spiritualmente in severa ascesi durante il VI secolo nel monastero dell’Abba Serido a Gaza in Palestina. Possedevano carismi non comuni di profezia e discernimento spirituale. Sono ricordati da San Doroteo di Gaza, loro discepolo, nei suoi scritti. Molti dei consigli che inviarono per iscritto ai fedeli che si rivolgevano a loro sono conservati nel libro che riporta i loro nomi.
Una volta alcuni Padri chiesero a San Barsanufio di pregare Dio perché trattenesse la sua collera e risparmiasse il mondo. Il Santo rispose che c’erano “tre uomini perfetti al cospetto di Dio” le sui preghiere si univano presso il trono di Dio e proteggevano il mondo intero; a quelli era stato rivelato che l’ira di Dio non sarebbe durata a lungo. Questi tre, aggiunse, erano “Giovanni di Roma, Elia di Corinto e un altro nella diocesi di Gerusalemme”, coprendo il nome dell’ultimo, dal momento che si trattava di lui stesso.
- Memoria del nostro Santo Padre FOZIO il Confessore, Patriarca di Costantinopoli
a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria
Il 6 di questo mese, memoria del nostro Santo Padre FOZIO il Confessore, Patriarca di Costantinopoli.
Il nostro Santo Padre Fozio il Grande nacque nell’820 da una famiglia dell’alta nobiltà bizantina. Suo padre, Sergio, era il fratello del Patriarca Tarasio (+25 febb.) ed il fratello di sua madre Irene aveva sposato la sorella dell’imperatrice Teodora. I suoi congiunti amavano i monaci e soffrirono il martirio durante la persecuzione iconoclasta, lasciando così ai loro figli in eredità un bene più prezioso della nobiltà e della fortuna: l’amore per la vera fede fino alla morte. Dotato da Dio di attitudini intellettuali eccezionali, il giovane Fozio ricevette una educazione delle più raffinate in tutte le scienze sia profane che sacre. Egli trascorreva notti intere in studio, non lasciandosi scappare alcun campo della conoscenza di allora, e acquistò così un sapere universale che fece di lui l’uomo più sapiente dei suoi tempi e la figura centrale del rinascimento intellettuale di Bisanzio dopo la tormenta iconoclasta. Egli divenne in seguito un rinomato professore di filosofia aristotelica e di teologia all’università imperiale fondata nel palazzo di Magnaura. Inviato in missione diplomatica presso il califfo di Baghdad, egli redasse a memoria, indirizzata a suo fratello, la sua Myrobiblos (Biblioteca): riassunto critico di circa 280 opere di tutte le nature, testimonianza della vastità della sua conoscenza. Questa missione essendo stata coronata da successo, gli fece ricevere al ritorno la carica di direttore della cancelleria imperiale (Protoasecretis), senza pertanto fargli abbandonare i suoi compiti professorali ed i suoi amati studi.
Nell’857, lo zio dell’imperatore Michele III, Bardas, prese il potere politico con il titolo di cesare. Per vendicarsi del Patriarca Sant’Ignazio (+23 ott.) che aveva disapprovato i suoi costumi, lo costrinse a dimettersi dalla carica e fece eleggere, contro la sua volontà, dal clero unanime, il pio e saggio Fozio. Preferendo piuttosto la morte a questo compito così pericoloso in un periodo tanto turbolento, costui resistette quanto più poté all’ingiunzione e alle minacce, ma alla fine, in lacrime, cedette finalmente ed accettò di abbandonare la pace del suo studio e gli intrattenimenti filosofici con i suoi amici spirituali per essere ordinato Patriarca di Costantinopoli, il 25 dicembre 858, dopo aver scalato, in sessanta giorni, tutti gli scalini della gerarchia ecclesiastica. Inviando la sua professione di fede al Papa di Roma, egli scriveva:<< È involontariamente che siamo stati elevati ed è come prigionieri che noi sediamo … >>. I partigiani estremisti di Ignazio cominciarono allora ad opporsi al nuovo Patriarca con ogni sorta d’intrigo, protestando per la grande irregolarità della sua elevazione al seggio patriarcale, dallo stato laico al grado supremo della gerarchia ecclesiastica. Fozio, quanto a lui, cercava di evitare tutte le dispute e cercava di fare ciò che era in suo potere per ristabilire l’unità e la pace nella Chiesa, legandola nel vincolo della carità. Egli si sforzò di liquidare i resti delle eresie manichee e iconoclaste, intraprese la restaurazione di chiese, di monasteri e di istituti di beneficienza, che erano state vittime del vandalismo iconoclasta, e mostrò un talento particolare per organizzare le missioni di evangelizzazione presso i popoli barbari. Malgrado i suoi sforzi per calmare i partigiani di Ignazio e deplorando molto le violente repressioni condotte contro di essi dal governatore, fu costretto a riunire un concilio (859) che confermò la deposizione di Ignazio e lo inviò in esilio prima a Mitilene e poi a Trebisonda. Poiché le agitazioni non si erano sedate, si riunì un altro concilio nell’861, nella chiesa dei Santi Apostoli in presenza dei legati del Papa, conosciuto sotto il nome di Concilio <>, nel tentativo ufficiale di sanzionare la restaurazione dell’Ortodossia e di condannare definitivamente l’iconoclastia. Ma oltre questo ruolo dogmatico, il concilio riconobbe la validità della nomina di Fozio, con la piena adesione dei legati che, sebbene agissero contro gli ordini del Papa, pensavano così di far trionfare l’autorità romana.
