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Sinassario | 30 gennaio 2024

Gen 29, 2024 | Sinassario

Stichi. La testa di Teofilo, a lui cara, viene mozzata non volendo baciare le divinità dei barbari.

Per le loro sante preghiere, o Dio, abbi pietà di noi e salvaci. Amìn.

  • Memoria di san Pellegrino Vescovo di Triocala

Secondo la leggenda l’apostolo Pietro dopo avere ordinato vescovo Pellegrino, originario di Lucca di Grecia, da Roma lo manda in Sicilia insieme ad alcuni compagni allo scopo di convertire i pagani dell’isola alla fede cristiana. Pellegrino sbarcato alla foce del fiume Verdura, oppure, secondo altri, ad Eraclea Minoa (ricordata col nome di piccola Cartagine), si sofferma qualche giorno per predicare.
Malgrado le difficoltà iniziali riesce a convertire parecchi alla fede di Cristo, dopo di che decide di portare a compimento quella che sembra sia la principale impresa della sua missione e si avvia verso la città di Triocala, che era distante 16 miglia da Eraclea Minoa e si trovava nella terra di Caltabellotta. Era lì infatti che in una caverna del monte dimorava un feroce dragone aduso ad uccidere quanti incontrava, uomini e animali, e a cui gli abitanti di Triocala offrivano in pasto, per quietarne la fame, teneri fanciulli estratti a sorte tra la popolazione. Era tale flagello che Pellegrino correva a debellare, per ordine di Pietro e per volontà di Dio, mossosi finalmente a pietà degli empi idolatri.
Lasciata Eraclea, Pellegrino raggiunge così in barca la foce del Verdura e da lì prosegue a piedi guidato da un angelo. Arrivato a Triocala a delle donne egli chiede invano un tozzo di pane in elemosina, avviene qualcosa di portentoso. Dal forno esse estraggono i loro pani trasformati dopo la cottura in duri sassi e del prodigio è subito piena la città. Ricercato invano dalle autorità che vogliono conoscere l’autore della miracolosa trasformazione, Pellegrino riappare solo il giorno in cui la milizia si reca a prelevare il bimbo estratto a sorte per il pasto del drago.
Mosso così a pietà, il sant’uomo, dopo avere rassicurato l’infelice donna, le promette in nome di Dio onnipotente la salvezza del figlio e la sconfitta del Maligno. Tolto quindi di mano il fanciullo ai soldati è egli stesso che si avvia verso il covo del terribile drago, seguito a distanza dalla madre della vittima e da una moltitudine di gente incuriosita ed affascinata.
Ma non appena il drago, che discendeva baldanzoso dalle balze del monte, giunge al cospetto di Pellegrino, eccolo arrestarsi pieno di terrore e, con grande meraviglia di coloro che seguivano a distanza, emettendo terribili strepiti, retrocedere fino alla sua caverna. Pellegrino, seguito questa volta da un gruppo più sparuto di persone, insegue il mostro e raggiuntolo gli conficca nelle fauci spalancate il suo miracoloso bastone. Il terribile dragone è così sprofondato per sempre nell’abisso di una spelonca. Il fanciullo salvato viene tosto battezzato col nome di Liberato e coloro che avevano assistito al portento, istruiti da Pellegrino abbracciano subito la fede di Cristo.
Deciso a menare vita eremitica, Pellegrino scelse poi una grotta posta poco più in alto di quella del dragone e ivi si installò dedicandosi alla meditazione e alla preghiera.
La fama delle sue imprese lo costringe tuttavia a scendere ben presto in città. Richiamato a furor di popolo egli è così accolto dai governanti di Triocala i quali, non appena ebbero ascoltato dalla sua bocca la parola del Vangelo, immediatamente si convertirono. Anche le svariate guarigioni che egli opera sugli ammalati accorsi a vederlo contribuiscono ad aumentare le conversioni.
Chiese ed altari vengono quindi fatti erigere da Pellegrino per la nuova fede ed egli, da buon Vescovo, si adopera ad organizzare la Diocesi che presiederà per 30 anni, fino all’età di 70. Tra i sacerdoti che verranno da lui ordinati vi sarà Liberato il quale coronerà la sua carriera divenendo anch’egli vescovo di Triocala e infine santo.
Una tradizione lo vuole martire durante la persecuzione di Nerone. Un altro racconto vuole che egli sia rimasto illeso alle torture dei carnefici e sia tornato a vivere nella sua grotta fino al giorno in cui spirerà pacificamente attorniato dal conforto del suo popolo.
Una volta morto, Pellegrino venne sepolto nei pressi della grotta in cui aveva dimorato; pare però che in seguito le sue reliquie siano state trasferite a Lucca di Grecia dove tuttora esiste il culto.
Dopo la scomparsa della città e diocesi di Triocala, in seguito alla conquista araba della Sicilia, il culto di S. Pellegrino continuò nel nuovo centro di Caltabellotta. Accanto alla grotta dove egli dimorò era sorto anche un convento, ingranditosi notevolmente nel tempo, nel quale dimoravano parecchi eremiti che votati a Pellegrino erano addetti alla celebrazione del suo culto.
La festa viene celebrata il 30 gennaio e a Caltabellotta il 18 agosto.

