- Memoria del nostro santo Padre SABA di Vatopedi
a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria
Memoria del nostro santo Padre SABA di Vatopedi*.
San Saba l’Esicasta nacque verso il 1283 a Tessalonica. I suoi genitori lo prepararono ad una carriera militare, ma, comprendendo la vanità di questa vita terrestre, dall’età di diciassette anni, fuggì senza prendere niente con sé verso la Santa Montagna dell’Athos, ricercando con anima alterata dalla sete di Dio, un anziano rude e austero che avrebbe potuto guidarlo sulla via sicura dell’obbedienza e dell’umiltà. Avendo trovato a Karyes un tale maestro nella << scienza delle scienze >>, si incamminò con fervore nel combattimento ascetico, bevendo con delizia, come bevanda di immortalità, le ingiurie, le derisioni e perfino le botte del suo padre spirituale. La fame, la sete ed ogni sorta di privazioni erano per lui il suo modo di completare nel suo corpo le sofferenze del Cristo. La sua rinuncia completa, in ogni occasione, alla volontà propria, lo rendeva così disponibile alla volontà di Dio e lo liberava così bene da ogni preoccupazione di questo mondo che, divenuto come trasparente alla presenza di Dio, la calma e la pace della sua anima si rifletteva in tutta la sua apparenza esteriore e lo rendevano amabile per tutti. La dolcezza e l’amore fraterno gli erano divenuti così naturali che un giorno, mentre camminava con un altro monaco, prese su di sé il sacco del suo compagno affaticato e poiché costui era ancora lento nel passò, caricò così anche lui sulle sue spalle. Finalmente il suo anziano, ammirando l’umiltà e l’obbedienza del suo discepolo, gli propose il sacerdozio; ma Saba fuggì segretamente il giorno stesso della sua ordinazione e ritornò solo quando fu sicuro che poteva dimorare privo di questo onore. Dopo sette anni, sotto il regno dell’imperatore Andronico Paleologo, i saccheggi commessi sull’Athos dalla << Compagnia Catalana >> costrinsero alla fuga numerosi monaci. L’anziano di Saba decise di fuggire a Tessalonica, ma il giovane monaco rifiutò di seguirlo per paura di trovarsi lì esposta alle tentazioni del mondo che aveva lasciato. Né era possibile andare altrove, poiché poco tempo dopo i Turchi assediarono la città, annullando ogni speranza di rifugio. Ridotto così alla vita solitaria, Saba decise di intraprendere un pellegrinaggio ai Luoghi Santi. Arrivato a Cipro, con l’anima divorata dall’amore divino, iniziò ad incamminarsi, con l’aiuto di Dio, sulla via ardua e pericolosa della follia simulata per Cristo. Spogliandosi dei suoi abiti, vivendo in un completo distaccamento da ogni cosa del mondo, senza tetto, sconosciuto e deriso dagli uomini, si offriva come vittima innocente alla derisione, agli scherzi, alle ingiurie, a imitazione di Cristo nella Sua Passione. Egli andava così di luogo in luogo, senza mai chiedere la elemosina, nutrendosi di erbe selvatiche e isolandosi di tanto in tanto in un luogo deserto o in una grotta per dedicarsi alla pura contemplazione. Come egli rivelò più tardi ad un suo discepolo, questa via della morte volontaria al mondo attraverso la follia simulata, sconsigliata per prudenza da molti dei Santi Padri, non è possibile e non porta frutti se non per quelli che sanno guardare, nelle loro eccentricità, una stretta vigilanza di se stessi a mezzo del silenzio. Fu perciò che nei ventanni della sua santa follia, san Saba manteneva scrupolosamente un completo silenzio, concentrando in ogni occasione la sua attenzione sul combattimento interiore dei pensieri. Questo silenzio non implicava in lui alcuna durezza o egoismo su di sé; egli era al contrario sempre sorridente e affabile verso tutti quelli che lo incontravano, sia buoni che cattivi. Poiché un giorno una donna ammirò la sua bella prestanza egli si gettò fino a sera in una fossa di letame. Dovunque egli andasse si sforzava di attirare il riso e la vessazione, come per prender tutto l’odio degli uomini e purificare il mondo, a imitazione del Cristo e dei martiri che pregavano per i loro carnefici. Un’altra volta, poiché si era presentato alla porta di un monastero latino dell’isola, i monaci, vedendo questo asceta vagabondo, l’ingiuriarono e lo gettarono fuori, riempiendolo di botte. Mentre giaceva a terra tutto dolorante, una luce divina, scaturita dal suo intelletto (nous) che si teneva senza sosta teso verso Dio attraverso la preghiera silenziosa, si spanse sul suo corpo e lo guarì miracolosamente, dandogli così per la prima volta un segno dell’incorruttibilità promessa ai santi nel Regno di Dio. Egli riprese senza tardare il suo modo di vita errante. Ma, poiché aveva concesso ad un benefattore di aprire la