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Sinassario | 14 ottobre 2023

Ott 13, 2023 | Sinassario

  • Memoria dei quattro martiri di Milano Nazario, Gervasio, Protasio e Celso

testo inglese tradotto da Giovanni Fumusa

I quattro martiri di Milano Nazario, Gervasio, Protasio e Celso

Tratto da: https://www.johnsanidopoulos.com/2010/10/four-martyrs-of-milan-nazarius.html

Traduzione a cura di Giovanni Fumusa.

Tra le Vite dei Santi giunte a noi dall’alba del Cristianesimo, siamo fortunati nel poter annoverare la storia dei quattro martiri Nazario, Gervasio, Protasio e Celso. La loro santa memoria non è conservata soltanto dalla Chiesa Ortodossa, ma anche dai pii cattolici di Milano, dove le loro reliquie sono conservate nella Basilica di S. Ambrogio.

  1. Nazario nacque a Roma da padre ebreo e da Perpetua una cristiana che era stata battezzata dall’Apostolo Pietro. Indubbiamente fu grazie alle sue preghiera che Nazario, una volta maggiorenne, decise di abbracciare la fede cristiana. Fu battezzato da S. Lino, che succedette all’Apostolo come Vescovo di Roma.

Nazario si dimostrò desideroso non solo della propria salvezza, ma anche di quella altrui. Fu molto generoso nel fare la carità e, lasciando Roma per Milano, donò tutti i suoi averi ai poveri ed utilizzò l’eredità ricevuta per alleviare le sofferenze di tutti quei cristiani incarcerati in seguito alle persecuzioni di Nerone.

Tra quanti beneficiarono dalle devote conversazioni e dall’aiuto materiale di Nazario vi erano due fratelli, gemelli, Gervasio e Protasio, i quali desideravano la corona dei martiri. Nazario provò talmente tanto amore per quei zeloti che si rammaricò di doversi separare da loro, preferendo morire in loro vece.

Il governatore della regione, Anulino, ben presto udì delle attività di Nazario tra i prigionieri e ordinò che fosse portato a giudizio. Anulino, apprendendo che Nazario era romano di nascita, tentò di persuaderlo a rispettare gli idoli dei suoi antenati, onorati fin dall’antichità dai romani con sacrifici e riverenze. Nazario audacemente redarguì il governatore e ridicolizzò la religione pagana, al qual punto il governatore ordinò che fosse percosso sulla bocca. Quando Nazario insistette nel confessare l’Unico Vero Dio, venne percosso ancora di più e fu bandito con disonore dalla città. S. Nazario fu sopraffatto dal dolore per essersi separato dai suoi amici Gervasio e Protasio, ma gioì per essere stato considerato degno di soffrire per Cristo e trovò conforto nelle Sue parole: “Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia” (Mt. 5:11).

La notte seguente gli apparve in sogno la madre dicendogli di andare in Gallia e di lavorare sodo per diffondere il Vangelo. Nazario partì di buona lena verso Ovest predicando Cristo e illuminando molti con la sua conoscenza del Vero Dio.

Nella città di Melia, ricevette dalle mani di una certa donna nobile e credente un fanciullo di tre anni di nome Celso. Nazario lo fece battezzare e lo educò nella pietà. I suoi sforzi furono premiati con successo poiché, quando il ragazzo crebbe, lavorò al fianco del proprio precettore predicando il Vangelo. Il loro mutuo zelo li rese degli obiettivi sensibili. A Trier furono catturati da alcuni adoratori degli idoli e portati al cospetto di Nerone che tentò con loro ogni mezzo di tortura prima di farli infine gettare in mare ad annegare. Ma Dio Onnipotente si compiacque nel mostrare il proprio favore ai Suoi amati confessori e permise loro di camminare sulle acque come su un campo pianeggiante. Vedendo questo miracolo, i servitori dell’Imperatore credettero che Cristo fosse il Vero Dio ed accettarono il battesimo da S. Nazario. Non tornarono alla corte di Nerone, ma iniziarono a servire il loro nuovo Signore, Gesù Cristo.

