- “Donata a noi da Dio, sorgente stessa della bontà”
Dal «Discorso su sant’Agata» di san Metodio (Siculo di Siracusa), Patriarca di Costantinopoli (Anal. Boll. 68, 76-78)
La commemorazione annuale di sant’Agata ci ha qui radunati perché rendessimo onore a una martire, che è sì antica, ma anche di oggi. Sembra infatti che anche oggi vinca il suo combattimento perché tutti i giorni viene come coronata e decorata di manifestazioni della grazia divina.
Sant’Agata è nata dal Verbo del Dio immortale e dall’unico suo Figlio, morto come uomo per noi. Dice infatti san Giovanni: «A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1, 12).
Agata, la nostra santa, che ci ha invitati al religioso banchetto, è la sposa di Cristo. È la vergine che ha imporporato le sue labbra del sangue dell’Agnello e ha nutrito il suo spirito con la meditazione sulla morte del suo amante divino.
La stola della santa porta i colori del sangue di Cristo, ma anche quelli della verginità. Quella di sant’Agata, così, diviene una testimonianza di una eloquenza inesauribile per tutte le generazioni seguenti.
Sant’Agata è veramente buona, perché essendo di Dio, si trova dalla parte del suo Sposo per renderci partecipi di quel bene, di cui il suo nome porta il valore e il significato: Agata (cioè buona) a noi data in dono dalla stessa sorgente della bontà, Dio.
Infatti cos’è più benefico del sommo bene?
E chi potrebbe trovare qualcosa degno di esser maggiormente celebrato con lodi del bene?
Ora Agata significa «Buona».
La sua bontà corrisponde così bene al nome e alla realtà.
Agata, che per le sue magnifiche gesta porta un glorioso nome e nello stesso nome ci fa vedere le gloriose gesta da lei compiute.
Agata, ci attrae persino con il proprio nome, perché tutti volentieri le vadano incontro ed è di insegnamento con il suo esempio, perché tutti, senza sosta, gareggino fra di loro per conseguire il vero bene, che è Dio solo.
- Memoria dei Ss. Luca di Demenna o d’Armento, Sabba, asceta di Sicilia e del nostro venerando padre Giovanni
Il nostro Padre tra i Santi Luca di Demenna o d’Armento
VITA DI SAN LUCA DI ARMENTO
Forse pochi tra noi sanno che a Noepoli, in un’epoca molto lontana dalla nostra, ha soggiornato per ben sette anni un grande santo del medioevo il quale in seguito, per la vita frenetica che allora caratterizzava il nostro piccolo borgo e per la gran quantità di gente che abitava quei luoghi divenuti oggi silenziosi e scarsamente abitati, ha deciso di allontanarsene, cercando rifugio altrove. Il suo nome era Luca. Ma conosciamolo meglio attraverso uno scritto di un certo Gaetani di Caltanissetta che ha elaborato una piccola biografia sul santo. Luca nacque intorno al 910 a Demenna (l’attuale Enna), centro fortificato della Val Demone, regione nordorientale della Sicilia, da una famiglia di nobile stirpe. Il padre si chiamava Giovanni e la madre Ietibia. Su fratello Fantino fu uno dei maestri di san Nilo di Rossano. Fin dalla giovane età Luca avvertì forte il desiderio di seguire il Cristo, divenendo monaco basiliano sotto la guida dell’abate san Saba del convento di san Filippo di Agria. Già all’inizio del noviziato si distinse per il suo zelo ed anche per una certa vena artistica che apprese da un pittore suo amico. Non rimase a lungo in Sicilia perché, conosciuta la fama di un monaco eremita di nome Elia lo Speleota che viveva nei pressi di Reggio Calabria, volle raggiungerlo e mettersi alla sua sequela. Il giovane novizio, con grande impegno e fatica, iniziò ad imitare le eroiche virtù del maestro: profonda umiltà, carità ardente, rigidissima astinenza. Intorno al 950 abbandonò la terra di Calabria e si diresse verso la Basilicata, stabilendosi a Noja (Noepoli), luogo insalubre e selvaggio,dove trovò una chiesetta in rovina dedicata a san Pietro che restaurò e dipinse. Non sappiamo oggi di quale chiesa si tratti, né possiamo