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Sinassario | 13 marzo 2023

Mar 12, 2023 | Sinassario

13 marzo- memoria del trasferimento delle reliquie di San Niceforo, patriarca di Costantinopoli (846);di san Puplio ieromartire, vescovo di Atene (II sec.); dei santi Africano, Puplio e Terenzio martiri; di sant’Abibo di Ermupoli; di Alessandro e Dionisio martiri; dei santi Fronto e Fronimo; di santa Cristina di Persia; della beata Eufrasia; di san Mario vescovo di Sebastea; di san Teoctisto, monaco a San Saba (797); di san Leandro, di Spagna; della beata Ipomonì (1450)

Kontàkion

Tono pl. 4. Come primizie.

Tu hai reso splendente la folla dei teòfori che illumina la terra, perché essi sono araldi della pietà e hanno chiuso la bocca all’empietà. Per le loro preghiere custodisci in pace perfetta quanti ti glorificano e ti magnificano, affinché a te salmeggino e cantino: Alliluia.

Ikos

Ho ben considerato i piaceri della vita, scrutando col pensiero ciò che avviene e osservandone l’affanno ho detto infelice la vita dei mortali: voi soli ho proclamato beati, voi che avete scelto la parte buona: amare Cristo, stare a lui vicini e soavemente salmeggiare col profeta Davide: Alliluia.

Sinassario

Il 13 di questo mese memoria della traslazione delle reliquie del nostro santo padre Niceforo, patriarca di Costantinopoli.
Stichi. La città da cui un tempo fosti bandito si rallegra, Niceforo, di accogliere le tue ceneri. Il tredici il Bosforo è attraversato da un trionfale corteo per rendere alla Città un corpo venerabile.

Lo stesso giorno memoria dello ieromartire Publio, vescovo di Atene.
Stichi. Indossi davanti a Dio la veste splendida, tinta nelle onde del tuo sangue, o beatissimo.

Lo stesso giorno memoria dei santi Africano, Publio e Terenzio martiri, la cui sinassi si tiene nella Chiesa dei santi Pietro e Paolo.
Stichi. Un comune distico conviene che celebri assieme i tre martiri, uccisi dalla stessa spada.

Lo stesso giorno santo Avìv di Ermopoli muore legato a un masso e gettato in un fiume.
Stichi. Avìv, gettato nel fiume legato a una pietra, lascia la limacciosa sponda di questa vita.

Lo stesso giorno la santa martire Cristina dalla Persia morì flagellata.
Stichi. Cristina per Cristo soffre il flagello, che le strappa rivi di sangue.

Per le loro sante preghiere, o Dio, abbi pietà di noi. Amìn.

Sinassario del mineo, poi questo

Lo stesso giorno si fa memoria di tutti i santi, uomini e donne che rifulsero nell’ascesi.
Stichi. Alle anime degli asceti in eterna memoria porto in libagione la mia lode immortale.

Per le preghiere di tutti i tuoi santi asceti e di tutti i santi, Cristo nostro Dio, abbi pietà di noi. Amìn.

 

  • 03: Il trasferimento delle reliquie di San Niceforo, patriarca di Costantinopoli

Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli

Il trasferimento delle reliquie di San Niceforo, patriarca di Costantinopoli
Alla fine del periodo dell’iconoclastia e la restaurazione del culto delle Sante Icone, il patriarca Metodio (842-846) fece notare agli imperatori Michele e Teodora che non era giusto che le sante di San Niceforo non fossero conservate a Costantinopoli (il Patriarca Niceforo –patriarca dall’806 all’814- si era opposto alla politica iconoclasta dell’imperatore Leone V l’Armeno, e per questo era stato costretto ad abdicare e a ritirarsi nel monastero di San Teodoro, sulla sponda asiatica del Bosforo). Furono allora mandati per ordine degli Imperatori e del Patriarca degli ufficiali, i quali aprirono la tomba del Santo nel Monastero di San Teodoro e trovarono la sacra reliquia interra e incorrotta dopo 19 anni dalla morte. Con grande devozione e attenzione la imbarcarono su una triremi reale e la portarono all’Imperatrice. Quando la nave reale si avvicinò all’attracco, l’Imperatore e il senato uscirono in processione con ceri accesi per accogliere la reliquia e trasportarla fino alla Chiesa di Santa Sofia. Da qui, nell’anno 846 fu spostata nel tempio dei Santi Apostoli, dove venne celebrata la sua Sinassi.