Autore: Raimondo Lentini da http://www.santiebeati.it/

  • Memoria di sant’Abbondanza di Spoleto

Archimandrita Antonio Scordino

A Spoleto, santa Abbondanza

Secondo una tradizione, la nobile vedova Abbondanza di Spoleto, acquistò dal flàmine Tircano le spoglie del sacerdote martire Gregorio, e forse anche quelle del vescovo martire Saturnino, e le depose in un sacello presso il fiume detto Sanquinario. Le reliquie di sant’Abbondanza si venerano in Spoleto, ma alcuni pensano che si tratti d’una santa locale che visse a lungo come eremita in Palestina.

  • Memoria di sant’Ippolito (primo antipapa) di Roma Antica

Ippolito di Roma (Asia, 170 circa – Sardegna, 235) è stato un teologo e scrittore romano, primo antipapa della storia della Chiesa di Roma; prima della morte si riconciliò con il papa legittimo, Ponziano, insieme al quale subì il martirio e con il quale la Chiesa celebra la sua memoria.

  • Memoria di sant’Adriano monaco

Archimandrita Antonio Scordino

Monaco di Napoli, attorno al 657\672 Adriano si recò in Inghilterra dove, insieme al monaco Teodoro di Tarso, fondò la scuola di Canterbury, per diffondere anche in quelle terre lontane le Lettere e la cultura greca.

  • Memoria di Sant’Ippolito e altri e altre martiri a Ostia nel 269

http://www.oodegr.com/tradizione/tradizione_index/vitesanti/ostiamartiri.htm

I (parte I)

 Durante il regno di Claudio[2], mentre era governatore vicario Ulpio Romolo, ebbe inizio una persecuzione su grande scala contro i cristiani. Vi era un comandante con potestà di magistrato, che era segretamente cristiano, timorato di Dio e credente nella virtù del Signore Gesù Cristo, quotidianamente in segreto stava nelle sue preghiere, e praticava il digiuno e l’elemosina. Non indietreggiando in questo neanche alla presenza dell’imperatore Claudio, e quando vide che alcuni appartenenti alla comunità cristiana erano stati trascinati ad una morte violenta o alla prigione, li confortava in segreto e – come poteva – provvedeva loro cibo in prigione, servendoli sia nelle catene sia nelle carceri. Quando il re Claudio ebbe udito questo, infuriato ordinò che fosse arrestato e una volta preso allora gli disse: “Sei tu quell’uomo Censorino, adoratore degli dei, sempre benevolo alla maestà eterna? Non c’è nessuno dei servi che la nostra clemenza non ha rispettato, ma attraverso il culto degli dei conserviamo sempre coloro che governano lo stato!”. Allora Censorino rispondendo disse: “Testimonio il Signore Gesù Cristo: perché è il Dio vero; perché fu crocifisso e sepolto; ed è risuscitato dai morti, che è stato veduto dalla gente stessa che lo ha crocifisso; perché aveva predetto che avrebbe vissuto dopo la morte; e mentre lo guardavano, è asceso al cielo. Che nei nostri giorni è stato ritenuto degno di discendere dal Padre suo al grembo della Vergine; è stato ritenuto degno di discendere sulla terra in tale maniera, Lui che non avrebbe lasciato il cielo”. Allora Claudio, infuriato, disse: “Sei pazzo, Censorino!”, ed ordinò che fosse messo in prigione all’avamposto militare di Ostia. Tuttavia egli in prigione e stretto in catene, cantava le lodi del Signore giorno e notte.