essere certi del luogo in cui Luca risiedette, ma possiamo supporre, e ci piace pensare, che i volti di quegli affreschi emersi dai restauri degli ultimi anni nella nostra Chiesa Madre, portino la sua impronta o,quantomeno, siano i vestigi di una presenza viva e attiva del monachesimo bizantino nei nostri luoghi. A Noepoli Luca fondò anche una “laura”, ossia un cenobio di monaci pii, tutti dediti alla preghiera e al lavoro nei campi grazie al quale bonificarono molti luoghi paludosi, rendendo la zona più ricca di colture e più prospera. La fama del monaco presto si sparse in tutta l’area, tanto che la solitudine con Dio alla quale era votato, fu interrotta e disturbata dalle visite di tanti fedeli che, conosciuta la sua santità, accorrevano a lui per impetrare grazie. Accade spesso che il monaco, rifuggendo il mondo, finisca per attirare il mondo asé. Luca, a causa di ciò, fu costretto a lasciare la castellania di Noja, per recarsi in zone più solitarie e meno frequentate, dove la sua celebrità era ancora sconosciuta. Spinto dall’esigenza della solitudine, il sant’uomo si recò nei pressi di Grumento, dove trovò un convento diroccato, detto di san Giuliano, che subito provvide a restaurare e nel quale raccolse molti eremiti della zona,fondando un nuovo cenobio con l’intento di aiutare i poveri e di soccorrere i diseredati. Come sempre capita a quelli che elargiscono i loro averi agli altri senza curarsi di accumulare tesori su questa terra, più Luca e i suoi monaci dispensavano beni ai poveri, più la prosperità del cenobio cresceva. Un arrogante principe di nome Landolfo, proprietario di molti possedimenti nei pressi di Grumento, infastidito dalla prosperità dei monaci, decise di attaccare il convento e distruggerlo. Ma il superbo signore non realizzò mai il suo esecrabile disegno perché, prima che fosse messo in opera, morì (956). Nel 970, in seguito alle incursioni saracene che, dopo la Calabria, raggiunsero anche parte della Basilicata, il beato asceta lasciò Grumento e si trasferì nei pressi di Carbone dove era ubicato un altro monastero basiliano intitolato a sant’Anastasio Persiano, un monaco martire. Giunto nel nuovo sito, Luca dovette subito provvedere sia alla ricostruzione del convento, sia alla riedificazione degli animi dei monaci ivi residenti che, ormai abbandonati a se stessi, presi dall’accidia e dai piaceri della carne, avevano smarrito la via evangelica per seguire i loro istinti.Luca riuscì, con l’ardore della sua parola e del suo esempio, ad infervorare i monaci, ridando lustro al cenobio. Ma le incursioni saracene si fecero sempre più frequenti e presto raggiunsero anche Carbone. Così, il povero archimandrita dovette provvedere a mettere in salvo se stesso e i suoi seguaci. Si spostò quindi verso Armento (972), dove trovò un castello arroccato, detto di Palombaro, ben fortificato e perciò difficile da espugnare. Qui l’abate sistemò i suoi monaci e costruì una chiesetta dedicata alla Vergine Maria e a san Pietro. La fiamma della carità che gli ardeva nel petto si diffuse attraverso la sua opera di soccorritore: sovveniva ai bisogni dei poveri,consolava gli afflitti, sanava gli infermi da molte malattie con l’utilizzo di erbe medicinali allora ben conosciute dai monaci che, per questo, possono essere considerati i primi farmacisti o speziali della storia; con le loro conoscenze in campo erboristico, infatti, riuscivano a curare molte infermità e ad alleviare le sofferenze di chi ad essi accorreva. I saraceni, che intanto avevano occupato molti territori della Basilicata, non tardarono ad arrivare alla rocca di Palombaro. Giunti lì, assediarono la torre in cui si era rifugiato Luca insieme ai suoi monaci. Il beato padre, non avendo i mezzi necessari per rigettare gli arabi oltre la fortezza, ricorse all’arma della preghiera per ottenere da Dio il soccorso sperato. La storia narra che