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Sinassario | 2 agosto 2024

Ago 1, 2024 | Sinassario

  • 08: Memoria di san Giovanni martire

Archimandrita Antonio Scordino

Ivan Egorovic Steblin-Kamenskij nacque il 26 ottobre 1887 a San Pietroburgo, in una famiglia dell’alta borghesia russa: il padre era un senatore e importante funzionario dell’Ammiragliato.

Nel 1908 portò a termine gli studi presso l’Accademia della Marina Militare russa, e – con il grado di Guardiamarina – prese servizio a bordo dell’incrociatore Bogatyr.

Nella notte del 28 dicembre 1908, a bordo del Bogatyr, egli era in navigazione nelle acque dello Stretto, proprio quando un tremendo terremoto, seguito da un ancora più disastroso maremoto, si abbatteva su Reggio e Messina.

Si calcola che i morti siano stati più di centocinquantamila. Per di più, essendo tutto distrutto, la notizia del disastro cominciò a diffondersi nel resto dell’Italia e nel mondo solo il giorno dopo. Nessun soccorso, poi, poteva arrivare via terra, perché non c’erano più strade percorribili; non c’erano più nemmeno porti dove attraccare le navi dei soccorritori.

I marinai russi del Bogatyr riuscirono in qualche modo a sbarcare, e tra essi si distinse per eroismo il guardiamarina Ivan.

Senza mai fermarsi un momento, senza cedere alla fatica o al sonno, per giorni egli – a mani nude – trasse dalle macerie i pochi sopravvissuti e prestò ai feriti le prime cure mediche. C’era una chiesa ortodossa rimasta ancora in piedi, ma che minacciava di crollare anch’essa, a causa delle scosse che si susseguivano: sfidando il pericolo, il guardiamarina entrò, per mettere in salvo i vasi sacri e le icone, che poi furono depositate nella chiesa dell’Ammiragliato a Odessa.

La sua opera eroica destò l’ammirazione generale, per cui Ivan fu prontamente decorato di Medaglia al Valore civile.

Nel 1912 Ivan fu promosso tenente, e nel 1917 fu chiamato a insegnare nell’Accademia della Marina Militare; nel 1918 fu nominato Assistente del Comandante in capo la Flotta del Baltico.

La sconvolgente esperienza del terremoto di Reggio aveva però lasciato un profondo segno nell’animo del giovane, che si diede alla lettura di testi religiosi, alla preghiera continua, ai digiuni, alla partecipazione alle Liturgie.

In quegli anni iniziava in Russia la persecuzione dei cristiani: nel 1920 Ivan si dimise dalla Marina Militare e fu ordinato lettore nella chiesa della Trinità, a San Pietroburgo. Fu perciò arrestato.

Nel 1923, dopo essere stato rilasciato, fu ordinato diacono e sacerdote, prendendo il nome di Ioann (Giovanni).

Dopo l’ordinazione sacerdotale fu nuovamente arrestato, e nel 1924 condannato e rinchiuso nel lager delle Isole Solovki. Rifiutandosi di abbandonare la fede cristiana per abbracciare l’ateismo, fu condannato a morte mediante fucilazione. La sentenza fu eseguita il 20 luglio 1930 nei pressi di Voronez.

Il 16 agosto del 2000 è stato ufficialmente riconosciuto come santo martire.        

 

  • 08: Memoria di San Procopio di Taormina

San Procopio fu l’ultimo Vescovo dell’allora famoso ed importante centro siciliano, come il suo protovescovo San Pancrazio, San Procopio fu martirizzato. Allora la Sicilia fu oggetto di conquista degli eserciti islamici e Taormina capitolò a seguito del feroce assedio operato dalle truppe berbere e per tale centro fù la fine in quanto l’esercito berbero razziò e distrusse tutto ciò che fu possibile razziare e distruggere, oltre ad aver ucciso centinaia di cristiani che non vollero convertirsi all’Islam. Taormina, come del resto altri centri siciliani come Siracusa, Tindari, Lipari, Triocala, Lilibeo… non ritornarono mai più al loro antico splendore. San Procopio fu martirizzato ad opera del sanguinario Hibraìm che con le sue mani gli strappò il cuore dal petto, era l’1 agosto 903.

Per le preghiere di San Procopio, Signore Gesù Cristo, Dio nostro, abbi misericordia di noi. Amìn!

Tratto da

http://www.ortodoxia.it/San-Procopio_Taormina.html

 

 

  • 08: RITROVAMENTO DELLE RELIQUIE DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE

Secondo la celebre lettera del prete Luciano (scritta alla fine del 415) gli Ebrei lasciarono il corpo di Stefano esposto alle belve, ma per volere di Dio nessun animale lo toccò. Gamaliele, che aveva simpatia per i discepoli di Cristo, commosso dalla sorte del Diacono, convinse i cristiani a seppellirlo in segreto in un luogo poco distante da Gerusalemme, detto Caphargamala. I cristiani fecero come aveva suggerito Gamaliele e seppellirono Stefano dopo aver fatto solenni riti funebri. In questo luogo il corpo del Santo rimase come dimenticato per circa quattrocento anni. Tuttavia questo non deve sorprendere, in primo luogo perché il culto dei martiri iniziò solo nel II secolo e si sviluppò dopo il IV in seguito all’ottenimento della libertà religiosa; in secondo luogo perché Gerusalemme subì una completa distruzione prima nel 70 da parte di Tito e poi nel 135 sotto l’imperatore Adriano e quindi la memoria di molti era andata perduta.

Nel 415 Luciano, prete del villaggio di Caphargamala, dopo le visioni avute in sogno individuò il luogo in cui era sepolto il corpo del Protomartire. Egli descrisse il ritrovamento in una lettera scritta poco dopo gli avvenimenti.

Dopo il ritrovamento, il corpo fu traslato a Gerusalemme, per opera del vescovo Giovanni, nella data del 26 dicembre 415. Durante la traslazione una pioggia abbondante interruppe la terribile siccità che affliggeva la terra. Il corpo di santo Stefano rimase nella chiesa del Monte Sion fino al 14 giugno del 460, quando fu trasportato nella basilica fatta costruire appositamente per accogliere le reliquie del Santo dall’imperatrice Eudossia moglie di Teodosio II.

Intanto, dopo il ritrovamento del corpo, furono inviate in ogni parte del mondo le reliquie del Santo, e dovunque esse giungevano si costatavano miracoli strepitosi; di conseguenza si moltiplicavano i luoghi di culto dedicati al Protomartire. Le reliquie giunsero anche in molte chiese dell’Africa settentrionale. Anche il più che prudente sant’Agostino, convinto dagli innumerevoli miracoli, favorì l’estensione del culto del Protomartire, soprattutto con i suoi celebri Discorsi e riferendo nella sua famosa opera “La Città di Dio” i miracoli più significativi avvenuti nei nuovi santuari dedicati al Santo, compreso quello consacrato da lui stesso ad Ippona.

Secondo una pia tradizione il corpo di Stefano fu successivamente traslato a Costantinopoli e da qui trasferito a Roma alla fine del sec. VI, durante il pontificato di Pelagio II, e sistemato nella Basilica di san Lorenzo fuori le mura.

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