  • 03: Memoria di SANTA YPOMONI’ (PAZIENZA) L’ULTIMA IMPERATRICE DEI ROMEI

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Testo di John Sanidopoulos

Santa Ypomonì (Pazienza), al secolo si chiamava Elena Dragaš, e più tardi in quanto moglie di Manuele II Paleologo fu chiamata: “Elena Paleologo, in Cristo Dio Augusta ed Imperatrice dei Romei”. Era la figlia di Costantino uno dei tanti despoti ed eredi del gran regno serbo di Stefano. Proveniva da una nobile e benedetta stirpe. Molti dei suoi antenati erano santi, per esempio Stefano Nemanja, il re dei Serbi e fondatore del Sacro Monastero di Hilandari della Santa Montagna, e il ben noto san Simeone il Mirovlita. Costantino Dragaš assunse il comando di quella che oggigiorno è la porzione nord est bulgara della Macedonia, nell’area fra i fiumi Axiou e Strymonos. La sua nascita ebbe luogo dopo la morte dell’era Dusan. La sua crescita e la sua educazione furono grandemente influenzati dal pensiero bizantino poiché i Serbi erano molti influenzati dalla cultura bizantina. Loro stessi si identificavano profondamente con la cultura e soprattutto la coscienza nazionale dell’impero bizantino. Emotivamente ed essenzialmente erano considerati Romei, per questo in seguito le fu concesso di diventare Augusta ed Imperatrice in quanto nata in Serbia. Oltre a ciò fu cresciuta nella tradizione famigliare dell’incrollabile fede Ortodossa. Questa fede la guidò e l’illuminò, ed ispirò la sua vita che fu piena di dolori e prove. Aveva 19 anni quando sposò Manuele II Paleologo (1390), pochi giorni prima che diventasse Imperatore.
La nuova vita di Elena si rivelò essere un Golgotha. Molte volte dovette bere la coppa degli insulti e dello svilimento da parte del marito, non solo da parte di quelli di altre religioni ma anche da parte dei cristiani dì Occidente, nel loro disperato tentativo di trovare modi per salvare l’impero morente. Elena dimostrò di essere una persona eccezionale e ottenne grandi virtù e forza spirituale. Dimostrò di avere una totale consapevolezza della sua posizione e delle circostanze, del suo ruolo e di ciò che era necessario, ad ogni livello. Amava le persone, era la “Grande Madre” a cui chiunque poteva avvicinarsi. Condivise le ansie e le preoccupazioni della sua nazione impaurita e qualsiasi cosa facesse era accompagnata dalla preghiera, dalle sue parole miti, dolci e consolanti. Quello che fu scritto su di lei da Giorgio Gemisto Pletone è molto caratteristico ed eloquente: ”Questa Imperatrice apparsa per seguire due modi di vita. Né il momento della prova la fece barcollare, né quando le fu concesso riposo, ma in ogni caso fece ciò che era necessario. Più di ogni altra donna unì intelligenza e coraggio. Si distinse per la castità ed ebbe una profonda rettitudine. Noi non sapevamo come non fare del male a nessuno, uomini o donne. Invece sappiamo che lei ha fatto molto bene a molti. Con quale altro modo può essere mostrata la giustizia, in pratica, se non per non fare la propria volontà o mostrare il male nei confronti di nessuno, ma solo fare bene a molti?” Si mostrò degna di suo marito amante di Dio, Manuele. Si dimostrò degna di affiancarlo per 35 anni in conformità con il loro martirio, in altre parole, tutto fu tenuto in accordo e armonia, co-spiriti di Dio in unità di lotte. Sono riusciti ad onorare la virtù con le parole ed i fatti.
Questa benedetta coppia è stata graziata da Dio con otto figli. Dei sei maschi, due ascesero al trono imperiale, Giovanni VIII e Costantino XI, l’ultimo è il leggendario imperatore. Teodoro, Demetrio e Tommaso divennero despoti di Mystrà e, Andronico di Tessalonika. Le due figlie, tuttavia, morirono in giovane età. La madre che ebbe così tanti figli e che li amò così tanto, nutrì loro con la fede e con il dolce insegnamento della nostra Chiesa Ortodossa, portando loro ai sacri santuari e monasteri dell’Impero. E cercò per loro preghiere dai santi asceti e anziani. Li crebbe “sin dalla giovinezza nelle legge del Signore”, e mai “cessò con le lacrime della preghiera e amore di instillare in ognuno di loro la legge”. Con pazienza e tenacia, con cura e preghiera plasmò i loro caratteri. In questo modo, fra l’altro, riuscì a porre fin a 90 anni di conflitto tra i membri della famiglia imperiale che aveva portato l’Impero all’estinzione. Ogni differenza d’opinione o conflitto che si verificò (dopo la morte di Manuele) fu superata silenziosamente con il prestigio del suo intervento materno e la sua preghiera.