II

In quella città vi era una tale ragazza di discendenza reale chiamata Aurea, che già aveva avuto esperienza di molte persecuzioni provocate da accuse. Era stata condannata ed aveva vissuto in una piccola proprietà che era di suo possesso[3], con uomini pii e sante vergini. Ogni giorno visitava san Censorino, prendendosi cura della sua vita giorno e notte: lavando con le proprie mani le sue catene e tergendo i suoi occhi e la fronte. Ora in quello stesso luogo vi erano, oltre lui, il santo il presbitero Massimo e il diacono Archelao, che offrivano quotidiani sacrifici a Dio sotto forma di inni e preghiere. Inoltre Massimo il presbitero operava miracoli di una tal grandezza nel nome del Signore Gesù Cristo, che non appena fu messo insieme al beato Censorino, immediatamente le catene si sciolsero dalle sue mani e dai piedi. Allora soltanto il benedetto Massimo aprì la sua bocca ed iniziò a parlare alle guardie: “Fratelli, abbandonate i demoni e tutti gli idoli e riconoscete il Signore Gesù Cristo, il re eterno, che è esistito prima di tutti i secoli e vive e che verrà a giudicare i vivi ed i morti ed il mondo col fuoco. Infatti il cielo e la terra passeranno, ma il mio Signore Gesù Cristo vivrà ora e sempre e per tutta l’eternità”. Le guardie chiesero a Massimo il presbitero: “E che cosa dovremmo fare, di modo che possiamo riconoscere ciò che predicate?”. Massimo il presbitero rispose: “Lasciate che ciascuno sia battezzato e credete in Cristo, il nostro Dio ed abbandonate gli idoli insignificanti e fate penitenza, perché inconsapevolmente avete bestemmiato il suo Nome santo ed avete ucciso molti dei suoi santi”. Allora Felice, Massimo, Taurino, Ercolano, Nevino, Historacino, Menna, Commodio, Hermis, Mauro, Eusebio, Rustico, Monaxio, Armandino, Olimpio, Eipros e Teodoro il tribuno, tutti e diciassette, si gettarono ai piedi del beato Massimo, desiderando essere battezzati. E subito furono battezzati secondo l’uso consueto e ricevettero la grazia di Cristo. Allora il santo vescovo Ciriaco, ungendoli con il Crisma di Cristo, li suggellò con le parole della fede.

