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Sinassario | 24 luglio 2024

Lug 23, 2024 | Sinassario

24.07: LE RELIQUIE INCORROTTE DI SANTA CRISTINA MEGALOMARTIRE A VENEZIA                           

testo inglese tradotto da Joseph Giovanni Fumusa

Tratto da: https://www.johnsanidopoulos.com/2015/07/the-incorrupt-relics-of-saint-christina.html

Traduzione a cura di Giovanni Fumusa.

 

Le reliquie incorrotte di Santa Cristina Megalomartire furono trasferite a Costantinopoli dalla Siria, dove subì il martirio agli inizi del III sec. A Costantinopoli vi era una chiesa a lei dedicata nell’area del Palazzo Imperiale in cui erano conservate le sue reliquie e dove si celebrava la sua memoria il 24 luglio. Durante l’occupazione di Costantinopoli da parte dei Franchi, le reliquie di Santa Cristina furono trafugate e portate a Torcello nel 1252.

L’isola di Santa Cristina ha una superficie di 27 ettari ed è situata nella Laguna settentrionale, tra il Canale San Felice e l’isola de La Cura. All’interno vi sono una serie di canali abbastanza larghi che le conferiscono un aspetto alquanto insolito. Nel VII sec. Vi furono edificati una chiesa ed un monastero dedicati a San Marco per ospitare le monache benedettine. Nel 1325 vi furono traslate le reliquie di S. Cristina, dando in questo modo origine al nome attuale.

Nel 1340, date le difficili condizioni ambientali di Santa Cristina, fu concesso a buona parte delle monache di spostarsi a Murano, quindi le reliquie furono trasferite alla Chiesa di San Mattia a Murano. Nel 1435, Papa Eugenio IV ordinò che venissero trasportate nella Chiesa di San Antonio, a Torcello. Furono successivamente trasferite nella Basilica di Santa Giustina a Venezia nel 1793 e, infine, portate nella loro sede attuale, nella chiesa di San Francesco della Vigna, a Venezia, dove rimangono incorrotte.

 

Kontakion, Tono Quarto

Splendesti come un lampo, o colomba dalle ali dorate, e volasti nell’alto dei Cieli, augusta Cristina; per questo celebriamo tutti la tua gloriosa festa, noi che con fede veneriamo la teca in cui sono custodite le tue pure reliquie, da cui fai sgorgare guarigioni divine per i corpi e le anime di tutti.

 

 