Il suo amore verso i monasteri era speciale. Lì si sentiva riposata, la sua anima vi sarebbe rimasta, si fece forza e coraggio per quel che sarebbe seguito. Questo comunicò alla sua famiglia. Suo marito che cedette il trono al primogenito Giovanni due mesi prima di morire ( 29 maggio 1425 ) si ritirò nel Monastero di Pantokrator a Costantinopoli dove fu tonsurato monaco con il nome di Matteo. Lei dopo la morte del marito divenne monaca al Monastero della Signora Marta, con il nome di Ypomonì, (Pazienza). Anche tre dei suoi figli divennero monaci, Teodoro e Andronico (monaco Acacio) nel Monastero del Pantokratore, e Dememtrio (monaco Davide) a Didymotecho. Inoltre, fino a quando furono nella loro madrepatria, insieme a suo padre lei costruì il Sacro Monastero della Tuttasanta Pammakaristos (Beata Madre di Dio) a Poganovo, sudest della Serbia.
A Costantinopoli lei era associata al Sacro Monastero del Precursore di Petra, dove erano custodite le sacre reliquie di san Patapio Taumaturgo a cui santa Ypomonì mostro particolare devozione. Il monastero era stato fondato da un compagno d’ascesi in Egitto di san Patapio, Vara il Giusto, fuori la porta Romana prima del 450. Con l’aiuto di santa Ypomonì si fondò nel monastero un ospizio femminile col nome di “Speranza dei Disperati”. La sua venerazione nei confronti di san Patapio fu rivelata dal fatto che l’iconografo della grotta di San Patapio sulla Montagna Geraneia di Corinto considerò essenziale raffigurarla accanto al corpo del santo. Santa Ypomonì è stata una figura brillante ed illuminata, ricolma di molti talenti, che lei “commerciava” con saggezza e prudenza con grande guadagno. Gestiva con virtù l’ascesi e la resistenza fisica per u una ben difficile da raggiungere misura della virtù.
Una eminente figura del tempo, Gennadio Scolario, il primo Patriarca dopo la Caduta di Costantinopoli nel suo Discorso Consolatorio sull’imperatore Costantino XI, alla sezione “Alla dormizione di sua madre Ypomonì” scrive la seguente testimonianza: “Questa benedetta Imperatrice, quando veniva visitata da una persona sapiente, quest’ultimo veniva stupito dalla sua saggezza. Quando incontrava una persona ascetica, quest’ultimo rimaneva dopo l’incontro, stupito dalla povertà delle proprie virtù e meravigliato da quelle di lei. Quando incontrava una persona intelligente, questi rimaneva colpito dalla sua maggiore intelligenza. Quando incontrava un legislatore, questi diveniva più diligente. Quando parlava con dei avvocati, questi avevano la sensazione di parlare con la personificazione della Legge. Quando la incontrava un coraggioso, questi si sentiva sconfitto dalla sua pazienza, saggezza e forza di carattere. Quando era avvicinata da filantropi, questi si sentivano annientati dal suo maggior e percepibile senso di filantropia. Quando incontrava qualche amante dei divertimenti, questi otteneva saggezza e presso lei veniva a conoscenza della propria umiltà, si pentiva. Quando incontrava zeloti della pietà, essi ottenevano maggior zelo. Ogni sofferente incontrandola riceveva il sollievo delle proprie pene. Ogni arrogante redarguiva il proprio gran amore di sè. E in generale non esisteva nessuno che a suo contatto non divenisse una persona migliore”.
Iddio la graziò di non vivere gli ultimi tragici istanti dell’Impero. La chiamò a sé il 13 marzo 1450, avendo vissuto 35 anni da imperatrice e 25 da umile monaca. Il suo servitore Giovanni Eugenico, fratello di san Marco Arcivescovo d’Efeso nel suo Discorso Consolatorio sull’imperatore Costantino “Alla dormizione di sua madre, San Ypomoni”, scrive: “Per quanto riguarda la tua eterna Signora Madre, ogni cosa finchè visse è stata eccellente: la fede, le opere, la generazione, il modo di vivere, la parola e tutto insieme erano puri e degni del divino onore, come visse partecipe della divina Provvidenza, così finì. ” La” Santa Signora “come è chiamata da Giorgio Frantzes, è unita al significato del suo nome monastico (Pazienza) con il modo in cui affrontò il bene e anche i molti problemi della sua intera vita. Pazienza nella vita, nelle opere e nel nome monastico “. Nella pazienza, occupò la sua anima.”.

