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Sinassario | 23 novembre 2023

Nov 22, 2023 | Sinassario

  • Memoria di Sant’Anfilochio, vescovo di Iconio

Sant’Anilochio fu compagno di lotte dei Santi Basilio Magno, Gregorio il Teologo, del quale era cugino e Gregorio di Nissa. Allievo di Libanio, fu ordinato nel 374 da san Basilio, Metropolita di Iconio in Licaonia. Anfilochio fu un difensore della fede ortodossa e un avversario intrepido dell’arianesimo, subendo per questo numerose persecuzioni e tribolazioni. Fu uno dei padri del Concilio Ecumenico di Costantinopoli del 381, e combattè energicamente Macedonio sulla identità della terza Ipostasi (Persona) della Santissima Trinità. Morì in pace nel 395, in età avanzata, lasciando alcuni trattati sulla fede ortodossa.

  • Memoria memoria del nostro padre tra i santi Gregorio, vescovo di Agrigento

Archimandrita Antonio Scordino

Gregorio nasce a Pretorio, un villaggio presso Akragas (Agrigento, la più bella città dei mortali a detta di Pindaro), fondata nel 581 a.C. da dori-cretesi. Il padre, Caritone, era cantore; la madre si chiamava Teodote; fu immerso nel Lavacro della rinascita dal vescovo Potamione. Giunto agli otto anni, Gregorio fu affidato dal vescovo a un certo Damiano, valente insegnante: in due anni il ragazzo apprese la grammatica, la lettura, il calcolo e il ciclo annuale delle feste; imparò a memoria il salterio. A dodici anni Gregorio fu ordinato lettore (aveva una voce molto dolce nel canto), e fu affidato all’arcidiacono e bibliotecario Donato. Frugando nella grande e fornita biblioteca del vescovo Potamione, Gregorio un giorno scoprì la Vita di san Basilio e, leggendola più volte, fu preso dal desiderio di visitare i Luoghi Santi, dove il grande vescovo di Cesarea ricevette la Grazia del Santo Spirito. Una notte Gregorio ebbe una visione, che gli diceva di partire; scese subito alla foce dell’Akragas, il fiume che gira attorno alla città per unirsi allo Ypsas, e vi trovò una nave – diretta a Cartagine – che aveva fatto scalo per rifornirsi di acqua potabile. Gregorio si imbarca (ospite del comandante, Varo); dopo tre giorni approda a Cartagine e si reca a pregare nel Martyrion di San Giuliano; qui si unisce a tre pellegrini. A piedi la comitiva va a Tripoli di Siria e, dopo aver visitato il Martyrion di San Leonzio, continua per Gerusalemme. Qui giunti, si stabiliscono in un monastero per celebrarvi la quaresima: avvicinandosi la Grande Settimana, in quel monastero Gregorio vide cose straordinarie: monaci in estasi o forse anche fenomeni di levitazione. Giorno di Pasqua [6 aprile 665 o 671 oppure 676] i tre monaci pellegrini sono invitati a pranzo dal patriarca Macario, e poi partono per l’Antica Roma, mentre Gregorio resta nel Patriarcato. I tre pellegrini fanno scalo a Plintiade [o Fintiade: Licata], nel luogo detto Passararia; infine sbarcano alla foce del fiume Akragas, dov’è il sobborgo chiamato Emporio, e chiedono ospitalità nel monastero che ivi sorge. Recatisi quindi a riverire il vescovo Potamione, i tre incontrano i genitori di Gregorio, i quali stavano portando i colivi, le torte funebri per l’anniversario della scomparsa del figlio, che credevano morto. Al vedere i compagni di scuola di Gregorio, che entrano ed escono dall’episcopio, Teodote si mette a gridare: “Figlio mio! Quale lupo ha rubato il mio agnellino? Dov’è sotterrato mio figlio? Chi lo ha ammazzato? Chi lo ha buttato a mare?” Potamione racconta ai tre di Gregorio e di come è scomparso: “Abbiamo frugato nelle grotte e nei dirupi, abbiamo fatto ricerche in tutta l’Isola, ma non abbiamo trovato