bocca per rivelargli il suo nome, la popolazione comprese che egli simulava la follia. Si cominciò così ad ammirarlo, ad onorarlo, a venire a chiedere le sue preghiere, a dipingere perfino la sua icona e venerarla come un santo. Malgrado tutti i suoi sforzi per fuggire la stima degli uomini, la fama di san Saba si estese fino a Costantinopoli e al Monte Athos. Egli decise allora di fuggire e andare in Terra Santa. Da Gerusalemme camminò per venti giorni nel deserto fino al monastero del Monte Sinai, dove restò due anni come semplice novizio. Poi, di ritorno a Gerusalemme, stabilì la sua residenza in una grotta del deserto del Giordano, dove si consacrò in permanenza alla preghiera pura che unisce l’anima a Dio. Un demone si scagliò un giorno su di lui sotto forma di terribile serpente, ma Saba lo scacciò con l’invocazione del Nome di nostro Signore Gesù Cristo, senza lasciarsi minimamente distrarre nella sua preghiera. Questa vittoria sul demone gli aprì l’accesso alla grazia della deificazione. La stessa Luce divina che era emanata dal Corpo di Cristo alla sommità del Tabor, facendo godere i tre santi Apostoli, misuratamente, della gloria di Dio, illuminò improvvisamente la grotta. Caduto a terra e liberato da ogni attività naturale dei sensi, Saba contemplò allora con gli occhi del suo spirito trasfigurato dal Santo Spirito, il Cristo stesso nella sua Gloria, Gloria e Luce che non è altro che il Regno dei Cieli già accessibile in parte quaggiù. Divenuto <> per grazia, san Saba poteva <> Dio quale Egli è, in pegno della vita eterna.
Benché si sforzasse di nascondere questa grazia, la sua fama attirava da ogni parte monaci desiderosi di ascoltare una parola di edificazione spirituale, ma nessuno riuscì a fargli rompere il suo silenzio. Egli fuggì di nuovo nel deserto, nudo e senza nutrimento, alla ricerca di una comunione più perfetta con Dio solo. Dopo cinquanta giorni di cammino, cadde a terra spossato e senza nessuna speranza di soccorso umano. Fu allora che Dio gli inviò, circondato di luce e di celeste profumo, un Angelo che lo confortò e lo prese da allora sotto la sua protezione. La luce abbagliante della grazia di Cristo divenne ormai tutto per lui: nutrimento, vestimento, salute, riposo … La Grazia di Dio unita alla sua anima si spandeva sul suo corpo e lo faceva partecipare all’incorruttibilità divina, nella misura stessa dell’unione naturale del suo corpo e della sua anima. Egli restò così per quattro anni nel deserto, godendo come un angelo nel corpo della divina illuminazione, protetto dal suo Angelo contro tutti i trabocchetti dei demoni.
Egli andò in seguito al monastero di san Saba, per vivere da recluso. Dall’esterno i monaci potevano sentire il chiasso e le grida provocate dai demoni, ma l’impossibile Uomo di Dio restava imperturbabile, immerso in permanenza nella contemplazione. Un giorno i demoni si precipitarono su di lui e lo gettarono a testa in giù su uno strapiombo profondo. Sostenuto dal suo Angelo, il santo si ritrovò in piedi indenne, e restò là in estasi, in piedi e immobile, le mani alzate verso il cielo, senza mangiare, né bere né dormire per quaranta giorni. Di quali rivelazioni fu allora testimone! Come Mosè sulla sommità del Sinai! Elevato in spirito al di sopra del cielo e degli ordini angelici, bagnato di luce e di gloria divina, arrivò fino alla sorgente di ogni Luce, Nostro Signore Gesù Cristo. Essendo la visione di Dio divenuta unione intima e personale con Cristo, egli si intratteneva ormai con Dio come con un Amico, nella certezza che era divenuto <> secondo la Grazia, senza essere minimamente impacciato dal suo corpo mortale. Quando i monaci andarono a tirarlo da questo abisso, egli usciva da questa estasi e, di ritorno nella sua cella, raddoppiava il fervore nei combattimenti ascetici. Non si nutriva che di un po’ di pane secco e acqua e restò un anno intero disteso senza muoversi su un lato; poi passo un altro anno seduto immobile su uno sgabello. Più la grazia lo rendeva simile a Dio, più sprofondava nell’abisso dell’umiltà e perciò dopo tre anni di tali sforzi lasciò san Saba e chiese di essere ricevuto come novizio in un cenobio sulla rive del Giordano. Egli ricevette là l’obbedienza di sagrestano e le sue virtù erano oggetto d’ammirazione degli altri monaci che ignoravano le sue esperienze anteriori. Dopo essere stato elevato fino alla sommità della contemplazione il santo ridiscese così verso la vita comune. La sua umiltà era tale che un giorno si offrì in cibo a dei leoni che si erano precipitati sugli agnelli del monastero. Le belve si arrestarono bruscamente nel loro slancio e rientrarono a testa bassa nelle loro tane.
