- Memoria di San Panfilo e compagni, martiri
San Panfilo nacque da una nobile famiglia di Berito, in Fenicia, e condusse i suoi studi ad Alessandria d’Egitto, dove fu discepolo di Origene. In età adulta si trasferì a Cesarea di Palestina, dove Agapio, vescovo di Cesarea, lo ordinò sacerdote. Uomo di grande cultura, fondò una biblioteca in cui trovarono posto le Sacre Scritture, le opere di Origene e di altri scrittori ecclesiastici; trascrisse le più antiche copie delle opere di Origene e continuò la sua opera di copista e correttore anche quando era in prigione per la sua fede in Cristo.
Nell’anno 307, sesto anno della persecuzione di Diocleziano e Massimino, Panfilo fu messo in prigione dal governatore Urbano. Dopo torture crudeli e dopo aver trascorso in carcere due anni, venne decapitato il 16 febbraio 309, sotto il governatore Firmiliano. Altri dodici martiri, provenienti da diversi paesi, subirono, in quello stesso giorno, il martirio. La storia di san Panfilo ci è stata riportata da sant’Eusebio, storico e suo discepolo.
- Memoria del beato Romano di Karpenisi, neomartire 16.2 Άγιος Ρωμανός ο νέος Οσιομάρτυρας- johnsanidopoulos.com-Holy New Martyr Romanos of Karpenisi
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
Romanos era di Karpenisi, nella Grecia centrale. Era una persona non istruita: l’unica cosa che sapeva era di essere un cristiano. Un giorno venne a sapere che un gruppo di fedeli era in partenza per un pellegrinaggio al Santo Sepolcro a Gerusalemme e si accodò. Dopo aver venerato i Luoghi Santi, si recò anche al Monastero di San Saba. In quel sacro luogo sentì i monaci leggere delle imprese dei Santi Martiri, di come avessero sofferto tante torture per Cristo in cambio del premio futuro. Il Santo chiese quale fosse questo futuro premio, e quando apprese dai padri della vita a venire e del Paradiso, nacque in lui il desiderio di ricevere il premio futuro attraverso il martirio. Con questa determinazione, andò a Gerusalemme e condivise la sua idea con il Patriarca, che lo dissuase: nel caso non avesse potuto sopportare le torture, avrebbe solo peggiorato le cose per il Santo Sepolcro e il Patriarcato.
Il santo, però, desiderando ardentemente il martirio, non poteva tenere dentro di sé il fuoco che si era acceso nel suo cuore. Andò quindi a Tessalonica, dove si recò davanti alla giustizia turca, per confessare Cristo come vero Dio, Creatore e Salvatore del mondo, qualificando invece Maometto come un impostore e un anticristo, e la sua religione un errore pieno di miti degni di derisione. Il giudice ordinò allora che fosse torturato. Lo picchiarono senza pietà fino a spezzargli le costole, gli strapparono strisce di pelle dalla schiena, gli lacerarono i fianchi con ferri di cavallo, usarono molte altre torture per costringerlo a rinnegare Cristo. Poiché il Santo rimase fermo nella sua confessione di fede, fu ordinato che venisse decapitato.
Si trovava in quel momento a Tessalonica l’ammiraglio della flotta. Costui chiese al giudice di consegnargli il martire per utilizzarlo su una nave come rematore, suggerendogli che questo sarebbe stato per il martire una punizione peggiore della morte. A motivo della sua posizione di rematore, a bordo sarebbe stato torturato per tutta la vita mentalmente e fisicamente. L’idea piacque al giudice, che consegnò Romanos all’ammiraglio; questi lo prese, gli tagliò i capelli e la barba e lo mise al suo nuovo posto.
Dopo poco tempo, però, alcuni amici cristiani del capitano lo corruppero, e il Santo venne liberato. Quei cristiani lo mandarono al Monte Athos, alla Skiti di Kafsokalyvia, dove si pose vicino a Sant’ Akakios, che serviva come suo anziano. In quel luogo lottava continuamente e con tutte le sue forze, ma non trovava pace. Viveva come uno straniero in questa vita e non pensava né al cibo né all’acqua; la sua mente era fissa sul martirio. Un giorno, mentre i due, anziano e novizio, digiunavano, sant’Akakios ricevette una rivelazione divina riguardo al martirio di Romanos; lo tonsurò monaco e con la sua benedizione lo lasciò partire con l’obiettivo della confessione della fede e del martirio.