nessuna traccia”. Ma i tre pellegrini, appena vedono Caritone, subito capiscono che egli è il papà di Gregorio (erano somiglianti come gocce d’acqua) e allora spiegano – tra grida di gioia e svenimenti – che Gregorio vive e sta bene, facendone anche l’identikit (“somiglia al padre; come lui è biondo, ha occhi belli, bocca e naso armoniosi, sopracciglia perfette, labbra sottili”). A Gerusalemme, intanto, venuta la Pentecoste, Gregorio è ordinato diacono dal patriarca Macario. In seguito si reca a visitare i monasteri del Monte degli Ulivi e, raggiunto un eremo del deserto, trascorre quattro anni con un gheron che gli insegna retorica attica, grammatica, filosofia e astronomia. Va poi ad Antiochia, dove il vescovo Eustazio lo ospita nello stesso kellìon dove san Basilio il Grande scrisse l’Exaimeron, e a Nuova Roma, dove prende alloggio nel Monastero dei Santi Sergio e Bacco. A Costantinopoli Gregorio acquista fama di teologo; il Patriarca ecumenico diceva di lui: “Ecco l’occhio della Chiesa ortodossa; Gregorio dalla svelta mente!” Trovandosi a Nuova Roma, Gregorio conosce l’adolescente erede al trono dei Romani, Giustiniano II (presentatogli dallo spatario Marciano, un alto dignitario di corte), e partecipa – in rappresentanza del vescovo di Costantia di Cipro – al 6°Concilio Ecumenico, convocato dall’imperatore Costantino IV nel 680. Al Concilio Ecumenico, Gregorio svergognò gli eretici, in particolare Onorio, papa di Roma Antica, che fu solennemente scomunicato. Finiti i lavori conciliari, Gregorio parte proprio per l’antica Roma, e si stabilisce nel Monastero di San Saba, sull’Aventino. Intanto la Chiesa di Agrigento è divisa da lotte intestine: alla morte del vescovo Teodoro, alcuni vogliono eleggere il sacerdote Sabino, altri il diacono Crescentino. Su proposta dell’arcidiacono Euplo, si reca allora a Roma Antica una commissione: il Papa [il siculo Leone II?] suggerisce di accettare come vescovo colui che era stato onorato grandemente dal Concilio di Costantinopoli, Gregorio. Questi, dopo molte resistenze (aveva persino progettato di scappare in Spagna), parte per la Sicilia; sbarcato a Palermo, al suo passare, un lebbroso è sanato. Gregorio sosta qualche giorno presso il tempio di San Giorgio [presso Porta Carini], nel metochio episcopale della Chiesa agrigentina dedicato a san Libertino, primo vescovo di Agrigento (vedi). Dopo tre giorni Gregorio riparte, e sbarca a Emporio d’Agrigento: al suo apparire, un sordomuto guarisce. Gregorio è accolto con una solenne Litì, processione, e accompagnato nel Monastero della Theotokos, che sorgeva all’Emporio. L’indomani le autorità civili e militari scortano il nuovo vescovo in città: le donne attendono festanti presso la Porta Aurea. Con le mogli dei diaconi e dei sacerdoti c’è anche Teodote, la madre di Gregorio: il vescovo bacia i piedi della mamma e saluta, una per una, le reverende signore. Era il 13 settembre, vigilia dell’Esaltazione della Croce: durante la celebrazione della sacra Mistagogia, i presenti videro che la divina Potenza ricopriva Gregorio. Il nuovo vescovo ordina subito sacerdoti e diaconi, e inizia a visitare una per una le famiglie della città: prodigiosamente, guarisce la figlia del sacerdote Sabino. Ingrato, Sabino si accorda col presbitero Crescentino per far consacrare vescovo un certo Leucio. Questi era un eretico venuto dalla Frigia, esiliato da un sinodo di Laodicea, che viveva a Modiolo di Agrigento. I tre assoldano la prostituta Evodia, la quale accusa il vescovo Gregorio di avere con lei una sordida relazione. Scoppia lo scandalo, e il vescovo agrigentino è incarcerato