Il santo capo di Santa Ypomoni è custodito oggi nel Sacro Monastero di San Patapio a Loutraki di Corinto.

  • 03: Memoria di Sant’Ansovino vescovo di Camerino (verso 868)

tratto dal quotidiano Avvenire

Sant’Ansovino fu vescovo di Camerino, di cui è patrono, alla metà del IX secolo, precisamente dall’850 all’868, presumibile data della sua morte. Di origini probabilmente longobarde, fu educato presso la scuola della cattedrale di Pavia. Prima di essere scelto come vescovo della località marchigiana, fu consigliere dell’imperatore Ludovico II sempre a Pavia. La sua carità e la visione netta del proprio ruolo pastorale lo portarono a contestare con coraggio proprio il sovrano: infatti, non accettò l’episcopato fin quando non ebbe da Ludovico l’assicurazione che non gli sarebbe stato chiesto di impugnare le armi, come purtroppo spesso accadeva ai vescovi del tempo

tratto da

http://www.santiebeati.it/dettaglio/45100

Ludovico II, re d’Italia, associato all’impero dal padre Lotario I, volle Ansovino a Pavia come suo consigliere e confessore. Alla morte del vescovo di Camerino, Fratello, i concittadini lo elessero suo successore, ma Ansovino accettò solo quando Ludovico, rassegnato a perderlo, lo ebbe prosciolto dall’obbligo di servire in armi l’impero. Consacrato a Roma da Leone IV, vi ritornò per il Concilio Romano indetto da Niccolò I nell’861, e si firmò Ansuinus Camerinensis.

Il suo ministero si distinse per la generosità verso i poveri e per l’impegno posto nella pacificazione delle fazioni. Morì il 13 marzo nel diciottesimo anno del suo episcopato. In quel giorno lo ricordano i martirologi, tra cui quello dei Canonici Regolari Lateranensi. Un sarcofago monumentale eretto verso il 1390 nella Metropolitana di Camerino, conserva il suo corpo.

Anticamente la festa era celebrata con luminarie a cui partecipavano i sindaci di oltre ottanta castelli dello stato di Camerino. Al suo nome e a quello di s. Venanzio fu dedicata nel 1674 dalla comunità camerinense di Roma la chiesa di S. Giovanni in Mercatello (poi di S. Maria di Loreto ai piedi del Campidoglio, demolita nel 1999. Oltre a due chiese rurali in diocesi di Camerino i torricella e Avacelli), portano il nome di Ansovino la parrocchiale di Casenove (Foligno), quella giá dei Minori Osservanti di Bevagna ed un’altra, ora scomparsa, presso Monsammartino.

Panegirico in onore di s. Ansovino vescovo, e protettore di Camerino …

Sta in

https://books.google.it/books?id=lvniVJvpbEcC&pg=PA1&lpg=PA1&dq=ANSOVINO+VESCOVO+DI+CAMERINO&source=bl&ots=EkWcp2jdb4&sig=H2Xu_DLU6tQ3gRdu7ENDDCKeWsM&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiH_vb9hOXZAhWBShQKHWW3C-IQ6AEIOjAD#v=onepage&q=ANSOVINO%20VESCOVO%20DI%20CAMERINO&f=false

 

CHIESA DI S. ANSOVINO (Avacelli)

tratto da

http://www.avacelli.it/Pagine/arte_libro2.htm

Questa piccola chiesa è interessante giù per il suo titolo perché S.Ansovino, di stirpe longobarda e vescovo di Camerino dall’850 all’868, fu “contestatore delle leggi franche che costringevano abati e vescovi alla milizia e alla guerra” e perché è patrono della diocesi di Camerino (A.A.Bittarelli).