  • 24.07: memoria di san Fantino il Cavallaio

Archimandrita Antonio Scordino

Era ortodosso di nascosto, perché al servizio di un tale a nome Balsamio (probabilmente un goto, ariano); essendogli stato affidato dal padrone un gregge di cavalli, viveva sui monti, scegliendo la solitudine e l’isichìa, la quiete, per tendere a Dio la mente. Fantino era piissimo verso i poveri: provandone pietà e non avendo niente da dare loro, perché servo, nel tempo della mietitura trebbiava le messi dei bisognosi, e ciò di nascosto, di notte. Mentre il beato era così disposto verso i poveri, il diavolo istigò uomini amanti del male ad accusarlo falsamente. Dicono al padrone: “Perché il tuo servo affatica i cavalli, trebbiando il grano a conoscenti e amici?” Egli, adirato, s’alza e va a vedere. Ma Fantino batté i covoni con il frustino che teneva in mano, e questi apparvero come erba nel campo. I cavalli riposavano sull’erba ed egli stesso fingeva di dormire. Sopraggiunto il padrone e avendo visto (era luna piena) che i cavalli erano sdraiati, se n’andò tranquillo. Ma i nemici vanno di nuovo da Balsamio: “Il tuo servo stanca i cavalli per le fatiche altrui! Va’ e vedi”. Subito si alza e va, ma il santo montò a cavallo e si allontanò, spingendo avanti la mandria per attraversare il fiume. Questo fiume è di corso pericoloso; fu detto Metauro (Petrace) perché passa in mezzo a Tauriana, la città del re Tauro. Era una città famosa, e i suoi ruderi, su entrambi le sponde, rivelano l’antica grandiosità, anche se il centro è disabitato a causa delle devastazioni avvenute in tempi recenti (?). Il santo alzò il frustino e percuotendo l’acqua, disse: “Fermati, Metauro!” L’acqua si fermò di qua e di là, e il santo passò con i cavalli come su terra asciutta. Il padrone, che lo inseguiva, si mise a gridare: “Pietà di me, servo di Dio!” Il santo fece sì che anch’egli passasse al di là come per terra solida; allora Balsamio cadde ai piedi del santo, chiedendo perdono e dicendo: “Ora so che veramente tu sei servo di Dio!” Si arresta qui la prima parte della Vita, il cui titolo ha dato luogo a una incredibile mistificazione. Esso, infatti, è: Racconto del vescovo Pietro, sulla vita e i miracoli di Fantino; alcuni, però, hanno letto uno strampalato: Del Pietro vescovo occidentale sulla vita e i miracoli di Fantino (confondendo dhiìghisis-racconto, con dhitikòs-occidentale). Pietro, vescovo di Tauriana, riferite le poche notizie che si tramandavano su san Fantino, continua elencando alcuni miracoli attribuiti al santo: è interessante notare che essi gli erano stati riferiti dai diretti interessati, oppure egli stesso ne era stato testimone oculare. Un certo Teodoro era trattenuto a Siracusa dal Giudice, e aveva mandato a Tauriana uno dei suoi servi per portargli delle carte, tra le quali credeva esserci la ricevuta di un prestito d’oro di cui doveva rispondere. Pur avendo molto cercato, non poté trovarla; cominciò allora a piangere: “Fantino, aiutami!” Venuta la notte, in sogno un uomo a cavallo gli dice: “Che hai?” E quegli: “Mi viene richiesto oro che non ho rubato, signor mio!” E quello: “Per te sono venuto da lontano: il mio cavallo è tutto bagnato di sudore”. Teodoro chiede: “Chi sei?” E quello risponde: “Sono di Tauriana, abito vicino alla casa del tal prete. La ricevuta che cerchi si trova in quel tal libro, all’ultima pagina”. E si allontanò: il santo celò il proprio nome, indicando soltanto il proprio tempio. Teodoro poi trovò nel libro indicatogli in sogno la ricevuta che cercava, la mostrò al Giudice, e fu liberato. Niceta, arcidiacono di Tauriana, da ragazzo aveva avuto la scabbia. Deposto nel tempio del santo, vede in sogno il santo, con accanto i vescovi Giorgio e Giovanni di Tauriana (che erano sepolti nello stesso tempio). Il santo dice a Niceta: “Spogliati!” Quello si toglie la veste, poi la camicia, e resta nudo. Di nuovo il santo dice: “Spogliati!” Il ragazzo risponde: “Non ho più nulla da togliere!” E quello: “Ti ho detto di spogliarti!” Allora Niceta sogna di strapparsi la pelle; si sveglia di soprassalto e si vede guarito. Un tale aveva preso in prestito tre monete ma, chiedendo il creditore la restituzione, negava dicendo di non avere preso nulla da lui. Quegli gli dice: “Giura per san Fantino!” Il miserabile giurò per la tomba del santo, e subito schiattò. Un tale, avendo male ai piedi, va al santo. E in quella stessa notte, vede un uomo venerando, accompagnato da un ragazzo, al quale dice: “Slegagli i piedi”. Al mattino quell’uomo si svegliò sano. Una bambina, Gregoria, diventò cieca. Subito suo padre la condusse al santo. Dopo la Celebrazione notturna, mentre faceva giorno, improvvisamente la bambina aprì gli occhi e riconobbe il papà, che la condusse a casa, glorificando Dio. Questa bambina poi fu igumena del monastero del santo. Il medico David, siro-ortodosso, stava per accecare totalmente. Va al santo, scende nel sepolcro inferiore, dove prima giacevano le venerabili reliquie, e vede un poco d’acqua, che usciva da un buco. Si lava gli occhi con quell’acqua e subito riacquista la vista. Un sacerdote da giovane aveva avuto un grave male. Trasportato al tempio di san Fantino, vi rimase non pochi giorni. Una notte, vede in sogno salire dal sepolcro inferiore un bel giovane, avvolto da una clamide, le gambe con rossi legacci, i sandali ai piedi. Lo precedeva un