L’arrogante e ambizioso Papa Nicolò I (858-868) abbracciando la causa di Ignazio, aveva visto in questo affare l’occasione di affermare, per la prima volta in maniera così manifesta nella storia della Chiesa, la pretesa dei papi di Roma circa la giurisdizione << su tutta la Terra e sulla Chiesa universale >>. Da primato d’onore e da potere d’arbitro in materia dogmatica, che gli era sempre stato riconosciuto dalla altre Chiese, in particolare durante le grandi eresie guidate dagli imperatori bizantini ( arianesimo, monotelismo, iconoclastia ) si vide in effetti in questo periodo il papato riprendere a suo conto la pretesa egemonica dell’impero franco, fallita con la morte di Carlo Magno e il trattato di Verdun (843). Sotto iniziative di Papi dal carattere arbitrario, il papato cercò d’imporre la sua supremazia sulla Chiesa universale la quale supremazia, trasmessa ad essa dallo stesso Cristo, gli dava il diritto d’immischiarsi negli affari interni delle altre Chiese e d’imporre dappertutto gli usi della chiesa Romana ( celibato del clero, digiuno di sabato, utilizzo del pane azzimo per l’Eucarestia, etc … ).
L’opposizione di Papa Nicolò I e la sua ingerenza negli affari della Chiesa bizantina, allorché egli veniva solo sollecitato per sentenziare l’iconoclastia, spinse Fozio a denunciare le innovazioni della Chiesa Romana. Egli così scriveva:<< L’abolizione di piccole cose trasmesse dalla tradizione conduce al disprezzo completo dei dogmi >>. Questa reazione provocò il furore del Papa che scrisse allora a tutti i vescovi d’Oriente accusando Fozio d’adulterio giacché aveva occupato il seggio del vivente suo titolare legittimo e decretò di propria iniziativa la deposizione del Patriarca di Costantinopoli, fatto fino allora non successo. Egli decise inoltre che le decisioni del concilio dell’861 erano invalidate, invocando il diritto dei Papi a giudicare i concili. E non si fermò qui. Nell’863, convocò a Roma un concilio di vescovi occidentali che decise la deposizione di Fozio e scomunicò tutto il clero ordinato da lui. Alle obiezioni dell’imperatore Michele III il Papa dichiarò, nell’865, di aver ricevuto da Cristo stesso la supremazia sulla Chiesa universale e di potere per questo motivo intervenire negli affari interni delle altre Chiese. Poi in una serie di lettere, egli coprì Fozio di una lunga serie d’ingiurie non meritevoli di alcuna risposta da parte di un vero discepolo del Salvatore.
Malgrado le opposizioni e le preoccupazioni, il Santo Patriarca proseguì non meno la sua attività apostolica. D’accordo con l’imperatore organizzò le missioni d’evangelizzazione presso i popoli slavi. Per fare ciò fece appello al suo collega ed amico, il sapiente Costantino, che noi veneriamo sotto il nome di San Cirillo, ed a suo fratello Metodio, asceta del Monte Olimpo, per intraprendere una prima missione presso i Kazari della Russia del Sud. Un po’ dopo, alla domanda del principe di Moravia, inviò i due fratelli per un grande missione che segnò l’inizio della conversione delle popolazioni slave dei Balcani.