mentre Luca pregava incessantemente, il Signore gli apparve, incitandolo a non temere i saraceni, ma a sfidarli perché Egli sarebbe stato con lui. Rincuorato dalla visione, il coraggioso monaco, con alcuni confratelli scelti tra i più vigorosi, decise di affrontare i Selgiuchidi inferociti e, armato di spada e cavallo, li sconfisse miracolosamente, ridonando quiete al proprio convento e agli armentani. Qualche tempo dopo, il valoroso asceta venne raggiunto presso Armento dalla sorella Caterina che, rimasta vedova, divenne monaca basiliana e abadessa di un convento sito presso la chiesa di santa Maria, poco fuori dal centro abitato, precedentemente edificata dal fratello. Caterina portò con sé anche i suoi figli Antonio e Teodoro che divennero entrambi monaci Sono molti i miracoli compiuti in vita da Luca, a testimonianza delle meraviglie che Dio aveva operato in lui. Ritornando un giorno dalla consueta visita ai monasteri, l’archimandrita, stanco e ormai molto anziano, venne rapito in un’estasi durante la quale un angelo gli rivelò il giorno della sua morte dicendogli: <<Luca, uomo di Dio, presto cammina, sollecita i passi perché Dio vuole che tu lasci questa vita mortale e passi agli eterni godimenti; hai abbastanza patito per amor suo, già vuole che riposi per sempre >>. Giunto al convento, il pio anacoreta si pose nel letto e, recitando sacri inni, rese l’anima al suo Signore il 13 ottobre 993.
Raffaele Carlomagno
- Memoria di San Polieucto patriarca di Costantinopoli
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
Il beato Polieucto nacque a Costantinopoli e in giovane età divenne monaco in un monastero sull’isola di Proti. Viveva in semplicità e continenza, molte volte si nutriva solo con del pane secco per sfamare i poveri. Ricevette comunque una importante educazione teologica, distinguendosi per modestia, moralità, temperanza e per l’imparzialità del suo carattere. Molti ebbero a paragonarlo a San Giovanni Crisostomo.
Quando nell’aprile del 956 il patriarca di Costantinopoli Teofilatto (931-956) morì, Polieucto divenne suo successore. Nel 957 battezzò a Costantinopoli la principessa russa Olga, che ricevette il nome di Elena. L’imperatore Costantino VII Porfirogenito ne fu il padrino.
Il beato Polieucto era esempio di virtù e pietà. Ecco perché non ebbe paura di rimproverare l’imperatore Niceforo Foca quando decise di sposare la regina Teofano, vedova del defunto imperatore Romano II. Poiché il matrimonio era stato celebrato all’insaputa del Santo, questi rifiutò di accettare il re nei servizi liturgici che avevano luogo in Santa Sofia. Ma poi Polieucto diede il suo perdono e il suo consenso per economia, per non far precipitare lo stato nel caos. L’imperatore Niceforo Foca fu in seguito vittima di un crudele assassinio; questo atto sembrava ancora più esecrabile, perché la regina Teofano era coinvolta e lo aveva reso possibile. San Polieucto rimase fortemente turbato da questo delitto terribile ed esecrando. Quando, sette giorni dopo la sua ascesa al trono imperiale, Giovanni I Zimisce (969-976) si recò nella chiesa di Santa Sofia per essere incoronato dal Patriarca, il Santo non gli permise di entrare nel santuario, chiedendogli che fossero prima soddisfatte tre condizioni. La prima, espellere Teofano dal palazzo; la seconda, scovare e punire l’autore dell’omicidio di Niceforo Foca. Per terza condizione, gli chiese di rispettare l’orientamento del predecessore verso gli affari ecclesiastici. Così, il beato Polieucto assicurò una piena libertà alla chiesa, garantendole il diritto di agire contro l’invadenza dei capi politici quando si mettono a danneggiare la Chiesa e a calpestare le tradizioni del popolo di Dio.
L’amore del Santo per il monachesimo e la vita ascetica si espresse anche nella fondazione, nel periodo del suo patriarcato, del monastero della Grande Lavra sul Monte Athos.