ragazzo che teneva una lampada. Salito dal sepolcro, si avvicinò al malato e gli diede incenso odoroso; poi si allontanò passando dalla porta occidentale e uscendo nel portico. Subito il malato si svegliò guarito. Un uomo fu portato da quattro persone in un lenzuolo poiché le sue membra erano illanguidite. Fu posto nel portico e guarì prontamente. Andrea, eminente nel Consiglio dei Consoli, oltraggiava il santo, dicendo: “Chi è mai questo Fantino? un cavallaro!” Cadde e si ruppe un femore. Essendosi pentito, supplicava il santo di venirgli in aiuto; quando fu guarito glorificò Dio: “Davvero questi è un taumaturgo!” Un’indemoniata fu unta con l’olio della lampada del santo: subito guarì e si fece monaca nel monastero attiguo al tempio del santo. Per intercessione del santo, guarì anche un indemoniato, tormentato da sei anni. Il monaco Teoctist sognò di trovarsi nel tempio per i consueti inni mattinali. Ed ecco un giovane, alto, dai capelli neri, molto bello, che aveva in mano un bastone nel quale c’era incisa questa frase: Sorgi, o Signore, aiutaci, e liberaci in grazia del tuo nome. Si siede, e l’igumena gli dice: “Dai nostri padri non abbiamo ricevuto la tradizione di stare seduti durante la salmodia!” E il giovane: “Lo so che non c’è questa tradizione, ma dai miei facciamo così”. L’igumena: “Di dove sei?” Il giovane: “Sono di qui! Questa è casa mia, ma finora non ero qui”. E alzatosi, se n’andò verso il lato destro del tempio, in direzione dell’Oriente. L’igumena gli dice: “Vai via?” Egli risponde: “Sì, me ne vado perché sono stato inviato a un servizio e ho fretta di condurlo a termine; ma tornerò di nuovo e allora rimarrò con voi”. L’igumena dice: “Prega per noi”. Ed egli, voltatosi e avendo fatto il segno della croce, si allontanò, procedendo verso la parte orientale del tempio. Approssimandosi la Pasqua ed essendo l’igumena preoccupata perché il monastero non aveva olio, verso l’ora sesta del giorno, ecco un uomo il quale, portando sulle spalle un vaso pieno di olio, della capacità di circa dodici sestari, dice: “Il vescovo corse pericolo in mare ma giunto in vista del tempio del santo, si salvò; ha mandato quest’olio per san Fantino”. Una bambina prossima a morire fu portata al sepolcro del santo. Disse alla madre: “Mamma, ecco san Fantino!” e rese lo spirito. Una donna in coma, invece, si risvegliò subito. Una volta, era già sorta l’aurora e risplendeva ormai il giorno, quando la salmodia era alla fine ed era stato intonato da tutte le monache a alta voce il continuo Kirie eleison! finale, e tutte tenevano le mani levate verso Dio, improvvisamente una luce riempì tutto l’altare, nel quale giacciono le reliquie del santo. Le coriste rimasero mute e immobili né più furono capaci di cantare per il grande sbigottimento, né potevano fuggire. La luce rimase visibile sull’altare per un’ora intera, poi sparì e tutta la chiesa si riempì di una grande fragranza. Intanto, un certo Salomone si era fermato per la notte al riparo di quel tempio di San Fantino che si trova nella discesa del monte (il tempio sorge laddove si dice che il santo pascolava i cavalli; vicino, c’è l’ara di San Fantino, dove fu costruito un oratorio). Mentre riposava, vede molti uomini vestiti di bianco che, scesi da cavallo, entrarono nel tempio. La chiesa era riempita di luce, mentre quelli cantavano ad alta voce; i cavalli rimasti fuori, nitrivano. Fuor di sé per la paura, quello rimase immobile. Dopo circa un’ora, terminato il canto di quegli uomini, vede di essere solo, mentre il tempio era chiuso. Una volta gli Agareni vennero dall’Africa per saccheggiare, mentre tutto il popolo era convenuto da ogni parte per la festa del santo, un 24 luglio. Appena però la nave giunse in vista del tempio del Santo, una tempesta di vento la spinse contro gli scogli. Alcuni Agareni perirono, altri furono catturati. Questi dissero: “Abbiamo visto sullo scoglio un giovane che aveva in mano una fiaccola accesa. Vicino a lui stava una donna, vestita di porpora, e al suo cenno il giovane scagliò ciò che teneva in mano contro la nave, e subito la nave fu sommersa”. Gli Agareni catturati diventarono cristiani, non desiderando più ritornare nella loro patria. Nel primo anno di regno di Leone l’Eretico (717\8), il vescovo Pietro – come racconta – fu mandato dal Comandante militare della Sicilia come ambasciatore all’Imperatore, per la correzione di capitoli riguardanti il paese e insieme il Regno. Durante la navigazione, si alzò un vento tempestoso, l’Euroclito: mentre il mare si gonfiava, i nocchieri avvolsero le vele, portarono dentro i timoni e allentarono le corde sulla prora, lasciando andare alla deriva la nave. Passano tre giorni e tre notti, finché il diacono che accompagna Pietro vede in sogno san Fantino che si avvicinava di corsa a cavallo e percuotendo le onde con il frustino: subito il mare si calmò. Giunto Pietro a Costantinopoli, la notte prima di essere ricevuto dall’imperatore, lo stesso diacono sognò di essere a Palazzo e di vedere l’imperatore, seduto nella Magnaura, che minacciava il vescovo. Intanto gli si accostò un vecchio – che somigliava a un tale di Tauriana – che gli disse: “Va’ e digli di non temere; parlerò io all’imperatore”. L’indomani il vescovo Pietro andò a Palazzo di buon animo; subito fu chiamato dall’imperatore e invitato a pranzo, ricevendo da lui molti doni.

