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Sinassario | 4 novembre 2023

Dic 3, 2023 | Sinassario

  • Memoria del nostro venerabile Padre Teoforo GIOVANNI DAMASCENO

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

La grande città di Damasco, capitale della Siria, era caduta sotto la dominazione araba nel 635 ed era divenuta il seggio del califfato. Malgrado la dura pressione esercitata sui cristiani, Sergio Mausour, rappresentate di una delle più illustri famiglie della città, era riuscito a guadagnare la stima del califfo Abdul-Malik (685 – 705) ed era divenuto un suo generale sovrintendente agli affari concernenti le popolazioni cristiani sottomesse al tributo. Fu da questo uomo pio e giusto che nacque nel 680, il nostro santo Padre Giovanni, strumento melodioso del Santo Spirito. Istruito fin dall’infanzia nelle grandi virtù dell’elemosina e della carità da suo padre, che consacrava grandi risorse al riscatto e alla liberazione dei prigionieri cristiani, Giovanni crebbe e progredì in saggezza in compagnia di suo fratello adottivo san Cosmas (+ 14 ott.), accolto da Sergio alla morte dei suoi genitori. I due fratelli vennero in seguito iniziati alla filosofia e a tutte le scienze del loro tempo dal sapiente monaco Cosmas, originario d’Italia, che era stato accolto tra gli Arabi da Sergio.
La viva intelligenza e la saggezza dei modi dei due giovani ragazzi li fecero progredire rapidamente ed eccellere in particolare nell’arte della poesia e della musica, così bene che dopo qualche anno il loro maestro, riconoscendo che non aveva più niente da insegnare loro, chiese al padre il permesso di ritirarsi per andare a finire i suoi giorni nel monastero di San Saba, chiamato ad una brillante carriera amministrativa, Giovanni, che conosceva perfettamente l’arabo e il greco, successe a suo padre nell’alta carica alla morte di quest’ultimo, sotto il califfo Walîd (705 – 715).
Qualche tempo più tardi, Leone III l’Isaurico salì sul trono di Bisanzio e non tardò a tormentare la Chiesa di Cristo attaccando la pia venerazione delle Sante Immagini. Apprendendo ciò, l’ardente difensore della fede Giovanni inviò da Damasco numerose lettere a Bisanzio per giustificare, con l’aiuto degli argomenti menzionati nelle Sacre Scritture e negli scritti dei Padri, il culto delle Sante Icone. Egli si attirò così l’odio del monarca che per sbarazzarsi di lui fece pervenire al califfo una falsa lettera di Giovanni, che proponeva all’imperatore di venire ad impossessarsi di Damasco. Il califfo furioso fece tagliare la mano destra del suo consigliere. La sera stessa, dopo aver deposto il membro inerte presso l’icona della Madre di Dio, Giovanni passò lunghe ore a pregare con lacrime la Sovrana del mondo per rendergli l’uso della mano. Essendosi addormentato, vide l’icona animarsi e sentì la Tutta-Santa che lo consolava. Al risveglio, scoprì con meraviglia che la sua mano destra era ristabilita e decise ormai di consacrarla alle lodi della Madre di Dio, del Cristo Salvatore e alla difesa della santa fede ortodossa. Rinunciò così alla sua alta carica, distribuì la sua fortuna e, in compagnia di Cosmas, partì per Gerusalemme per diventare monaci di San Saba.
Affidato dall’egumeno della Lavra ad un anziano esperto nei combattimenti della virtù ma rude ed esigente, Giovanni si vide proibite tutte le attività che gli ricordavano la sua gloria passata: filosofia, scienze, poesia, canto e scrittura e ricevette l’ordine di consacrarsi senza mormorare ai più umili compiti al fine di progredire nell’obbedienza e nell’umiltà. Il brillante giovane mostrò allora uno zelo ammirabile nel rinunciare alla propria volontà e dimenticare la vita passata. Un giorno, pressato da una visione che lo avvertiva della perdita di uno dei suoi parenti, compose per consolarsi un sublime tropario, ancora in uso ai nostri giorni, malgrado il divieto del suo padre spirituale. Apprendendo questo atto di disobbedienza, l’anziano gli ordinò di raccogliere tutte le immondizie della Lavra con le sue mani, cosa che egli fece senza replicare. Ma qualche giorno più tardi, la Madre di Dio apparve al vecchio monaco e gli chiese di lasciare il suo discepolo ormai libero di comporre inni e poemi, che avrebbero oltrepassato in bellezza e dolcezza i salmi di Davide e le odi dei santi profeti.
Come un’arpa dagli accenti melodiosi, Giovanni scrisse sotto l’ispirazione dello Spirito Santo un numero di inni dall’armonia perfetta, il contenuto riprendeva le più profonde speculazioni dei Padri della Chiesa. Fu lui a comporre il canone che cantiamo a Pasqua e fu lui che redasse nella maggior parte gli inni dell’Octoicho in onore della Resurrezione* . Egli è anche l’autore di ammirabili canoni e omelie in onore delle feste del Signore, della Madre di Dio e dei santi. Congiuntamente a questi doni di melode, Dio gli accordò la grazia dell’espressione teologica.
Senza aggiungere niente di nuovo ai dogmi e alle dottrine espresse dai Padri anteriori: Gregorio il Teologo, Basilio il Grande, Giovanni Crisostomo, Gregorio di Nissa, Massimo il Confessore etc…, san Giovanni Damasceno ha esposto, in una trilogia intitolata Sorgente di conoscenza** , l’essenziale della fede cristiana con l’aiuto di espressioni di una densità e di una chiarezza così ammirabili che si può considerare la sua opera sigillo e il commento della grande era patristica. La sua Esposizione della fede Ortodossa è il riferimento più sicuro per i cristiani ortodossi su tutto ciò che concerne il dogma e un monumento esemplare della dottrina cristiana. Rifiutando le eresie e mostrando la via regale della santa dottrina sale verso il cielo senza girarsi né a destra né a sinistra, Giovanni concentra tutto particolarmente nella lotta contro gli iconoclasti. Nei tre lunghi trattati, composti tra il 726 e il 730, mostra con chiarezza la profondità teologica e la necessità della venerazione delle sante icone e delle reliquie, poiché essa è la proclamazione della realtà dell’Incarnazione del Figlio di Dio e della deificazione della nostra natura nella persona dei santi. Avendo acquisito la vera saggezza con la sua umiltà e la sua costanza nelle fatiche dell’ascesi, questo “Filosofo del Santo Spirito” si addormentò in pace nel Signore all’età di centoquattro anni. È possibile ancora venerare la grotta in cui egli si era ritirato al monastero di San Saba.