San Polieucto si addormentò in pace nel 970.
- Memoria di Sant’Antonio, il neomartire e di San Teodosio di Antiochia (o di Scopelos
Vicariato Arcivescovile della Campania
Il Santo neomartire Antonio nacque ad Atene in una famiglia povera. All’età di 12 anni iniziò a lavorare per aiutare la sua famiglia presso dei Turchi venuti dall’Albania. All’età di 16 anni fu venduto ad un musulmano del Peloponneso, che lo comprò allo scopo di molestarlo per poi calunniarlo. Poiché non riuscì a ottenere l’apostasia dal Santo, lo vendette ad altri Turchi di più dure maniere. Fu venduto altre cinque volte a padroni sempre più duri e condotto in vari luoghi, ma rimase sempre fedele alla pietà dei padri con coraggio spirituale e patriottico. Alla fine fu comprato al prezzo di 400 piastre da un cristiano ortodosso e quindi si stabilì a Costantinopoli. Nella bottega in cui lavorava fu riconosciuto da un Turco, che una volta lo aveva comprato come schiavo; questi lo accusò di aver precedentemente accettato la religione musulmana. Lo arrestarono e lo condussero dal giudice Murat Mulan, il quale, con lusinghe e minacce, cercò di ottenerne la conversione. Il Santo allora replicò: “Non pensare che riuscirai a distogliermi dalla mia fede in Cristo con le tue minacce. È per questo che ho sottoposto a tormenti, flagelli e sevizie il mio corpo, ed ho pensato ad una morte sempre più terribile; perciò è più probabile che tu diventi cristiano che io rinneghi Cristo e non lo confessi Figlio di Dio e vero Dio”. Il giudice, colpito dall’audacia del neomartire, cercò di assolverlo. Ma poiché aveva paura dei falsi testimoni, lo mandò dal Visir Mehmet Pasha, facendogli sapere che riteneva il Santo innocente. Il visir era convinto anche lui di questa innocenza, ma per evitare la rabbia della folla, ordinò che venisse imprigionato. La folla inferocita però accusò di corruzione il visir presso il sultano Ahmet, e così questi ordinò di decapitare il Santo. Il Martire, avendo nuovamente ribadito la sua fede in Cristo, ricevette la purpurea corona di gloria, e fu decapitato nel 1774, in un giorno di mercoledì, a Costantinopoli.
- Memoria di Sant’Agata vergine e martire in Sicilia a Catania durante la persecuzione di Decio (verso il 251)
05.02: PASSIONE DELLA BEATISSIMA VERGINE E MARTIRE AGATA
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PASSIONE DELLA BEATISSIMA VERGINE E MARTIRE AGATA
- Narriamo la storia della passione della beatissima vergine e martire Agata, che soffrì nella provincia di Sicilia, nella città di Catania, il giorno delle none di Febbraio, al tempo di Decio imperatore, quando egli fu Console per la terza volta. 2. Quinziano consolare della provincia di Sicilia, venendo a conoscenza della fama intemerata di Agata, vergine consacrata a Dio, per diversi intenti e con molta insistenza cercava come arrivare a lei. 3. Infatti con ogni mezzo eccitava il depravato suo animo svegliando in sé le passioni dei vizi corrispondenti: 4. E come avido di gloria terrena, bramando di accrescere il suo prestigio, fece arrestare la serva di Dio, appunto perché nata da nobilissima famiglia, 5. mostrando così al popolo che era capace – egli nato come era da ignobile origine – di sottomettere al suo volere perfino le persone più ragguardevoli; 6. come libidinoso poi, voleva eccitare la concupiscenza dei suoi occhi all’aspetto della vergine bellissima; 7. come avaro sfrenava la sua cupidigia verso le ricchezze di lei: 8. e come idolatra e servo dei demoni, infiammato dalla sua empietà, non poteva neanche sentire il nome di Cristo. 9. Travolto così dalla furia passionale fece arrestare dai suoi apparitori la beata Agata, come abbiamo già detto, 10. e la fece consegnare a una matrona di nome Afrodisia, che aveva nove figlie corrottissime, come era stata la loro madre. 11. Ciò fece perché esse per trenta giorni continuamente con blandizie la tentassero e ne mutassero i sentimenti: 12. ed ora promettendole gioie, ora minacciandole guai, speravano di distogliere la sua santa mente dal buon proposito. 13. Ad esse S. Agata diceva: La mia mente è saldamente fondata in Cristo: 14. le vostre parole sono venti, le vostre promesse piogge, le vostre minacce fiumi, che per quanto imperversino contro i fondamenti della mia casa, essa non potrà cadere, fondata com’è sopra pietra ben ferma.