 

 

  • 24.07: Narrazione del vescovo Pietro sulla vita e i miracoli di Fantino glorioso servo di Cristo

Archimandrita Antonio Scordino

Narrazione del vescovo Pietro

sulla vita e i miracoli di Fantino

glorioso servo di Cristo

 

Passare sotto silenzio le meraviglie di Dio apporta pericolo all’anima, e non abbiamo giudicato giusto tralasciare una narrazione sacra, utile all’anima e tramandata fino a noi. Vogliamo esporla come l’abbiamo udita dai nostri padri, affinché, col passare del tempo, le cose belle non diventino evanescenti e finiscano nelle profondità dell’oblio. Ossequienti alla verità, narriamo le cose come stanno.

 

Questo famoso servo di Dio fu chiamato Fantino, affinché fosse chiaro a tutti che egli era partecipe della divina Luce1. Fu servo d’un tale a nome Balsamio; tuttavia, in occulto egli era ortodosso, osservando i precetti di Dio, astenendosi da ogni cattiva azione, assiduo ai digiuni e alle preghiere. Conversando, notte e giorno, con Dio per mezzo della preghiera, conduceva quasi vita ascetica. Lo stesso abbiamo appreso dalla Scrittura riguardo a Mosè: mentre nella solitudine pascolava le greggi di Jothor, suo suocero, sacerdote di Madiam, fu reso degno della visione di Dio, per mezzo dell’apparizione della Luce nel roveto. Cosi accadde anche a questi: essendogli stato affidato dal suo padrone un gregge di cavalli, viveva sui monti, scegliendo la solitudine e la quiete per tendere a Dio la mente. Pertanto, guidava i cavalli in pianure ricche d’erbe, per presentarli al padrone belli all’aspetto ed eccellenti.

Il beato, perseverando nella preghiera con molti digiuni, fu reso degno della Grazia divina, anche perché era piissimo verso i poveri: provandone pietà e non avendo niente da dare loro, perché servo, nel tempo della mietitura trebbiava le messi dei bisognosi, e ciò nelle notti, per non danneggiare il padrone.

Mentre il beato era così disposto verso i poveri, il diavolo – nemico del bello – istigò uomini amanti del male ad accusarlo falsamente. Dicono al padrone: “Perché il tuo servo affatica i cavalli, trebbiando il grano a conoscenti e amici?” Egli, adirato, s’alza e va a vedere. Ma il beato Fantino, avendo saputo in spirito che il suo padrone si avvicinava, batté i covoni con il frustino che teneva in mano, e questi apparvero come erba nel campo. I cavalli riposavano sull’erba ed egli stesso fingeva di dormire. Sopraggiunto il suo padrone e avendo visto (era luna piena) che i cavalli erano sdraiati, disse: “Che fanno i cavalli?” E quegli, come svegliandosi, s’alzò e rispose: “Come vedi, riposano”. Il padrone, avendo visto con i propri occhi, se ne andò. Ma i nemici del Bello, vanno di nuovo da Balsamio: “Il tuo servo stanca i cavalli per le fatiche altrui; li ha resi brutti e magri! Va’ e vedi”. Subito si alza e va, ma il santo montò a cavallo e si allontanò, spingendo avanti la mandria per attraversare il fiume.

Questo fiume, chiamato Metauro, è di corso pericoloso; a volte, infatti, specie nel tempo invernale, la sua corrente si spinge in modo inarrestabile. Fu chiamato Metauro, io penso, dal verbo scorrere. Vi è anche un’altra opinione: un tale, chiamato Tauro, fu il fondatore della città detta Tauriana dal suo nome; il fiume fu detto Metauro perché passa in mezzo alla città di Tauro. Era una città famosa, e i suoi ruderi, su entrambi le sponde, rivelano l’antica grandiosità, anche se il centro è disabitato a causa delle devastazioni avvenute in tempi recenti.1

Il santo sapeva che non sarebbe stato facile attraversare questo fiume con i cavalli, ma vedeva che il padrone lo inseguiva. Come il grande Mosè, alzò allora il frustino e percuotendo l’acqua, disse: “Fermati, Metauro!” L’acqua si fermò di qua e di là, e il santo passò con i cavalli come su terra asciutta. Il suo padrone, che lo inseguiva alle spalle come Faraone, si mise a gridare: “Abbi pietà di me, servo di Dio, e fa’ che io venga a te”. Il suo cuore non rimase duro come quello di Faraone, ma giunse subito alla conoscenza di Dio. Il santo poi, avendo pregato anche per lui, fece sì che anch’egli passasse al di là come per terra solida. Allora Balsamio, avendo visto questo miracolo, cade ai piedi del santo, chiedendo perdono e dicendo: “Ora so che veramente tu sei servo di Dio; d’ora in poi tu sei mio signore e padrone”.

Alla verga che il santo reggeva era legata una striscia di pelle: i cavallai portano di questi frustini, chiamati taure. Il prodigio compiuto fu pari al miracolo del bastone di Mosè al Mar Rosso, e pari a quello della frusta di Elia al fiume Giordano. Il beato imitò le loro virtù e fu reso degno degli stessi carismi. Infatti, la veste servile non fu d’impaccio a lui, che serviva con la mente Dio e imitava Cristo che, per causa nostra, ha preso la forma di un servo e ha svuotato se stesso fino alla morte.