III

Ora in quello stesso luogo vi era un calzolaio, il cui figlio era morto in quel momento. Il calzolaio stava piangendo la morte di suo figlio, quando Ciriaco e il benedetto Massimo e la beata Aurea passarono lì vicino. Allora il benedetto Massimo disse al calzolaio: “Tu, credi in Gesù Cristo Dio in presenza di noi tutti e tu vivrai e riavrai tuo figlio!”. Ma quegli in lacrime disse: “In che cosa dovrei credere? In ciò che nella mia gioventù ho bestemmiato?”. Massimo benedetto rispose: “Fa’ penitenza, perché Dio non risponde al nostro pentimento secondo i nostri peccati, ma si comporta secondo la sua grande misericordia”. Allora il calzolaio disse: “Credo in Gesù Cristo Dio”. Allora il benedetto Massimo lo battezzò nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo e quando ebbe ricevuto il suggello di Cristo, gioendo ed esultando, condusse il benedetto Ciriaco e Massimo il presbitero a suo figlio. Allora il benedetto vescovo Ciriaco disse: “Signore Gesù Cristo, che ti sei degnato di assumere aspetto di schiavo[4], affinché noi potessimo essere liberati dalla schiavitù del diavolo[5], che ti sei degnato di risuscitare dai morti Lazzaro, che già puzzava[6], e che hai restituito alla vedova il suo unico figlio[7]! Concedi su questi tuoi servi la tua misericordia, affinché sia riconosciuto il Dio vivo e vero, il nostro Creatore, nella sua propria rigenerazione, perché tu regni nei secoli dei secoli”. E quando tutti ebbero detto “Amen”, colui che era morto ritornò in vita e iniziò a parlare dicendo: “Ho veduto Gesù Cristo Dio, ricondurmi (indietro) dalle tenebre alla luce[8]”. Allora lo istruì nella fede[9] e quando fu battezzato ed ebbe ricevuto il suggello della Croce, la beata Aurea lo prese con sé (come un figlio), perché il ragazzo risuscitato, che aveva nome Faustino, aveva dieci anni. Allo stesso tempo fu riferito a Claudio che un morto era stato risuscitato per la preghiera dei santi. E Claudio disse: “Questo può essere fatto soltanto con la magia”. E convocò il vicarius Urbis[10] chiamato Ulpio Romolo, che informò, dicendo: “Sottoponi a castigo la sacrilega Aurea, che offuscò la sua stirpe reale della sua potestà, avendo desiderato vivere permanentemente nelle pratiche magiche. Così che se sacrificherà agli dei e alle dee e crederà in loro, vivrà e l’accusa stabilita da me sarà ritirata. In caso contrario, coloro che saranno trovati partecipi a quella comunità saranno puniti e torturati insieme”.

I (parte II)

Ulpio Romolo andò alla città di Ostia ed ordinò che tutti i santi fossero messi in carcere. Alzatosi all’alba ordinò che Aurea benedetta fosse portata di fronte a lui. Così le disse: “Quale insana predilezione per le arti magiche è fiorita in te? Cosa ti ha spinto a rovinare la regale maestà e a lasciare gli illustri natali?”. La benedetta Aurea rispose: “Io ho lasciato i demoni ed ho abbandonato gli idoli falsi ed artificiali e ho riconosciuto l’unico Dio vivo e vero, e Gesù Cristo Dio, suo Figlio, che verrà a giudicare i vivi ed i morti e verrà a condannare il diavolo, vostro padre, che, insieme a Claudio, vi tiene nelle tenebre”. Il vicario Romolo disse: “Sei spinta ad un pazzo desiderio per le arti magiche, abbandona queste falsità e provvedi alla tua nobiltà!”. La benedetta Aurea soffiò sul viso del vicario e disse: “Misero, se conoscessi il Dio, Creatore del cielo e della terra, non emetteresti dalla tua bocca tali bestemmie”. Ma il vicario Romolo, infuriato, ordinò che venisse sospesa sul letto di tortura[11]. E mentre allungavano i suoi tendini con forza disse, con volto allegro e bello: “Ti rendo grazie, Signore Gesù Cristo, che ti sei degnato di sollevarmi dagli inferi agli eccelsi cieli”. E Romolo disse: “Dov’è il tuo Cristo, che predici ti libererà?”. La benedetta Aurea rispose: “Io non sono degna, ma Colui che si è degnato di liberarmi dall’oscurità del mondo, ha il potere di distruggere te e Claudio”. E appena ebbe detto questo il cavalletto di legno si spezzò. Quando fu deposta giù dall’apparecchio ordinò che fosse battuta con i randelli, dicendo, con voce da banditore: “Aurea sacrilega, non bestemmiare gli dei e i governanti del regno!”. Ma lei diceva: “Benedetto sei, Signore Gesù Cristo, che io posso già vedere!”. Allora Romolo disse ai suoi esecutori: “Arrecate le fiamme vicino ai suoi fianchi” e quando le fiamme furono appressate gioendo, felice, con voce limpida e splendido viso lei disse a Romolo: “Uomo infelice! Non c’è vergogna in te nel guardare membra (come quelle) di tua madre bruciate dal fuoco al tuo cospetto?”[12]. Romolo disse: “La tua infelicità merita queste cose. Poiché hai abbandonato gli dei immortali e la tua regale stirpe e perché hai desiderato contaminarti con le arti magiche”. Allora ordinò che, semi-bruciata, fosse gettata nuovamente dentro la prigione.