 

La chiesetta di S. Ansovino, studiata sotto il profilo artistico dal Serra e dal Cardelli e sotto il profilo storico dal Sassi (1), è situata tra Serra S. Quirico e Avacelli, nella profonda valle sottostante questo ultimo centro. Forse per tale posizione è denominata “Santo Ansovino de la fossa” giù nella prima menzione che risale all’anno 1082, regnante Enrico imp. et temporibus domno Rainerio dux et marchio, contenuta in un atto di donazione all’abbazia di S. Vittore alle Chiuse di alcune terre vicine alla chiesetta da parte di un piccolo feudatario del luogo. L’atto ci rivela fra l’altro che la zona faceva parte del ducato longobardo di Spoleto (ibis). La seconda menzione è del febbraio del 1084 e si ritrova in un atto di vendita alla stessa abbazia di S. Vittore di altre terre situate nelle vicinanze della chiesa di S. Ansovino; la terza è del settembre dello stesso anno, in un altro atto di vendita.

 

Un’altra donazione del 1102 ricorda ancora la nostra chiesetta. Il Sassi comunque, sulla base di altri documenti, esclude che essa appartenesse a S. Vittore e in mancanza di dati certi ipotizza, a motivo della dedicazione, una fondazione secolare, da parte cioè del vescovado di Camerino, nella cui diocesi, che ha per patrono S. Ansovino, rientrava e rientra tuttora la piccola chiesa. Ma dall’esame della bolla di Innocenzo III del 1199, confermante alla abbazia di S. Elena i beni da questa posseduti, si rileva che a tale abbazia apparteneva anche la ecclesiam sancti Ansovini (2). La chiesetta risalirebbe all’XI secolo e costituisce una ulteriore testimonianza del vasto raggio di influenza religiosa e civile dell’abbazia di S. Elena anche questa in territorio diocesano di Camerino).

 

Dal punto di vista architettonico, si tratta di una chiesetta romanica, costruita in blocchetti irregolari di pietra, a pianta rettangolare, conclusa da una graziosa, piccola abside semicircolare traforata da una monofora a doppio strombo e ornata da colonnine con capitelli che terminano in corrispondenza di una semplice fascia decorativa, originariamente forse ad archetti. Archetti pensili e due monofore sono parzialmente visibili sulla originaria parete destra (3), per gran parte coperta dalla abitazione colonica che successivamente vi è stata addossata. La facciata ha lesene ai lati e mostra una tripartitura verticale, determinata dal tenue aggetto di un corpo intermedio includente sia il piccolo portale con arco a pieno centro, sia la nicchietta con croce scolpita su una lastra di pietra e la sovrastante finestra circolare. All’interno è ben visibile la struttura a due campate, ciascuna di pianta quasi quadrata, distinte da due semipilastri addossati alle pareti e sormontati da capitelli, di cui il destro di notevole interesse. In origine le due campate, oggi coperte da tetto a capriate, dovevano avere copertura a crociera (4). Sui muri laterali si incurvano due archi a tutto sesto convergenti su detti capitelli; sulla parete di destra, oltre alle due accennate monofore, ora chiuse, sono visibili una porticina anch’essa chiusa e tracce di affreschi. A tutto sesto è anche la doppia arcata absidale poggiante su quattro pilastrini per lato, sormontati da capitelli di notevole interesse dei quali, come dei precedenti, si parlerà nel capitolo della scultura. La chiesa risalirebbe all’XI secolo e tale datazione non è esclusa dallo stesso Cardelli sulla base di elementi stilistici. Si tratta dunque di uno dei monumenti più antichi della Vallesina e di uno dei pochi esemplari integralmente romanici (per la visita all’interno contattare il parroco di Avacelli).

 

  1. L. SERRA, op. cit.; E. CARDELLI, Una chiesetta del XII secolo nelle Marche, in Rassegna Marchigiana Arti Fig. a. VIII, fase. VIII-X, 1930, p. 297. R. SASSI, Intorno all’origine di S. Ansovino di Avacelli, in Rassegna marchigiana, cit., fasc. XI-XII, 1930. Per la figura del vescovo Ansovino cfr. A.A.BITTARELLI, Longobardi e benedettini nelle valli di Pieve Torina e Monte Cavallo, in Istituzioni e società nell’alto medioevo marchigiano, cit., pp. 583-586

1 bis. SASSI, op, cit.

  1. Ann. Camald. t. IV app. CXXXVIII. Che si tratti della nostra chiesetta è convalidato dall’essere questa elencata immediatamente prima di altri beni dell’Abbazia nella zona, in particolare prima della “ecclesiam sancte Maria de Monte-Morano”.
  2. La parete sinistra è stata invece ricostruita.
  3. E. CARDELLI, op. cit.
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