 

Questi i miracoli del famoso e beato Fantino. Il grande atleta della fede nacque da questa patria; è certamente nostro: noi lo amiamo perché è un ornamento della nostra casa; nato nella nostra terra, invita all’imitazione della sua vita. Quale poi sia stata la morte del beato, non sappiamo esattamente. Neppure l’abbiamo appreso per sentito dire, eccetto che le sue sacre reliquie (conservate presso di noi) continuamente producono guarigioni. La morte di Mosè fu famosa e la sua sepoltura, invece, sconosciuta; di questo uomo accadde il contrario. La sua morte è rimasta ignota a noi; la tomba, invece, è nota, poiché qui, nel suo tempio, sgorga una fonte di grazie per chi accorre con fede.

Alcuni pensano che Fantino sia un martire: se il santo non fosse un martire, dicono, come sarebbe stato degnato da Dio di tante e tali grazie? Io penso che essi non giudicano rettamente. Quale opera di virtù ha compiuto Mosè, prima dell’apparizione di Dio nel roveto? Il famoso Eliseo, quale lotta affrontò, perché un morto risuscitasse al solo tocco delle sue ossa? Quali lotte ha sostenuto lo stesso beato Elia, che fu assunto in cielo senza essere morto? Anche il patriarca Abramo fu giudicato dalla sola fede. Geremia, il più misericordioso dei profeti, anche prima della nascita era noto a Dio. Tralascerò quel famoso Amos, un capraio che fu reso degno del dono della profezia? Tralascerò David? Il Signore lo trasse dai pastori. Che cosa fece erede del paradiso il Ladrone, se non la vera conoscenza di Dio? Noi non escludiamo, tuttavia, che il santo abbia ricevuto la corona di martire: se le cose sono avvenute come si dice, dalla doppia corona del nostro atleta traiamo un doppio vantaggio, giacché è nostro perché è nato da noi.

Altri miracoli aggiungeremo ora a questa narrazione: non scriviamo seguendo favole, ma essendone stati testimoni.

 

Di un tale richiesto della restituzione di un debito

Un certo Teodoro, insigne per pubbliche dignità, una volta era trattenuto a Siracusa dal giudice, e aveva mandato a Tauriana uno dei suoi servi per portargli le carte, tra le quali credeva esserci la ricevuta d’un prestito d’oro di cui doveva rispondere. Pur avendo molto cercato, non poté trovarla; cominciò allora a piangere: “Fantino, santo di Dio, aiutami!” Venuta la notte e preso sonno, vede in sogno il santo, in aspetto di cavaliere. Il cavaliere gli dice: “Che hai?” E quegli: “Mi viene richiesto oro che non ho rubato, signor mio!” Il santo a lui: “Per te sono venuto da lontano: il mio cavallo è tutto bagnato di sudore”. Gli chiese quello: “Chi sei?” Il santo rispose: “Sono della Calabria, di Tauriana, abito vicino alla casa del tale prete. La ricevuta che cerchi si trova in quel tal libro, all’ultima pagina”. E si allontanò: il santo celò il proprio nome, indicando soltanto il proprio tempio, dove sono deposte le sue reliquie. Teodoro trovò nel libro indicatogli in sogno la ricevuta che cercava, la mostrò al giudice, e fu liberato. Da quel giorno celebrava ogni anno la ricorrenza del santo, fornendo olio sufficiente per l’illuminazione del tempio.

 

Di un tale affetto da scabbia

Niceta, arcidiacono di Tauriana, figlio di chi mi raccontò questo fatto, mi raccontò un altro miracolo: “Da ragazzo ebbi la scabbia. Quelli di casa mi trasportarono al santo. In quella stessa notte vedo in sogno il santo, che mi stava vicino. Insieme con lui stavano due altri uomini in abito vescovile e che il santo chiamava per nome, Giorgio e Giovanni. Questi erano stati vescovi della nostra santa Chiesa Cattolica, e i loro corpi giacciono nel tempio del santo, ciascuno nel proprio tumulo. Io vidi che, usciti dai sepolcri, si accostavano al santo, il quale, avendoli ricevuti ed essendo venuto dove io giacevo, mi disse: Alzati! Io subito mi alzai. Mi dice: Spogliati! Mi tolgo una veste. Di nuovo dice: Spogliati! Mi vergognavo, ed egli dice: Spogliati! Mi tolgo la camicia e rimango nudo. Di nuovo mi dice: Spogliati! Rispondo: Non ho più nulla da togliere! Mi dice severamente: Ti ho detto di spogliarti! Allora afferro la pelle del mio corpo, tiro con le due mani, e levo tutta la pelle come se fosse un mantello, e la getto a terra. Allora il santo mi dice: Ecco, sei sano; vestiti e vattene. Mi sveglio, e vedo che ero guarito”.

 

Intorno a uno spergiuro

Un tale aveva preso in prestito tre nomismi ma, richiedendo il creditore la restituzione, negava dicendo di non avere preso nulla da lui. Quegli gli dice: “Giura per san Fantino”. Essendo andati entrambi nel tempio del santo, il miserabile giurò per la tomba del santo che non aveva debiti. Subito lo sciagurato mandò fuori l’anima.