- Dicendo queste cose piangeva tutto il giorno e pregava: 16.E come l’assetato nell’ardore dell’estate desidera le fresche acque, così ella desiderava di giungere alla corona del martirio e sostenere per Cristo molti supplizi. 17. Accorgendosi Afrodisia che l’animo di lei restava immobile, andò da Quinziano. 18. E gli disse: È più facile rammollire i sassi, e cambiare il ferro nella morbidezza del piombo, che distogliere l’animo di questa fanciulla dall’idea cristiana. 19. Infatti io e le mie figliole, senza mai cessare, succedendoci a vicenda, 20. giorno e notte, nient’altro abbiamo fatto se non provarci a piegare il suo animo ad acconsentire al buon consiglio. 21. Io financo le ho offerto gemme ed ornamenti rari, e vestiti tessuti d’oro: 22. io le ho promesso palazzi e ville, le ho messo dinanzi mobili preziosi e servi d’ogni sesso ed età: 23. ma come terra, che calpesta coi piedi, ella invece tutto, tutto disprezza.
- Allora Quinziano irato comandò che fosse condotta al suo tribunale e sedendo d’ufficio, così cominciò a parlare: – Di che condizioni sei tu? 25. La beata Agata rispose : Non solo nata libera, ma di nobile famiglia, come lo attesta la mia parentela. 26. Il consolare Quinziano disse: – E se attesti di esser libera e nobile perché mostri di vivere e vestire da schiava? 27. S. Agata disse: – Perché sono serva di Cristo, per questo mostro di essere schiava. 28. Quinziano disse: Ma se sei veramente libera e nobile, perché volerti far schiava? 29. S. Agata disse: La massima libertà sta qui: nel dimostrare di essere servi di Cristo. 30. Quinziano disse: E che perciò? Noi che disprezziamo la servitù di Cristo e veneriamo gli dei non abbiamo libertà? 31. S. Agata rispose: La vostra libertà vi trascina a tanta schiavitù, che non solo vi fa servi del peccato, ma anche vi sottomette ai legni e alle pietre. 32. Quinziano disse: Tutto ciò che con pazze parole avrai bestemmiato, severe pene sapranno vendicarlo. 33. Ma prima di passare ai tormenti dimmi perché disprezzi la santità degli dei? 34. S. Agata disse: Non dire degli dei, ma piuttosto dici dei demoni. Demoni sono infatti questi, la cui immagine voi raffigurate in statue e le cui facce di gesso e di marmo coprite di oro. 35. Quinziano disse: Scegli ora una delle due, a tuo piacere, o da insipiente incorrere in varie pene con i condannati, o da sapiente e nobile, come la natura ti ha fatto, sacrifica agli dei onnipotenti, che sono veri dei come dimostra la loro vera divinità.