Nello stesso tempo, il principe di Bulgaria Boris ( Michele ), che era venuto per essere battezzato da Fozio, con l’imperatore Michele come padrino, trascinando dietro a lui tutta la sua nazione verso il Cristianesimo, se ne andò da Bisanzio, che aveva rifiutato di accordargli un patriarca, per fare appello a Roma (866). Afferrando al volo questa occasione che rispondeva così bene alle sue ambizioni, il Papa inviò subito dei missionari latini in Bulgaria, con l’ordine di diffondere le loro innovazioni in questa giovane Chiesa evangelizzata dai bizantini, in particolare il Filioque nel Simbolo di Fede. Davanti al pericolo di queste innovazioni che attentavano al dogma della Santa Trinità stessa, San Fozio stabilì che era venuto il tempo << per i docili di divenire combattenti >> (Gioele 4,9) e che bisognava rompere il silenzio per passare alla risposta. Egli indirizzò una lettera enciclica a tutti i vescovi d’Oriente nella quale condannava energicamente gli errori latini, in particolare il Filioque. Poi convocò un grande concilio a Costantinopoli, nell’867, che proclamò la dottrina ortodossa vittoriosa su tutte le eresie e scomunicò il Papa Nicolò e i suoi missionari in Bulgaria. Uno scisma ufficiale separò così le due Chiese, precursore della rottura definitiva del 1054.
Frattanto verso la fine dell’anno 867, dopo l’assassinio dell’imperatore Michele III, l’imperatore Basilio I (867-886), salì sul trono fondando la dinastia macedone. Egli fece subito deporre San Fozio e lo fece imprigionare nel monastero della Protezione e ridiede a Sant’Ignazio la sua carica. A dispetto degli interventi pacifici di Sant’Ignazio, i nemici di Fozio, cominciarono a condurre una persecuzione in piena regola contro tutto il clero che egli aveva ordinato. Davanti a tali agitazioni, Basilio I credette opportuno rimettere a Roma il giudizio tra i due pretendenti al seggio patriarcale. Il successore di Niccolò I, Adriano II, approfittò di questo inaspettato guadagno offerto dall’imperatore e riunì un concilio (869) che condannò di nuovo Fozio, dichiarò non valido il concilio dell’867 bruciando pubblicamente i suoi atti e indisse la riunione di un concilio a Costantinopoli. Questo folle concilio, chiamato dai Latini << Ottavo Concilio Ecumenico >> riunì nell’869-870 dei vescovi poco numerosi, per timore dell’imperatore e per vigliaccheria condannarono il Faro della Chiesa e fecero esiliare i suoi partigiani all’estremità dell’impero. Più di 200 vescovi furono allora deposti e molti preti furono ridotti allo stato laico. Trascinato come un malfattore avanti al sinodo e intimato a rispondere alle accuse rivolte contro di lui, il santo prelato rispose dopo un lungo silenzio:<< Dio ascolta la voce di colui che tace. Poiché Gesù stesso conservando il silenzio non è sfuggito alla condanna >>. Poiché si insisteva, egli rispose:<< La mia giustificazione non è di questo mondo >>. Degno imitatore della passione del molto dolce e paziente Gesù, il Santo benché ammalato, sopportò per ben tre anni tutte le pene di una rude incarcerazione, la privazione di ogni compagnia e soprattutto dei suoi libri, senza una lamentela, senza mai accusa Ignazio, innocente tra tali crudeltà, non pensando ad altro che ad incoraggiare per lettera i suoi amici sofferenti ed a pregare per l’imperatore e per i suoi persecutori.