II

Ed ordinò che Massimo il presbitero e Archelao il diacono venissero condotti di fronte a lui, ed a loro disse: “Attraverso voi e i vostri insegnamenti sono bestemmiati i nomi degli dei ed ingannate le genti, di modo che non credono secondo le antiche consuetudini[13]”. Massimo il presbitero rispose e disse: “Non noi fuorviamo la gente, ma quanto la grazia di Dio permette per lo stesso (Dio) nostro Gesù Cristo, che la liberiamo dagli errori terreni e la acquistiamo nel suo nome santo”. Allora Romolo disse: “Questi uomini meritano la morte”. Ed ordinò che Ciriaco il vescovo, Massimo il santo presbitero, Archelao il diacono e tutti i soldati fossero decapitati vicino all’arco (di Caracalla) davanti al teatro[14]. Ordinò che i loro corpi fossero gettati in mare. Il beato Eusebio raccolse i corpi, nascondendoli vicino alla spiaggia, nei campi e li seppellì vicino a Roma in luogo sotterraneo[15] della via Ostiense. Nascose Taurino ed anche Ercolano a Porto Romano. Depose il beato Teodoro il tribuno nel suo sepolcro e raccolse tutti gli altri e li mise vicino ai corpi dei santi Ciriaco vescovo e Massimo il presbitero.

III

Dopo cinque giorni Romolo ordinò che la benedetta Aurea fosse portata di fronte a lui. Quando fu in piedi davanti lui, rallegrandosi gli disse: “Uomo infelice, perché stai sprecando i tuoi giorni? Riconosci il tuo creatore Cristo Figlio di Dio e non adorare le pietre o il bronzo, l’argento o l’oro, ma adora il Signore Gesù Cristo, che è stato crocifisso, che è risuscitato dalla tomba il terzo giorno ed è salito al cielo, da dove verrà a giudicare i vivi ed i morti ed il mondo attraverso fuoco”. Romolo rispose: “In un momento vedrai il tuo Cristo, nel quale credi se non sacrificherai agli dei”. La benedetta Aurea disse: “Hai detto bene, uomo infelice, e per una volta che la verità è venuta dalla tua bocca, quando dici che non sarà stato vinto affatto, se io non avrò sacrificato ai demoni”. Ordinò che le sue mascelle fossero battute a lungo con una pietra. La benedetta Aurea però gridava dicendo: “Gloria a Te Signore Gesù Cristo, perché ho meritato di essere chiamata tra i tuoi servi!”. Romolo disse: “Ora provvedi alla tua nobiltà, adora gli dei, sacrifica e prendi un marito adatto ai tuoi natali”. Con confidenza e con voce limpida la benedetta Aurea gli disse: “Ho uno sposo, il Signore del cielo e della terra, Gesù Cristo, che tu, uomo infelice, hai rifiutato di conoscere. Invece riconosci i demoni, che hanno riempito il tuo cuore di follia e di collera”. Romolo, infuriato, immediatamente ordinò che fosse finita col flagello piombato, al suo cospetto. Ma più veniva battuta più era rafforzata, e dopo ciò diede la sua condanna, ordinò che una grande pietra fosse legata intorno al suo collo e che venisse gettata in mare. Il suo corpo santo giunse alla spiaggia. Ma il beato Nonnus[16] raccolse il suo corpo[17] e lo seppellì nella sua stessa proprietà, quella in cui aveva vissuto, fuori delle mura della Porta di Ostia, il nono (giorno) delle Calende di settembre[18].