- S. Agata rispose: Ti auguro che tua moglie sia quale fu la tua dea Venere, e tu sii tale quale fu Giove, tuo dio. 37. Quinziano ciò udendo comandò che fosse schiaffeggiata e le disse: Non ti rischiare a cianciare temerariamente in disprezzo del giudice. 38. S. Agata rispose: Hai detto che sono tuoi dei, quelli che la vera divinità dimostra di esser tali: sia dunque tua moglie tale quale Venere, e tu come Giove, perché anche voi possiate essere computati nel numero dei vostri dei. 39. Quinziano disse: È ben chiaro che tu scegli di soffrire vari tormenti, poiché mi insulti con ripetute offese. 40. S. Agata rispose: Mi meraviglio che tu, uomo saggio, sii giunto a tanta insipienza da stimare tuoi dei quelli, la cui vita non vorresti fosse imitata da tua moglie e da dire allo stesso tempo che ti fa ingiuria chi ti augura di vivere secondo il loro esempio. 41. Se infatti sono veri dei, bene ti ho augurato dicendoti che la tua vita sia tale quale si dice sia stata la loro. Se poi hai in orrore la loro compagnia, sei d’accordo con me. 42. Ed allora dillo chiaro che essi sono tanto pessimi tanto vilissimi, che volendo offendere qualcuno basta augurargli di esser tale, quale fu la esecrabile loro vita. 43. Quinziano disse: A che questo profluvio di parole? O sacrifichi agli dei, o ti si farà perire con vari supplizi. 44. S. Agata rispose: Se mi condanni alle fiere, queste, all’udire il nome di Cristo, si faranno mansuete; se mi darai alle fiamme, gli Angeli dal cielo mi appresteranno rugiada di salvezza, se mi darai ferite e percosse, ho dentro di me lo Spirito Santo, che mi darà forza di disprezzare ogni tuo tormento. 45. Allora Quinziano, scuotendo il capo, diede ordine di rinchiuderla nel carcere tenebroso dicendo: Pensa bene e pentiti, così potrai sfuggire gli orribili tormenti che ti dilanieranno tutta. 46. Agata rispose: Tu ministro di Satana, tu, pentiti, così potrai scansare i tormenti eterni. 47. E poiché lo confutava a voce alta innanzi al pubblico Quinziano ordinò che con grande prestezza la portassero via al carcere. 48. S. Agata poi piena di letizia e di fierezza entrò nel carcere e come invitata a nozze, accesa di gioia raccomandava a Dio con preghiere il suo combattimento.
- Il giorno dopo l’empio Quinziano comandò che fosse ricondotta alla sua presenza e le disse: Che cosa hai deciso per, la tua salvezza? 50. S. Agata rispose: La mia salvezza è Cristo. 51. Quinziano disse: Fino a quando, trascini ancora o infelice questa tua vana idea? Rinunzia a Cristo, e comincia ad adorare gli dei, e provvedi alla tua giovinezza, evitando una amara morte. 52. S. Agata disse: Tu nega i tuoi dei, che sono pietre e legni, e adora il vero Dio, il tuo creatore che ti ha fatto; se lo disprezzerai sarai preda di severissime pene e del fuoco eterno. 53. Allora Quinziano adirato comandò che fosse sospesa e straziata su un grande aculeo. 54. Mentre la tormentavano Quinziano le disse: Abbandona quest’idea del tuo animo, così salverai la tua vita. 55. S. Agata rispose: Io in queste pene provo tanta gioia: come chi sente una buona notizia, o come chi vede colui che da gran tempo ha bramato, o come chi trova molti tesori, così anch’io, posta in queste sofferenze di poca durata, gioisco. 56. Infatti non può il frumento esser conservato nel granaio, se prima il suo guscio non viene aspramente stritolato e ridotto in frantumi: così l’anima mia non può entrare nel paradiso del Signore con la palma del martirio, se prima non farai minutamente dai carnefici dilaniare il mio corpo.
- Allora furioso Quinziano comandò che fosse torturata nella mammella e poi che le venisse lentamente strappata del tutto. 58. La beata Agata disse: Empio, crudele e disumano tiranno, non ti vergogni di strappare in una donna ciò che tu stesso succhiasti nella madre tua? 59. Ma io ho altre mammelle intatte nell’intimo dell’anima mia con le quali nutrisco tutti i miei sentimenti, e fin dalla infanzia le ho consacrate a Cristo Signore. 60. Allora Quinziano ordinò che fosse nuovamente condotta nel carcere e che nessun medico si permettesse di avvicinarla, e che non le si desse né acqua né pane. 61. Rinchiusa che fu nel carcere, ecco che circa la mezzanotte venne un vecchio (che era preceduto da un fanciullo con un lume) portando nella sua mano vari medicamenti, 62. Il quale, affermando di esser medico, cominciò a rivolgerle queste parole: Sebbene lo stolto consolare ti abbia troppo afflitto con tormenti corporali, tu con le tue risposte gli hai influito più gravi pene, 63. E poiché egli ti ha torturato e fatto strappare il seno, la sua ubertà gli è cambiata in fiele, e l’anima sua è riservata ad amarezza eterna. 64. E poiché io ero presente quando tu soffrivi tali cose, osservai e mi accorsi che la tua mammella può ricevere cura e salvezza.