Note:

* Libro liturgico inserito nel Paraklitikì, contenente gli inni delle domeniche secondo gli otto toni musicali
** Essa comprende: i Dialectica (introduzione filosofica), la Storia delle Eresie (rifiuto di 300 eresie) e l’Esposizione della Fede Ortodossa.

  • Memoria della santa e grande martire BARBARA

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Figlia di un ricco pagano di Eliopoli di nome Dioscoro, santa Barbara visse sotto il regno dell’imperatore Massimiano (284 – 305). Geloso della sua notevole bellezza, Dioscoro, sul punto di partire per un viaggio lontano, fece chiudere sua figlia in cima ad una alta torre innalzata all’interno del suo palazzo, affinché nessun uomo la vedesse. Egli sognava di coprirla di ricchezze e di darle un’educazione raffinata, ma non aveva potuto impedire che la giovane utilizzasse la sua fine intelligenza in maniera conforme all’immagine di Dio deposta in ogni uomo. Ella stessa contemplando il riflesso della presenza di Dio nella natura, era arrivata alla conoscenza di Dio Uno nella Trinità e, spogliandosi di tutte le vanità, sentiva nel suo cuore solo moti per Cristo, lo Sposo Celeste. Dioscoro aveva fatto cominciare la costruzione di un bagno ai piedi della torre e aveva ordinato di fare solo due finestre. Vedendo la costruzione durante l’assenza di suo padre, Barbara comandò agli operai di aprine una terza, perché la stanza fosse rischiarata da una triplice luce, simbolo della triplice luce del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che illumina ogni uomo che venga al mondo. Allorché Dioscoro ritornò dal suo viaggio con il proposito di un ricco matrimonio, si oppose al rifiuto della giovane che desiderava consacrare a Dio la sua verginità. Lo stupore dell’uomo si trasformò in una violenta collera allorché apprese dell’apertura della terza finestra su ordine di sua figlia. Quando le chiese la ragione, Barbara fece avanti a lui il segno della Croce e, mostrando le sue tre dita riunite, gli disse: << Il Padre, il Figlio e il Santo Spirito, è attraverso questa unica luce che tutta la creazione è stata illuminata, ed è attraverso questo segno che gli uomini sono stati salvati >>. Non contenendo più il suo furore, Dioscoro afferrò la sua spada e voleva tagliarle immediatamente la testa ma, coraggiosamente la vergine sfuggì e si rifugiò nella montagna dove una roccia si aprì miracolosamente per farla rifugiare. 
In seguito ad una denuncia, suo padre finì per scoprirla. Egli la prese e la consegnò al governatore della provincia, avanti al quale la Santa confessò ardentemente il Cristo e rifiutò gli idoli. Ella venne allora crudelmente colpita, la sua carne fu lacerata a colpi di chiodi, i suoi fianchi bruciati e la sua testa colpita da grosse pietre, di modo che, gettata in una buia prigione, il suo corpo non fosse altro che una piaga sanguinante. Ma, la notte venne il Signore Gesù Cristo che le apparve circondato da una luce radiosa e, dopo averla guarita da tutte le piaghe, le promise di assisterla fino alla fine del suo combattimento.
L’indomani Barbara comparve una seconda volta avanti al tiranno stupefatto di vederla completamente ristabilita. La sottomise a nuovi supplizi e il giudice ordinò di spogliarla dai suoi vestiti e lasciarla nuda al riso del pubblico. Ma il Signore non permise che gli sguardi impudichi oltraggiassero la bellezza della Sua vergine e un globo di fuoco scese improvvisamente dal cielo, ricoprendo la giovane martire come in un abito di luce.
Davanti allo spettacolo della resistenza della Santa e dei miracoli con cui Dio manifestava il Suo favore, una giovane donna di nome Giuliana si dichiarò ella stessa cristiana e decisa di condividere la sorte di Barbara facendosi partecipe dei supplizi della sua compagna. Il tiranno decise allora di far decapitare le due giovani donne. Alla proclamazione della sentenza, Dioscoro, che aveva assistito imperturbabile a tutti i supplizi di sua figlia, propose al governatore di tagliarle la testa con le sue proprie mani. Una volta raggiunta la sommità della montagna dove doveva aver luogo l’esecuzione, Giuliana e Barbara offrirono contemporaneamente, le loro anime al Signore: la prima decapitata da un boia, la seconda da colui il quale le aveva dato i natali.
Ma la vendetta divina non tardò, appena intraprese la via del ritorno, il crudele Dioscoro venne colpito da un fulmine e ridotto in cenere.

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