Il suo Angelo allora gli apparve, ordinando gli di lasciare la Terra Santa per rientrare in terra bizantina e dare profitto a numerose anime. Riprendendo lentamente la strada per Costantinopoli, soggiornò per quattro anni nelle solitudini dell’isola di Creta, dimorando perpetuamente in piedi, senza mai stendersi. Poi, dopo essere passato nel Pelopponeso, in Macedonia e in Tracia, arrivò a Costantinopoli e si fermò in una cella al monastero di san Diomede, rifiutando ogni visita, con il viso costantemente ricoperto dal suo koukoulion (velo). L’imperatore Andronico II ed i patriarca Isaia, informati della presenza di questo uomo Teoforo, tentarono senza successo di incontrarlo. Poiché alcuni avevano masso in discussione la sua ortodossia, si accontentò di scrivere una confessione di fede ed una dichiarazione di fedeltà all’imperatore ed al patriarca, poi fuggì verso l’Athos e chiese di essere ricevuto come semplice monaco a Vatopedi. Fu là che incontrò il suo discepolo e biografo san Filoteo ( 11 ott. ) e che ruppe il suo silenzio di venti anni. Simultaneamente sacrestano, infermiere e refettoriere, si sforzava di mantenere le sue virtù e le grazie che aveva ricevuto da Dio, e rifiutava ogni onore e responsabilità che si volesse affidargli, per paura di essere così privato della grazia che procura l’umile sottomissione. Egli dovette accettare di prendere parte alla missione athonita inviata nel marzo 1341 a Costantinopoli, nel tentativo di riconciliare Giovanni V Paleologo e Giovanni Cantacuzeno e di mettere così fine alla guerra civile che divideva così crudelmente l’impero indebolito. Avendo profetizzato lo scacco di questa missione, san Saba si ritirò come recluso al monastero di Chora, dove trascorse gli ultimi sei anni di vita nella preghiera e nelle lacrime per la pace nel mondo e nella Chiesa allora turbata dagli insegnamenti eretici di Akyndino e del patriarca eretico Giovanni Calecas sulla natura della Grazia divina . Malgrado le pressioni e la visita dell’imperatore Giovanni V Cantacuzano, in vista di elevarlo alla dignità patriarcale o almeno di fargli accettare l’ordinazione episcopale, il santo restò inflessibile per salvaguardare fino alla fine la santa esichia e la dolcezza dell’intrattenimento segreto con Dio. Egli si addormentò serenamente, per unirsi in maniera definitiva col suo Beneamato, nel 1350. Fu su suo consiglio che l’imperatore decise qualche tempo più tardi di diventare monaco, così anche la sua sposa.
*Assente da tutti i sinassari e privo di memoria liturgica, questa ammirabile figura dell’Esicasmo athonita è conosciuta attraverso la biografia redatta dal suo discepolo, il patriarca san Filoteo Kòkkinos ( 11 ott. ). Poco dopo la scoperta delle reliquie di un Santo sconosciuto che si chiama << Evdodikomos >>, un monaco ebbe la visione del santo che gli confidò che il suo vero nome era Saba. La tradizione del monastero ha poi identificato san Evdokimos con San Saba del XIV sec. Ma questa identificazione non è ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa, per cui abbiamo qui piazzato con riserva, la memoria di san Saba dopo quella di Evdokimos
- Memoria della Santa Martire Charitinì di Amisos
a cura di Giovanni Fumusa
Secondo alcune fonti, Santa Charitinì era un’orfana che fu cresciuta come una figlia da un cristiano abbiente di nome Claudio; altre fonti riportano la notizia che fosse una schiava di un uomo ricco di nome Claudio (non vi sono notizie, in queste fonti, sulla sua fede). Tutte le fonti concordano, tuttavia, sul fatto che abbia subito il martirio sotto l’imperatore Diocleziano.
Persona sensibile, di buon core e fervente nella fede, convertì molti alla salvezza. Quando il governatore di Amisos venne a conoscenza della fede della giovane, la convocò e, quando la santa confessò senza timore la propria fede in Cristo, le fece radere il capo; Dio le fece ricrescere subito i capelli. Fu sottoposte a molte altre torture, ma Dio la salvò ogni volta. Dopo aver superato tutte queste prove, pregò Dio di salvare la sua anima pura dall’ultima delle umiliazioni a cui fu sottoposta, essere rinchiusa in una casa di prostituzione; Dio accolse la sua preghiera e la giovane Charitinì morì nel 304.