IV

Allora Romolo arrestò Sabiniano, un contadino di quella proprietà e prese a richiedere da lui le sue ricchezze, dicendo: “La sacrilega Aurea, che ha preferito morire per le arti magiche, piuttosto che godere della vita con noi, ha goduto sempre della tua amicizia. Ora porta rapidamente alla nostra presenza i suoi tesori e gioielli e sacrifica agli dei e vivi e sii umile secondo gli ordini imperiali”. Sabiniano rispose: “Io in verità sono stato educato sempre a essere umile dalla santa e benedetta Aurea, che mi ha insegnato a riconoscere il mio Signore, Gesù Cristo, che è nato da Maria vergine per mezzo dello Spirito Santo. Infatti dovresti sapere che non ho (altro) oro o argento o perle, se non il Signore Gesù Cristo”. Romolo disse: “Bada a te, e restituisci i tesori nascosti dell’imperatore, e sacrifica agli dei e recedi da questa follia falsa”. Sabiniano disse: “Senza dubbio io merito di essere battuto per i miei peccati, ma rendo grazie al Signore mio Gesù Cristo e credo che mi renderà atto alla conoscenza della sua misericordia, lui che persino si è degnato di donarmi la sua grazia nel battesimo. E dovresti sapere che non ho questo oro temporale e che la mia testa non si inchina ai demoni. Fa quel che vuoi”. Romolo, infuriato, ordinò che la sua nuca fosse battuta col flagello piombato e con voce fortissima gridò: “Non bestemmiare gli dei e le dee degli imperatori!”

V

Lo stesso giorno il beato Ippolito[19], ormai uomo anziano, che aveva sentito questo, si presentò al cospetto di Romolo, al quale, con voce sonora, così disse: “O misero, se soltanto sapessi, non daresti ai tormenti le teste dei santi, ma umilieresti te stesso e crederesti in Dio e nel Signore Gesù Cristo e ai suoi servi e non a pietre e a metallo inutili”. Romolo, infuriato, diede istruzioni che fosse gettato vivo in un pozzo, con le mani ed i piedi legati. Ma quando il beato Ippolito fu gettato nel pozzo davanti alle mura di Porto Romano, fu sentita una voce per il tempo di un’ora, come di bambini che ad alta voce rendevano grazie a Dio. Romolo disse: “Riconosco questo come la follia delle arti magiche”.

VI

Allora, infuriato, cominciò a gridare e disse: “Questo Sabiniano che è consumato dal desiderio per le arti magiche e dalla bramosia per le ricchezze, lo spezzerò in un momento o lo strapperò da terra, se non si umilierà di fronte agli dei e non sacrificherà loro”. Dopo aver detto questo ordinò che fosse battuto con i randelli e gli fosse gridato con voce molto forte: “Restituisci i tesori dell’imperatore e umiliati davanti agli dei che governano lo stato[20]”. Ma egli invece diceva: “Ti rendo grazie, Signore Gesù Cristo, che ti sei degnato unirmi ai tuoi servi”. Ed anche se fu battuto a lungo, il suo viso rimase fermo e allegro. Romolo, infuriato, ordinò che fosse sollevato sul letto di tortura e mentre i suoi tendini si stiravano con forza e Romolo gli gridava a gran voce, continuò a rendere grazie al Signore Gesù Cristo. Romolo disse: “È pazzo e sicuro dei suoi espedienti magici”, ed ordinò che fosse tormentato dalle fiamme. E quando le fiamme furono avvicinate ai suoi fianchi, Romolo cominciò gridare e disse: “Ora provvedi a te e riconsegna i tesori!”. Il beato Sabiniano rese grazie a Dio dicendo: “Signore accogli il mio spirito”. E detto questo, rese lo spirito. Romolo ordinò che il suo corpo fosse gettato in un pozzo. Poco dopo, di notte, giunse un presbitero di nome Concordio, che tolse il corpo dal pozzo e lo depose vicino al corpo della beata Aurea il giorno quinto delle calende di gennaio[21]. Tutto ciò è accaduto durante il Regno del nostro Signore Gesù Cristo, al quale è la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen

Traduzione e note di E. M.
© Tradizione Cristiana

Febbraio 2009 

[1] Chryse, nel 1981 nella chiesa di S. Aurea ad Ostia è stata ritrovato un frammento di epigrafe: CHRYSE HIC DORM[IT], a riprova che in antico quello era stato il luogo di sepoltura di S. Aurea.

[2] Nel testo del Martirio di Censorino (in Acta Sanctorum, September, II, p. 521-524) l’imperatore è invece Treboniano Gallo (206-253).

[3] Fonti documentarie citano una “Massa Aureana” nell’area di Laurentum.

[4] Cfr. Filippesi 2, 7.

[5] Cfr. 2 Timoteo 2, 26.

[6] Cfr. Giovanni 11, 39.

[7] Cfr. Luca 7, 11-17.

[8] Cfr. 1 Pietro 2, 9.

[9] cathechizavit eum.

[10] Operava in qualità di sostituto del prefetto di Roma, quando quest’ultimo seguiva l’imperatore nei suoi spostamenti attraverso l’impero.

[11] in eculeo.

[12] Lo stesso rimprovero fu mosso da S. Agata a Quinziano, che aveva dato ordine agli aguzzini di strapparle via le mammelle: “Empio, crudele e disumano tiranno, non ti vergogni di strappare in una donna ciò che tu stesso succhiasti nella madre tua?”.

[13] ut non credant secundum morem antiquitatis: una delle maggiori accuse mosse ai cristiani, riportate già da Tacito e Svetonio, era proprio di diffondere una “superstitio nova ac malefica”, un culto quindi che, essendo incompreso nei suoi riti (i cristiani erano a torto accusati di cannibalismo e riti orgiastici) e non godendo nemmeno di antichità (come ad es. il Giudaismo o i culti Egizi e i vari altri orientali) era molto disprezzato dai Romani, e condannato dalle autorità civili, laddove il rifiuto di sacrificare agli dei e all’imperatore veniva visto non più come una semplice minaccia all’ordine pubblico (come furono considerati i culti dionisiaci delle baccanti) ma come vera e propria sovversione tendente a minare le basi dell’impero.

[14] ad arcum ante theatrum, il luogo del martirio è situato vicino all’arco gemellato di fronte al Teatro di Ostia, dove in seguito sorse una chiesa dedicata ai martiri, di cui restano alcune tracce tra cui il sarcofago di Ciriaco.

[15] in crypta.

[16] Nonosus nel martirio di Aurea in Acta Sanctorum, Augustus IV, p. 757-761 cap. II, 17; altrove citato come Nummus.

[17] Il corpo di s. Aurea fu deposto fuori delle mura urbane di Ostia, in quel podere di proprietà della sua famiglia dove aveva vissuto in esilio da Roma. I suoi resti furono in seguito trasferiti a Roma, presso la Catacomba di san Saturnino (o di Trasone) sulla via Salaria; nel 1735 furono definitivamente trasferiti ad Albano, nella chiesa delle Oblate di Gesù e Maria, dove sono tuttora esposte alla venerazione.

[18] 24 agosto.

[19] Si tratta di san Ippolito martire, vescovo di Porto, spesso confuso per errore con l’omonimo martire Ippolito Romano (quest’ultimo celebrato il 13 agosto). Il Martirologio Romano definisce il vescovo di Porto persona molto erudita, e lo dice martire sotto l’imperatore Alessandro, fissandone la memoria al 22 agosto. Parte delle sue reliquie si trovano nell’altare della chiesa di san Giovanni Calibita in Roma, e parte a san Lorenzo in Damaso, insieme a quelle di Ercolano e Taurino.