Durante questo tempo, i vescovi, avendo compreso che il loro vile opportunismo li aveva condannati a sottomettere la Chiesa bizantina al despotismo romano, persuasero l’imperatore ad invalidare le decisioni del concilio dell’870 ed a liberare Fozio. Il sovrano convocò allora il Santo con grandi onori e lo nominò precettore dei suoi bambini. Il primo gesto di Fozio fu allora quello di precipitarsi presso Ignazio, per riconciliarci con lui. I due Santi, vittime delle rivalità fra le parti che si erano servite dei loro nomi, si abbracciarono calorosamente e, Fozio diede tutta la sua assistenza al vecchio Patriarca malato, che visitava quotidianamente. Alla morte di San Ignazio, il 23 ottobre 877, la Chiesa unanime rimpiazzò Fozio sul Trono Patriarcale. Poco tempo dopo fu lo stesso Fozio che introdusse la celebrazione di Sant’Ignazio. È dunque a giusto titolo che la Chiesa riunisce i due Santi in un unico elogio nel Synodikon la domenica dell’Ortodossia: << Eterna memoria ai molto Santi ortodossi e molto illustri Fozio e Ignazio! >>. Un concilio riunì inseguito a Costantinopoli 383 Padre (879-880), sotto la presidenza di Fozio ed in presenza dei legati del Papa. Essi confermarono la riabilitazione del Patriarca, annullarono il concilio dell’869 e ristabilirono la Comunione tra le due Chiese, scomunicando tutte le innovazioni, in particolare l’aggiunta eretica nel Simbolo di Fede. Il più grande desiderio del prelato era esaudito: il ristabilirsi dell’unità e della pace nella Chiesa. Egli riprese subito il suo compito di pacificazione, proponendo caritatevolmente ai suoi nemici la riconciliazione e prendendosi senza alcun rancore la cura paternale dei partigiani d’Ignazio. Quando Leone VI il saggio successe a suo padre sul trono, desideroso di vendicarsi di un amico di Fozio, che, aveva, egli credeva, denunciato a suo padre il complotto che egli aveva tramato contro di lui, depose senza giudizio il Santo Patriarca (886) e lo fece rinchiudere come un malfattore nel Monastero degli Armeni, dove il Santo rimase recluso per ben cinque anni, privato di ogni consolazione umana ma, brillante come l’oro provato nella fornace delle prove. Fu allora che redasse, senza l’aiuto di alcun libro la sua Mistagogia del Santo Spirito: rifiuto sistemico dell’eresia del Filioque, nella quale dimostrava che il Santo Spirito procedeva eternamente dalla Persona del Padre, la Sorgente delle Divinità, ed inviata a noi dal Figlio, per renderci partecipi della natura divina. Lasciando questo trattato a guisa di testamento alla Santa Chiesa in vista di combattimenti a venire, egli partì a raggiungere il Coro dei Santi Padri e dei Dottori, il 6 febbraio 891.
I miracoli che abbondarono ben presto sulla sua tomba contribuirono essi stessi a convertire i suoi più grandi nemici. Umile silenzioso e paziente nelle tribolazioni, questo confessore della Fede, ingiustamente tacciato di fanatismo dai suoi nemici, resta uno dei grandi luminari dell’Ortodossia ed uno dei testimoni più autentici dello spirito evangelico.
Parti delle Sante Reliquie del Santo si trovano nei Monasteri di Dionisiou e di Xenofontos della Santa Montagna dell’Athos e nel Monastero di Kykko.
- Memoria del venerando Saba
Archimandrita Antonio Scordino
Saba, figlio dei santi Cristoforo e Kalì, asceta nell’undicesimo secolo.
- Memoria della santa martire Dorotea, delle martiri Callista e Cristina e del martire Teofilo
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
La santa martire Dorotea, le martiri Cristina e Callista e il martire Teofilo vivevano a Cesarea di Cappadocia.
Subirono il martirio al tempo dell’imperatore Diocleziano, circa nel 288.
Santa Dorotea era una pia ragazza cristiana, che si distingueva per bellezza, umiltà, prudenza e per una particolare saggezza, vero dono di Dio, di cui molti restavano meravigliati. Arrestata su ordine del governatore Sapricio, confessò con fermezza la sua fede in Cristo, e subì le torture. Non riuscendo nell’obiettivo di piegare la volontà della Santa, il governatore le inviò due donne, le sorelle Cristina e Callista, che una volta erano cristiane, ma temendo la tortura, avevano rinunciato a Cristo e cominciato a condurre una vita peccaminosa. Il governatore ordinò loro di indurre Dorotea ad offrire sacrifici alle divinità pagane, ma accadde esattamente il contrario. Santa Dorotea le convinse che la misericordia di Dio è assicurata per coloro che si pentono, così quelle si ravvedettero e ritornarono a Cristo. I carcerieri le legarono schiena contro schiena e le immersero in una vasca di catrame bollente. Attraverso il martirio, Cristina e Callista espiarono il loro peccato di apostasia, ricevendo da Dio non solo il perdono, ma anche la corona della vittoria.