  1. Nazario tornò a Milano col suo discepolo e riprese a predicare il Vangelo. Per questo motivo fu nuovamente portato dinanzi ad Anulino il quale, apprendendo che Nazario era stato nelle mani dello stesso Nerone, si meravigliò che fosse ancora tra i vivi, conoscendo la crudeltà tirannica di Nerone. Il governatore tentò invano di costringere Nazario e Celso ad adorare gli dei pagani. Gettati in carcere, furono pieni di gioia nel trovarsi in compagnia di Gervasio e Protasio. Col trascorrere del tempo, tuttavia, Nerone apprese della fuga miracolosa di Nazario e Celso dagli abissi della morte; fortemente incollerito, inviò ad Anulino un decreto con cui ordinò la loro immediata esecuzione; le teste di questi due martiri furono tagliate via con una spada.

Un cristiano che viveva nei dintorni della città ottenne segretamente i loro santi resti e li portò a casa. Giungendo a casa, la figlia malata si levò dal letto come se non avesse mai sofferto di alcuna malattia. La famiglia gioì per questo miracolo e seppellì riverentemente i corpi dei martiri in una tomba nuova scavata in giardino.

Poco dopo la decapitazione di Nazario e Celso, ecco che giunse nella città di Milano il comandante militare Astasio, che era impaziente di vincere nella guerra contro la Moravia, a nord. Per guadagnarsi il favore degli dei, il sacerdote pagano consigliò ad Astasio di costringere Gervasio e Protasio a sacrificare agli idoli. Gervasio morì in seguito alle percosse, Protasio fu infine decapitato. Ed ecco che si riunirono ai loro amati amici Nazario e Celso nel coro dei martiri. Un cristiano di nome Filippo prese i corpi dei martiri e li seppellì a casa sua.

Le reliquie di tutti e quattro i martiri rimasero nascoste nella terra fin quando non furono scoperta nel IV sec. da S. Ambrogio di Milano. Il ritrovamento delle reliquie di S. Nazario è descritto dal presbitero Paolino nella sua Vita di S. Ambrosio:

“Vidimo nella tomba… sangue come se fosse appena sgorgato dal corpo. Il capo con capelli e barba era talmente conservato che sembrava appena posto nella tomba. Il volto era raggiante…” Le reliquie del martire Celso furono trovate lì vicino ed i resti di entrambi i martiri furono entrambi trasportati solennemente nella Cattedrale dei Santi Apostoli a Milano.

  1. Ambrogio descrisse la visione che portò alla scoperta dei resti dei santi martiri Gervasio e Protasio.

Una notte, durante un tempo di preghiera e digiuno, S. Ambrogio cadde in un tale stato che, dice, “pur volendo, non dormii, né provai qualcosa. Poi vidi due giovani, vestiti di bianco, che alzavano le braccia e pregavano. Preso dal sopore, non fui in grado di parlare con essi e quando fui in me, i due non erano più visibili.” Non sapendo se si trattasse di una rivelazione da Dio o di una visione mandata dal diavolo, S. Ambrogio intensificò il suo digiuno e supplicò Dio di rendergli chiara la cosa. Una seconda notte, gli apparvero i due giovani come la volta precedente. La terza notte apparvero nuovamente assieme ad un uomo somigliante all’Apostolo Paolo per come viene rappresentato sulle icone. Indicando i giovani, disse a Sant’Ambrogio: “Questi sono coloro i quali, udendo le mie parole, hanno disprezzato il mondo e le sue ricchezze, ed hanno seguito Nostro Signore Gesù Cristo… I loro corpi scoprirai giacenti in una tomba sotto lo stesso posto in cui ti trovi e preghi. Toglili dalla terra e costruisci una chiesa il loro onore.”

Avendo convocato i suoi fratelli vescovi, S. Ambrogio riportò loro la visione ed iniziarono a scavare. Trovarono i corpi dei martiri che emettevano una fragranza meravigliosa. Nella tomba, vicino le loro teste, c’era un libricino scritto dal servo di Dio Filippo che aveva conservato per i posteri i nomi di questi martiri e alcuni dettagli della loro vita. I loro genitori, Vitale e Valeria, morirono entrambi confessori della Fede. I gemelli, orfani, vendettero i loro averi, liberarono I loro schiavi, e per dieci anni si dedicarono completamente alla preghiera, al digiuno e alle letture spirituali. L’undicesimo anno, furono imprigionati da Anulino e patirono la morte corporale per la vita eterna con Gesù Cristo.