- Allora S. Agata gli disse: Mai ho apprestato al mio corpo medicina terrena e non conviene che perda ora quello che ho conservato fin dalla prima età. 66. Il vecchio le dice: Anch’io sono cristiano e conosco bene l’arte medica: non vorrei che tu abbia rossore di me. 67. Gli dice S. Agata: E che rossore posso io avere di te, che sei già vecchio e troppo avanzato in età? E poi quantunque io sia una ragazza, il mio corpo è talmente lacerato, che le mie stesse piaghe non permettono che alcuno stimolo sensuale ecciti il mio animo in modo che il mio pudore possa essere turbato. 68. Ma ti ringrazio o buon padre, perché ti sei degnato avere per me tanta sollecitudine: e ti ripeto che il mio corpo non sarà mai toccato da medicine fatte da uomini. 69. Le disse quel vecchio: Ma perché non permetti che io ti curi? 70. Agata rispose: Perché ho per salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale con la sola parola cura ogni cosa e la sola sua voce tutto ristora: questi se vuole può rendermi sana. 71. Allora sorridendo il vecchio le disse: Ed è proprio lui che mi mandò da te: io non sono che il suo Apostolo; e nel nome di lui sappi che devi essere sanata. Ciò detto disparve dai suoi occhi. 72. Allora prostrandosi in preghiera S. Agata disse: Ti ringrazio, o Signore Gesù Cristo, che ti sei ricordato di me, e mi mandasti il tuo Apostolo che mi ha confortato ed ha risanate le mie membra. 73. Finita la sua preghiera, osservando tutte le ferite del suo corpo, s’accorse che era salva in tutte le sue membra: infatti perfino la sua mammella era rifatta. 74. Intanto per tutta la notte nel carcere continuò a rifulgere una luce tale che i custodi scapparono impauriti e lasciarono il carcere aperto. 75. Allora le persone che erano chiuse là dentro dicevano a S. Agata di scappare. 76. Essa però rispose: Lungi da me questo pensiero: che io perda la mia corona e metta in angustie coloro che mi custodivano. Anzi, aiutata dal mio Signore Gesù Cristo, persevererò a testimoniare Colui che mi ha fatto salva e che mi ha consolato.
- Dopo quattro giorni avvenne che Quinziano diede ordine che fosse nuovamente presentata al suo tribunale e le disse: Fino a quando ti farai pazza a resistere agli ordini degli invitti imperatori? Sacrifica agli dei, se no, sappi che sarai sottoposta a più gravi tormenti. 78. S. Agata rispose: Tutte le tue parole sono stolte, vane ed inique, i tuoi comandi appestano persino l’aria. Per questo sei misero e senza intelletto. Chi infatti vorrà invocare in suo aiuto una pietra e non il vero e sommo Dio, che si è degnato di curarmi tutte le piaghe da te fattemi, e perfino di ridonare al mio corpo perfettamente integra la mia mammella? 79. Disse Quinziano: Ma chi è che ti ha curato? 80. S. Agata rispose: Cristo il Figlio di Dio. 81. Quinziano disse: Ancora osi nominare Cristo? 82. Agata rispose: Io confesso Cristo con le labbra e col cuore non cesso giammai di invocarlo. 83. Quinziano disse: Vedrò ora se il tuo Cristo ti curerà. E comandò che fossero sparsi a terra acuti cocci, e sotto i cocci fossero messi carboni ardenti, e Agata vi fosse rivoltata a corpo nudo. 84. Mentre l’ordine veniva eseguito, subito il luogo, dove il santo corpo veniva rivoltato fu scosso e una parte di parete crollò e seppellì il consigliere del giudice, di nome Silvano, e l’amico di lui, di nome Falconio, col consiglio dei quali egli perpetrava scelleratezze. 85. Anche tutta la città di Catania fu scossa dalla veemenza del terremoto. Perciò tutti corsero al tribunale del giudice e cominciarono a tumultuare grandemente, perché tormentava con empi strazi la santa di Dio, e per questo tutti si trovavano in grave pericolo. 