nella stessa prigione in cui fu ucciso san Gregorio vescovo di Lilibeo (vedi). I congiurati coinvolgono anche un diacono pontificio, che in quei giorni si trovava a Filosofiana [Sofiana, presso Mazzarino di Enna]; questi accorre ad Agrigento per processare Gregorio. Riunite nel Foro, le autorità locali però si ribellano: “Non è lecito che tu giudichi Gregorio; non è legale che sia processato da te e non da un sinodo”, dicono al diacono pontificio. Al diacono del Papa non resta che rapire Gregorio: di nascosto, nottetempo, il vescovo è costretto a imbarcarsi su una nave che fa rotta per Roma Antica. Con il diffondersi della notizia che il vescovo di Agrigento è stato tradotto a Roma, dilaga la rivolta: il diacono pontificio salva a stento la pelle, riuscendo a scappare. I notabili d’Agrigento protestano con l’Arconte della Sicilia e con il vescovo di Siracusa, metropolita dell’Isola: questi inviano una squadra di duecento uomini per [garantire l’ordine pubblico e] mettere i sigilli all’episcopio. Giunto a Roma, Gregorio è messo in prigione: o scelleratezza, o durezza di cuore, o cattiveria di cui era pieno il Papa! L’imperatore e il Patriarca ecumenico, appresa la notizia dell’arresto di Gregorio, mandano subito a Roma Antica i vescovi di Ancira, di Cizico e di Corinto, il diacono Costantino di Santa Sofia e lo spatario Marciano. Giunti a Roma, il processo si tiene nel tempio di Sant’Ippolito [presso san Pietro in Vncoli]. La giuria è sbilanciata: il Papa e circa 110 contro Gregorio, la Delegazione Patriarcale e pochi altri a favore. Prende la parola il vescovo di Ancira, in difesa di Gregorio: pretende che testimoni e accusatori siano interrogati in presenza dell’accusato (secondo la procedura del Diritto Romano). Colpo di scena: proprio l’infelice Evodia smantella l’impianto accusatorio e confessa l’ignobile tranello, chiamando in causa gli indegni Sabino e Crescentino. L’indomani il processo continua nella basilica di San Pietro, nell’atrio detto di Sant’Andrea. Sabino è condannato all’esilio in Tracia e Crescentino in Spagna, insieme a Leucio; altri, coinvolti nella vicenda, sono confinati chi a Ravenna e chi tra i Baschi; altri ancora finiscono in carcere nella stessa Roma Antica. Evodia fu rinchiusa nel Monastero di Santa Cecilia dove trascorse in penitenza gli ultimi anni, ventidue, della sua vita. Il sinodo condanna persino i futuri eredi dei colpevoli, e ordina la ricostruzione della cattolica, della cattedrale d’Agrigento, profanata dall’empio Leucio (il quale aveva persino ribaltato l’altare, per distruggere le reliquie in esso custodite). Alla Chiesa di Agrigento, infine, si assegnano i beni demaniali sui quali avanzava pretese la Chiesa di Roma: addirittura, la metà della città siciliana, come documentato da rescritto imperiale che Gregorio curò di procurarsi a Costantinopoli. Dopo il processo, infatti, l’imperatore invita Gregorio a Nuova Roma e insieme al vescovo agrigentino Giustiniano II dedica tutta la quaresima a preparare il Concilio Quintosesto [692]. Gregorio fa quindi ritorno ad Agrigento, colmo di doni avuti dall’imperatore e dalla sua sposa Teodora: non vuole però entrare nell’episcopio (perché ancora occupato dagli eretici) e si stabilisce presso l’edificio sacro agli dei Eber e Raps che trasforma in tempio cristiano, dedicato ai santi Pietro e Paolo; la cattedrale, infatti, era stata profanata da due compari di Leucio, gli eretici vescovi del Grande Ponto e di Seleucia. Gregorio morì in pace, dopo una lunga vita e dopo aver edificato il popolo con molti miracoli.

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