 

Intorno a un podagroso

Uno dei grandi della città, avendo male ai piedi, va al santo. E in quella stessa notte, mentre dormiva, uno dei suoi servi vede in sogno i piedi di lui legati e stretti con cinghie fino alla gamba, come i pastori. Vede poi un uomo venerando, che si avvicinava al luogo, dove giaceva il suo padrone; a quell’uomo poi veniva dietro un ragazzo, verso il quale l’apparizione disse: “Slegagli i piedi”. Lo slegò, e il santo scomparve. Al mattino l’uomo, svegliatosi sano, ritornò felice a casa e raccontò a noi queste cose, glorificando Dio.

 

La piccola Gregoria

Una bambina di circa due anni, colpita dall’invidia e dall’incantesimo demoniaco, si trovò cieca. Subito suo padre la condusse al santo. E in quella medesima notte, mentre con la bambina dormiva nel tempio, le porte si misero a sbattere. Il nonno della bambina, avendo sentito lo strepito, va ad aprire ma, non avendo visto nessuno, chiuse e si sdraiò nel suo giaciglio. Le porte di nuovo cominciarono a sbattere, e così fino al mattino. Quello capì che era venuto il demonio, e che il santo non gli aveva permesso di entrare nel tempio: alcune serve, che entravano nel tempio a tarda sera, l’avevano visto sotto l’aspetto di un grosso cane, fermo fuori della porta. Nella terza notte, dopo il Mattutino, mentre faceva giorno, improvvisamente la bambina aprì gli occhi e riconobbe il papà, che la condusse a casa, glorificando Dio. Questa bambina, poi fu resa degna d’essere igumena del monastero del santo. Si chiamava Gregoria.

 

Il medico David

Il medico David, siro e ortodosso non vedeva neppure un muro: stava per accecare totalmente. Va al santo, ed essendo sceso nel sepolcro inferiore, nel luogo in cui si diceva giacessero prima le venerabili reliquie, vede un poco d’acqua, che usciva da un buco: il posto è umido. Avendola presa ed essendosi lavato, subito riacquistò la vista e se ne andò glorificando Dio.

 

Un sacerdote malato

Un eunuco, sacerdote, ci raccontò: “Da giovane, mi venne una gravissima infermità ai piedi. Trasportato al tempio di san Fantino, vi rimasi non pochi giorni e pregavo il santo, dicendo: Santo di Dio, abbi pietà di me, tuo servo. Una notte, vedo in sogno salire dal sepolcro inferiore un bel giovane, avvolto da una clamide, le gambe con rossi legacci, i sandali ai piedi. Lo precedeva un ragazzo che teneva una lampada. Salito dal sepolcro, entrò nel Vima e, dopo aver pregato, venne dove giacevo e mi diede un incenso odoroso, dicendo: Alzati, sei guarito. Poi si allontanò passando dalla porta occidentale e uscendo nel portico. Subito svegliatomi, odorai dalla mia mano come un profumo, e liberato dalla malattia, me ne andai a casa glorificando Dio.

 

Di un languido

Un uomo fu portato da quattro persone in un lenzuolo per il fatto che le sue membra erano illanguidite, al punto che non poteva neppure girarsi nel letto, se non con l’aiuto di altri. Fu posto nel portico. Noi lo abbiamo visto guarito in pochi giorni: con le proprie mani coltivava la terra.

 

Di un tale incredulo

Un certo Andrea, eminente nel Consiglio cittadino degli Ipati, oltraggiava il santo: “Chi è mai questo Fantino? Un servo, un cavallaro!” Accadde poi che egli cadde e si ruppe un femore. Essendosi pentito, supplicava il santo di venirgli in aiuto; quando fu guarito glorificò Dio: “Davvero questi è un taumaturgo!” Da quel giorno, ogni anno celebrava la memoria del santo, apparecchiando una splendida mensa con molta abbondanza.

 

Di una fanciulla vessata dal demonio

Una giovane vessata dal demonio, fu consegnata all’igumena del monastero, la quale pregava per essa e supplicava il santo con tutte le consorelle. Noi abbiamo fatto la Preghiera e, attingendo dalla lampada del santo, l’abbiamo unta in tutto il corpo con l’olio santo: da quel giorno l’abbiamo vista sana. Essa, poi, rimase nel monastero seguendo vita ascetica.

 

Attorno a un indemoniato

Un indemoniato, venuto nel tempio del santo e avendo ricevuto la guarigione, diceva: “Da sei anni vivevo agitato dal demonio; per la benevolenza del santo, Dio mi ha salvato”.