86. Allora Quinziano cercò di scappare, impaurito da un lato dal terremoto e dall’altro dalla sommossa del popolo. 87. Perciò comandò che fosse nuovamente portata nel carcere, ed egli dandosi alla fuga da una porticina segreta lasciò il popolo alle porte. 88. Sant’Agata entrata poi nuovamente nel carcere, allargò le sue braccia al Signore, e disse: Signore che mi hai creato e custodito dalla mia infanzia, e che nella giovinezza mi hai fatto agire virilmente; 89. che togliesti da me l’amore del secolo, che preservasti il mio corpo dalla polluzione, che mi facesti vincere i tormenti del carnefice, il ferro, il fuoco e le catene, che mi donasti fra i tormenti la virtù della pazienza; 90. Ti prego di accogliere ora il mio spirito: perché è già tempo che io lasci questo mondo per tuo comando e giunga alla tua misericordia. Dette queste parole alla presenza di molti con forte grido, rese lo spirito.
- Ciò udendo le folle devote vennero con grande celerità e, portando via il corpo di lei, lo riposero in un sepolcro nuovo. 92. Avvenne poi, mentre il suo corpo veniva unto con aromi e con molta cura seppellito, che si avvicinò un giovane vestito di seta, 93. seguito da più di cento fanciulli, tutti adorni e belli, e nessuno mai prima lo aveva visto in Catania, né dopo alcuno lo vide, né altri si trovò che dicesse di conoscerlo. 94. Questi dunque venendo, entrò nel luogo, dove si componeva il corpo di lei e le pose vicino al capo una tavoletta di marmo, nella quale c’è scritto: MENTE SANTA, SPONTANEO ONORE A DIO E LIBERAZIONE DELLA PATRIA. 96. Chiuso poi il sepolcro se ne partì, e come abbiamo detto non fu più né visto né sentito parlare di lui nella contrada o in tutta la regione Siciliana. 97. Donde arguimmo che fosse il suo Angelo. 98. E quelli che avevano visto questa scrittura, divulgandola resero premurosi e ferventi tutti i Siciliani: tanto che sia i giudei, sia i gentili concordi ed insieme con i cristiani cominciarono a venerare il sepolcro di lei.
- Allora Quinziano con i componenti del suo ufficio prese con furia la strada per andare ad investigare i poderi di lei, ed arrestare tutti quelli della sua parentela: ma per giudizio di Dio perì nel mezzo del fiume. 100. Difatti, mentre attraversava il fiume con una barca, due cavalli impennandosi e ricalcitrando l’uno gli si avventò coi morsi, l’altro, colpitolo con un calcio, lo scaraventò nel fiume Simeto: e non si è trovato più il suo corpo fino al giorno d’oggi. 101. Per questo crebbe il timore e la venerazione per S. Agata, e nessuno mai osò molestare alcuno della sua
parentela.
- Perché poi si confermasse con evidenza quella scrittura che l’angelo del Signore aveva posato, dopo un anno, circa il giorno del natale di lei, il monte Etna eruttò un grande incendio, e come un fiume ardente così il fuoco impetuoso, liquefacendo e pietre e terra, veniva alla città di Catania. 103. Allora una moltitudine di abitanti dei villaggi, fuggendo scese dal monte, e vennero al sepolcro di lei, e preso il velo, onde era coperto il suo sepolcro, lo opposero contro il fuoco che veniva verso di loro: e nello stesso momento ristette il fuoco per virtù divina. 104. Il fuoco era cominciato il primo di Febbraio e cessò il 5 dello stesso mese, che è il giorno della sepoltura di lei: 105. affinché il Signore Nostro Gesù Cristo comprovasse che dal pericolo della morte e dal fuoco li aveva liberati per i meriti e le preghiere di S. Agata: a Lui perciò onore e gloria e potestà nei secoli dei secoli. Amen.