Santa Dorotea fu sottoposta di nuovo a torture, ma le sopportò lieta e accettò la condanna a morte. Gridò dalla gioia, ringraziando Cristo di chiamarla in paradiso e alla celeste camera nuziale. Mentre conducevano la Santa all’esecuzione, Teofilo, uno dei consiglieri del governatore, la derideva e le disse: “Sposa di Cristo, mandami una mela e delle rose dal Paradiso del tuo Sposo”. La martire annuì e gli rispose: “Lo farò”.
Arrivati al luogo dell’esecuzione, la martire chiese un po’ di tempo per pregare. Quando finì, un angelo le apparve davanti nelle sembianze di un bellissimo fanciullo, portandole tre mele e tre rose su un panno di puro lino. La Santa chiese che venissero portate a Teofilo, dopo di che subì la decapitazione di spada.
Ricevuto il grazioso dono, colui che sbeffeggiava i Cristiani rimase scosso, e confessò la sua fede in Cristo come vero Dio. I suoi amici erano sbalorditi: si chiedevano se stesse scherzando, o per caso fosse diventato pazzo. Teofilo assicurò loro di non essere per nulla pazzo. Gli chiesero la ragione dell’improvviso cambiamento. Allora, quello volle sapere da loro in che mese fossero: “Febbraio”, gli risposero. “In inverno, la Cappadocia è coperta di neve e ghiaccio, e gli alberi sono spogli. Cosa ne pensate? Da dove vengono queste mele e queste rose?”.
Dopo essere astato crudelmente torturato, San Teofilo fu decapitato di spada.
Le reliquie di Santa Dorotea si trovano a Roma, in una chiesa a lei intitolata.
- Memoria di Giuliano di Emesa, martire
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
Τῷ αὐτῷ μηνὶ ς’, μνήμῃ τοΰ ἁγίου Μάρτυρος Ἰουλιανοῦ τοῦ ἐν Ἐμέσῃ.
Χριστὸς τέτρηται χεῖρας ἥλοις καὶ πόδας. Ἰουλιανὸς προστίθησι καὶ κάραν.
Il giorno 6 di questo mese, memoria del santo martire Giuliano di Emesa. Cristo ebbe mani e piedi trapassati da chiodi, Giuliano offrì la testa.
Il santo martire Giuliano era originario della città fenicia di Emesa, e fu martirizzato nell’anno 312 al tempo dell’imperatore Massimiano. Era un medico esperto, guariva malattie del corpo e dell’anima, e convertì molti alla fede in Cristo Salvatore. Quando arrestarono e condussero via gli ieromartiri Silvano vescovo, Luca diacono e il lettore Mocio per essere divorati dalle fiere, Giuliano li incoraggiò e li esortò a non aver paura di morire per il Signore. Anche lui venne arrestato e messo a morte. La testa, le mani e i piedi vennero trafitti con lunghi chiodi.
- Memoria di San Bucolo, vescovo di Smirne
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
Τῷ αὐτῷ μηνὶ ς’, μνήμη τοῦ ὁσίου Πατρὸς ἡμῶν Βουκόλου, ἐπισκόπου Σμύρνης.
Σμύρνης ὁ Ποιμὴν Βουκόλος θυηπόλος. Ἄγρυπνός ἐστι καὶ θανὼν ποίμνης φύλαξ.Ἀγλαὸν ἡελίοιο λίπε Βουκόλος ἕκτῃ.
Il 6 di questo mese memoria del nostro santo padre Bucolo, vescovo di Smirne.
Per Smirne Bucolo, grande santificatore, dopo la sua morte resta vigile pastore, guardiano del gregge. Alla luce prima il 6 se ne va lasciando la luce terrena.
San Bucolo era discepolo del santo Apostolo ed Evangelista Giovanni il Teologo, che lo consacrò primo vescovo di Smirne. Per grazia di Dio, San Bucolo convertì molti pagani a Cristo e li battezzò. Guida saggia ed esperta, difese il suo gregge dall’oscurità dell’eresia. Morì in pace intorno all’anno 100. Poco prima di morire, designò quale suo successore il Santo ieromartire Policarpo, un altro dei padri apostolici, discepolo anch’egli di San Giovanni il Teologo. Dal luogo della sua sepoltura crebbe un albero di mirto miracoloso.