 

Del monaco Teoctiste

Il monaco Teoctiste, un forestiero eunuco, mi narrò: “Un giorno, essendomi addormentato, mi sembrò di essere nel tempio e di cantare con le sorelle i consueti inni mattutini. Mentre noi cantavamo, ecco un giovane di buona statura, dai capelli neri e con le chiome non lunghe o sciolte, ma non ricce, molto bello, che aveva in mano un bastone. Si fermò vicino all’igumena, cantando con noi. Egli si appoggiava al bastone, nel quale erano scritte le seguenti parole: Sorgi, o Signore, aiutaci, e liberaci in grazia del tuo nome. A un certo punto si mise a sedere e allora l’igumena gli disse: Dai nostri padri non abbiamo ricevuto la tradizione di stare seduti durante la salmodia! E il giovane: Lo so che non c’è questa tradizione, ma dai miei facciamo così. Gli dice l’igumena: Di dove sei? Egli rispose: Sono di qui! E aggiunse: Questa è casa mia, ma finora non ero qui. E alzatosi, se ne andò verso il lato destro del tempio, in direzione di oriente. Di nuovo l’igumena gli dice: Vai via? Egli rispose: Sì, me ne vado perché sono stato inviato a un servizio e ho fretta di condurlo a termine; ma tornerò di nuovo e allora rimarrò con voi. L’igumena dice: Prega per noi. Ed egli, voltatosi e avendo fatto il segno della croce, si allontanò, procedendo verso la parte orientale del tempio. lo, poi, essendomi svegliato, glorificavo Dio”. Avendo udito dal monaco queste cose, segnai il mese, la settimana e il giorno e trovai che il terribile miracolo era avvenuto nei medesimi giorni.

 

Intorno a una offerta di olio

Approssimandosi la Pasqua ed essendo l’igumena in preoccupazione a causa dell’olio, poiché il monastero non ne aveva, verso l’ora sesta del giorno, ecco un uomo il quale, portando sulle spalle un vaso pieno di olio della capacità di circa dodici sestari, dice: “Il vescovo ha mandato questo olio per san Fantino. Accadde che, navigando verso la patria, corse pericolo in mare, ed essendo giunto nel mare davanti al tempio del santo, si salvò per il suo aiuto”. L’igumena, avendo preso l’olio, appagò il decoro della chiesa nella santa e solenne giornata della risurrezione del nostro Signore.

 

Di una bimba

Una bambina di circa quattro anni fu portata dai genitori nel tempio del santo e suo padre la presentò al sepolcro del santo. L’igumena la allevò nel monastero, le insegnò la Sacra Scrittura e la istruì nella vita ascetica. Avendo vissuto per un certo tempo nel monastero, accadde che questa si ammalasse. I genitori (non abitavano lontano dal monastero) la servivano. Essendo per morire, disse alla madre: “Mamma, ecco san Fantino!” E quella: “Dov’è, figlia mia?” La fanciulla disse: “Ecco dove è; non lo vedi?” E subito rese lo spirito.

 

Di una donna in estrema malattia

Una donna era vicina alla morte. Portata dai suoi familiari nel sacro tempio del santo, giaceva senza voce ed esanime. Il Dio delle meraviglie la resuscitò e la pose di nuovo tra i viventi. E quella, ottenuta la guarigione, essendo andata nel venerabile tempio del santo, dava voci di ringraziamento, avendo offerto sacro incenso al sepolcro del santo.

 

Della luce apparsa nel sepolcro del santo

Una mattina, l’igumena entrò con tutte le sorelle nel tempio, per elevare a Dio il consueto inno mattutino. Era già sorta l’aurora e risplendeva ormai il giorno, quando la salmodia era alla fine ed era stato intonato da tutte le suore a alta voce il continuo Kirie eleison dell’apolisi mattutina e tutte tenevano le mani levate verso Dio, dal Vima improvvisamente come una fiammella che – ingrossando a poco a poco – riempì di luce tutto l’altare, nel quale giacciono le reliquie del santo. Le coriste rimasero mute e immobili né più furono capaci di cantare per il grande sbigottimento, né potevano fuggire. La luce rimase visibile sull’altare per un’ora intera, poi sparì e tutta la chiesa si riempì di una grande fragranza. Subito le sorelle uscirono di corsa dalla chiesa, con timore e letizia. Un uomo dei dintorni, a nome Salomone, mi raccontò un fatto simile. “Un giorno, scendendo dalla montagna con un amico, ed essendo già venuta sera, siamo giunti al tempio di San Fantino che si trova nella discesa del monte, per riposare là (Quelli che abitano nei dintorni avevano costruito questo tempio laddove si dice che il santo visse a lungo, pascolando i cavalli. Vicino, vi è l’ara di San Fantino, dove fu costruito un oratorio). Mentre riposavamo, sdraiati fuori di quel tempio, verso mezzanotte, vedo in sogno molti uomini vestiti di bianco che, scesi da cavallo, entrarono nel tempio. Vedevo la chiesa riempita di luce, mentre quelli cantavano ad alta voce. I cavalli rimasti fuori, nitrivano. Fuori di me per la paura, rimasi immobile. Essendo già trascorsa un’ora ed essendo terminato il canto di quelle apparizioni di uomini biancovestiti, svegliatomi, mi vidi solo giacente in quel luogo col mio compagno, mentre il tempio era da ogni parte chiuso”. Queste cose ci narrò quell’uomo piangendo. Noi indagammo, e scoprimmo che questo miracolo era avvenuto nel medesimo giorno in cui era avvenuto nel venerabile tempio, dove giace la preziosa e venerabile reliquia del santo.