[20] res publica.

[21] 28 dicembre.

  • Sinassi dei Tre Gerarchi Basilio Magno, Gregorio il Teologo e Giovanni Crisostomo

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Il motivo dell’introduzione della festa è il seguente fatto:

Ai tempi del regno di Alessio Komneno ( 1081 – 1118 dC ), succeduto al potere reale di Niceforo III il Voteniate ( 1078 – 1081 dC), si è tenuta a Costantinopoli una disputa tra gli studiosi e gli uomini virtuosi. Alcuni consideravano superiore il Grande Basilio (cfr 1 gennaio ), caratterizzato dal genio e dal grande carattere. Altri collocavano in alto il santo Crisostomo (vedi 13 novembre) e lo consideravano superiore a Basilio Magno e a Gregorio e, infine, altri vicini a Gregorio il Teologo (vedi 25 gennaio ), lo reputavano più venerabile degli altri due, vale a dire di Basilio e del Crisostomo. La disputa provocò la divisione di folle di cristiani e alcuni venivano chiamati “Giovannitii”, altri “Vasiliti” e altri ancora “Grigoriti”. 

A questa disputa pose fine il Metropolita di Eucaita, Giovanni Mauropo. Egli, secondo la narrazione dei Sinassari, vide in visione questi grandissimi gerarchi, prima singolarmente e poi tutti e tre insieme. Gli dissero:<< Noi, come vedi, ognuno di noi è vicino a Dio e non c’è niente che ci separa o che ci sia motivo di contenzioso. Tuttavia, ciascuno di noi è stato presente in particolari circostanze di tempo e momenti critici,animati e guidati dallo Spirito Santo, ognuno ha scritto nei libri e a modo suo, insegnamenti che aiutano le persone a trovare la via della salvezza. Inoltre, le verità divine più profonde, che abbiamo potuto penetrare attraverso l’illuminazione dello Spirito Santo, noi le abbiamo incluse nei libri che abbiamo pubblicato. E tra di noi non c’è né primo né secondo, ma se chiami uno, lo accompagnano vicino gli altri due. Alzati, quindi, e dà l’ordine ai litigiosi di fermare i conflitti e smettere di dividersi per noi. Perché noi, sia durante la vita terrestre sia ora in che siamo andati in cielo, abbiamo avuto a cuore e ci curiamo di mettere pace e di guidare nella concordia il mondo. E designa un giorno per essere la celebrazione della nostra memoria comune e, come è tuo dovere agisci per introdurre la festa nella Chiesa, e di preparare la sacra officiatura. Ancora altro tuo dovere, tramanda alle generazioni future che siamo uno per Dio. Certamente, collaboreremo per la salvezza di coloro che celebreranno la nostra memoria, perché abbiamo confidenza presso Dio. ”

Così il vescovo di Eucaita Giovanni si impegnò nella riconciliazione delle fazioni in lotta, raccomandò la celebrazione del 30 gennaio e scrisse e l’officiatura comune, degna di tre Grandi Padri. 

La festa della Sinassi di Basilio Magno, Gregorio il Teologo e Giovanni Crisostomo, è il simbolo visibile dell’uguaglianza e dell’unità dei Grandi Maestri, che hanno insegnato con la loro vita santa il Vangelo di Cristo. Essi sono coloro che a causa della loro umiltà di fronte alla verità, hanno ricevuto il dono di esprimere la conoscenza universale della Chiesa e ciò che hanno insegnato non è solo il loro pensiero o le loro convinzioni personali, ma sono in aggiunta, la testimonianza della Chiesa stessa, perché parlano della profondità della completezza universale. 

All’inizio del 14 ° secolo fu costruita la chiesa dei Tre Gerarchi vicino a Santa Sofia di Costantinopoli, quasi accanto al monastero Panachrantou.

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