Quando le loro sante reliquie furono tolte dalla terra, i malati cominciarono ad ottenere guarigioni, i demoni furono scacciati dalle persone, i ciechi ottenerono la vista. Quindi il santo Ambrogio si ricordò che nella città vi era un noto cieco di nome Severgno; non appena toccò il lembo dei capi posti sulle reliquie dei martiri, l’oscurità del cieco fu dispersa e vide la luce del giorno. [Questo miracolo particolare è citato anche dal Santo Agostino nel suo libro La Città di Dio].

Per le preghiere dei Tuoi Santi, Signore, illumina i nostri occhi spirituali, affinché possiamo camminare nella luce del Tuo Volto e nel Tuo Nome gioire per sempre. Amin.

Apolytikion, Tono Quarto

I tuoi martiri, Signore, con la loro lotta hanno ricevuto da te, nostro Dio, le corone dell’in-corruttibilità: con la tua forza, infatti, hanno abbattuto i tiranni ed hanno anche spezzato le impotenti audacie dei demoni. Per le loro preghiere, o Cristo Dio, salva le anime nostre, Tu che sei misericordioso.

Apolytikion, Tono Quarto

Lodiamo i quattro martiri Nazario, Gervasio, Protasio e Celso, poiché hanno predicato la Trinità a tutti e con la loro lotta hanno scacciato l’adorazione degli idoli. Per le loro preghiera, o Cristo Dio, abbi di noi tutti misericordia.

Kontakion, Tono Secondo

Diffondendo la luce dei miracoli come lampade splendenti, o Martiri di Dio, rendete luminoso tutto il Creato, dissipando sempre la profonda oscurità della malattia e dei mali e incessantemente supplicando Cristo, unico Dio, affinché doni alle nostre anime la Sua misericordia.

  • Memoria del nostro venerando padre Cosma il Poeta, vescovo di Maiuma

Fratello adottivo di san Giovanni Damasceno, ebbe per maestro un asceta calabrese o siciliano, anche lui di nome Cosma, che, fatto prigioniero dei saraceni, venne liberato da Sergio padre di Giovanni Damasceno. Fu monaco nella laura di San Saba presso Betlemme; nel 743 ottenne la diocesi di Maiuma di Gaza.

Fu autore di vari componimenti e di canoni molto ammirati dai coevi e ancor oggi in uso nella liturgia ortodossa.

  • Memoria della nostra santa Madre PARASCEVE la Giovane

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Santa Parasceve nacque in Tracia nell’XI sec. da ricchi e nobili genitori. All’età di dieci anni, eccelleva già nelle sante virtù evangeliche e scambiava all’insaputa dei suoi genitori i suoi ricchi vestiti con i cenci dei mendicanti che chiedevano l’elemosina all’uscita della chiesa. Ella abbandonò la famiglia e tutti i suoi beni per andare a Costantinopoli, al fine di venerare le preziose reliquie che vi erano conservate in gran numero. Da lì, ella andò ad Eraclea nel Ponto per sfuggire alle ricerche dei suoi genitori e restò cinque anni a vivere nella solitudine, il digiuno, le veglie, le lacrime e la preghiera continua presso una piccola chiesa dedicata alla Madre di Dio. Come tutti i cristiani, la santa desiderava con tutto il suo cuore venerare i luoghi dove il Signore aveva camminato, perciò lasciò il suo ritiro e andò a Gerusalemme. Da lì si stabilì in un monastero del deserto del Giordano, dove le monache vivevano in un’ascesi molto rigorosa, cosa che le diede l’occasione di perfezionarsi nella virtù e raggiungere le cime ammirabili della santa umiltà e della carità. Dopo venticinque anni di lotte quotidiane contro le passioni e i demoni, Parasceve partì per Joppè (l’attuale Giaffa), dove si imbarcò per raggiungere la sua patria. Dalla Tracia, andò a venerare le reliquie di Costantinopoli e si installò in un villaggio di nome Callicratia, presso una chiesa dedicata ai Santi Apostoli. Due anni più tardi rimise in pace la sua anima tra le mani degli angeli che la condussero nelle dimore terne. Le sue sante reliquie furono scoperte in seguito ad una visione numerosi anni più tardi e compirono una moltitudine di miracoli, poi furono trasferite a Belgrado. Quando i turchi presero la città, vennero trasportate a Costantinopoli e da lì a Iaşi in Moldavia (1641).

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