 

Intorno agli Agareni catturati

Di questo che racconto infine, tutta la città ancora parla, avendola ricevuta dai loro padri. Una volta gli Agareni vennero dall’Africa per saccheggiare, mentre tutto il popolo era convenuto da ogni parte – secondo la tradizione – per festeggiare la memoria del santo, il 24 luglio. Le navi di quegli atei mossero contro questa regione, ed essendo apparsa una di esse nel mare davanti al tempio del Santo, improvvisamente una tempesta di vento sconvolse il mare. La nave, sospinta dalla forza e sbattuta dalle onde contro gli scogli, si fracassò. Alcuni perirono, altri furono catturati. Questi dissero: “Abbiamo visto sullo scoglio un giovane che aveva in mano una fiaccola accesa. Vicino a lui stava una donna, vestita di porpora, e al suo cenno il giovane scagliò ciò che teneva in mano contro la nave, e subito la nave fu sommersa”. Gli Agareni catturati diventarono cristiani, non desiderando più ritornare nella loro patria.

 

Di un tale nel baratro della tempesta

Nel primo anno di regno di Leone l’Eretico [circa 717\8], io e altri siciliani fummo mandati dal comandante militare della Sicilia come ambasciatori all’Imperatore, per la correzione di capitoli riguardanti il paese e insieme il suo regno. Avendo trovato una nave che si recava a Bisanzio, ci imbarcammo su di questa e, partiti dalla Sicilia, mentre navigavamo al largo del mare, si abbatte su di noi un vento tempestoso. Esso è detto Euroclido, e suscitò una grande e insopportabile tempesta. Mentre il mare si gonfiava per la violenza del vento, i nocchieri avvolsero le vele della nave e, portati dentro i timoni e allentate le corde sulla prora della nave, la lasciarono andare. La nave veniva spinta nella tempesta. Noi, dunque, così travagliati, trascorremmo tre giorni e tre notti in molta tribolazione e dolore d’animo, invocando la Vergine Madre di Dio, sant’Emiliano e anche san Fantino, affinché – essendo uno dei nostri – ci venisse in aiuto. Dopo il terzo giorno, il diacono che era con me vede in sogno san Fantino, nel medesimo aspetto e nella medesima forma con cui suole apparire, che veniva rapidamente sulle onde come se fosse un corridore montato su un forte cavallo, e che, essendosi fermato sulla prora della nave, percosse per tre volte il mare con un frustino, che teneva nella destra. Il diacono, svegliatosi, raccontò a tutti noi le cose a lui apparse: diventammo lieti, e immediatamente il mare si calmò.

Intorno a un miracolo avvenuto a Costantinopoli

Giunto a Costantinopoli ed essendo stato accolto dall’Imperatore, alcuni uomini invidiosi turbarono la sua mente contro di noi. Stava per disporre cose terribili verso di noi, particolarmente verso di me per il fatto che io ero il capo dell’ambasceria. Mi aspettavo esilio e severa pena, e invocavo Dio, affinché mi salvasse. Quella notte il diacono che era con me, ebbe in sogno questa visione: credeva di essere nel Palazzo e di vedere l’imperatore, seduto nella Magnaura, che mi minacciava e diceva: “Prendi quel che mi hai dato, perché non ho bisogno di te”. Dicendo queste cose, tirava fuori alcune monete d’argento. Intanto vide un vecchio – che somigliava a un illustre abitante della nostra città – avanzare e dire: “Va’ e digli di non temere; parlerò io all’imperatore”. II diacono, svegliatosi, venne da me e mi raccontò il sogno. Allora andai a Palazzo con buon animo. Subito chiamato dall’imperatore e avendo pranzato con lui, dopo aver ricevuto da lui grandi doni, fummo licenziati con grande gioia, glorificando Dio.

1 Il vescovo Pietro di Tauriana deriva il nome dal greco faos, luce. Nel 16° secolo, gesuiti siciliani lo ritennero, invece, un diminutivo (piccolo fante) e favoleggiarono d’un Fantino siracusano, figlio di Fantios e Dominata, ritenuti sposi e martiri (le loro sepolture erano state trovate una accanto all’altra e nelle catacombe di Siracusa).

1 Oggi è detto Petraci (Petrace), dal greco Petrakis.

2 In greco, da rein.

3 Tauros è ritenuto anche fondatore di Taormina: gli antichi abitanti di Tauriana (che avevano come totem il toro) furono sempre alleati dei taorminesi.

4 Sul finire del 6° secolo Tauriana – una tra le più antiche Chiese della penisola italiana – fu devastata dai Longobardi.

1 Sembra che Pietro faccia riferimento alla Guerra Gotica (535\53).          

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