Romanos dapprima si recò a Gerusalemme, poi a Costantinopoli. Lì prese un cagnolino, lo legò alla cintura e andò con lui al bazar. I turchi vedendo ciò chiesero perché stesse portando a spasso il cagnolino in modo così strano. Rispose loro: “Per nutrirlo come i cristiani nutrono voi turchi”. Non appena sentirono queste parole, lo afferrarono e lo portarono dal Visir, cui ripetè le stesse parole. Questi ordinò allora che venisse torturato finché non avesse rinnegato la sua fede, poi lo gettarono in un pozzo asciutto, in cui buttavano gli assassini. Là il beato rimase senza cibo per quaranta giorni. In seguito lo portarono fuori e lo torturarono senza pietà in vari modi senza poterlo convincere. Quindi il Visir ordinò che venisse decapitato. Mentre lo portavano sul luogo dell’esecuzione, salutava tutti i cristiani che vedeva con grande gioia, dicendo che stava andando al suo matrimonio e non alla sua esecuzione, cosa che lasciò molti sbalorditi.
Passando davanti alla moschea nell’ora in cui l’hodja chiamava alla preghiera di mezzogiorno dal minareto, il martire lo guardò e sputò su di lui; per questo motivo i carnefici gli tagliarono immediatamente la lingua, che egli allungò spontaneamente perché la tagliassero. E di nuovo salutava i cristiani con il sangue che gli scorreva dalla bocca. Quando raggiunse il luogo dell’esecuzione, lo decapitarono mentre ringraziava Dio, e il suo corpo decapitato si inclinò verso est, come se fosse ancora vivo. Irritati da questo segno i turchi scacciarono la folla di cristiani. Ciò avvenne nel 1694, il 5 o il 6 gennaio, anche se alcuni dicono che sia avvenuto il 16 febbraio (viene commemorato in entrambi i giorni dalla Chiesa). La santa reliquia rimase tre giorni e tre notti nel luogo dell’esecuzione e la grazia divina l’illuminò di una luce celeste, che fu vista da tutti, cristiani e turchi. Alla fine la reliquia del Martire fu acquistata per cinquecento piastre da un capitano inglese la cui nave era di stanza a Costantinopoli, e fu portata in Inghilterra.
Un cristiano testimone del martirio di San Romano, stupito dalla gioia e dal coraggio del martire, quando i turchi stavano respingendo con violenza i cristiani lontano dal corpo del martire, diede ad un bambino turco cinque piastre perché intingesse un tovagliolo nel sangue del martire e poi glielo riportasse. Il bambino lo fece, ma in seguito lo disse a un turco, che mandò di nuovo indietro il bambino chiedendo altre cinque piastre. Il cristiano non volle pagare altro, quindi fu denunciato al Visir per essere messo a morte. Tuttavia, il cristiano era un nobile e amico del Visir, che gli risparmiò la morte, ma lo rinchiuse in una squallida prigione dove languì per sei mesi. Ogni notte vedeva un raggio di luce emanare dal punto in cui era stato martirizzato Romanos, e questo lo rafforzava e lo consolava, “altrimenti” –disse- “sarei dovuto morire a causa delle mia estrema sofferenza”. Venne rilasciato in seguito per quattromila piastre, dopodiché lui e suo fratello vendettero tutti i loro averi per recarsi a Gerusalemme e al monte Sinai. Poi navigarono verso il Monte Athos dove divennero monaci. Il fratello maggiore, Agapios, concluse la sua vita al Monastero di Docheiariou, al quale donò il fazzoletto con il sangue del Martire. L’altro finì i suoi giorni al monastero di Koutloumousiou.
[tradotto da johnsanidopoulos.com]
- Memoria del beato Maruthas, vescovo di Martyropolis
Όσιος Μαρουθάς ο επίσκοπος συν των Αγίων Μαρτύρων εν Μαρτυροπόλει-johnsanidopoulos.com-Saint Maruthas of Martyropolis
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
Il beato Maruthas era il figlio di Liyuta e Mariamne, e divenne dotto in ogni ramo della conoscenza, specialmente in medicina. Alla morte di suo padre, gli succedette come sovrano di Sophene e in seguito fu consacrato come suo vescovo. Nell’anno 381 Maruthas partecipò al Secondo Concilio Ecumenico a Costantinopoli, convocato contro l’eresia di Macedonio. Nel 383, prese parte al Sinodo di Antiochia contro i Messaliani. All’ascesa di Yazdegerd I al trono persiano (399 circa), San Maruthas fu accreditato alla sua corte come ambasciatore dell’imperatore romano; ciò accadde dopo che San Maruthas era partto per Costantinopoli per implorare l’imperatore Arcadio di proteggere i cristiani persiani. Vnendo rispettato sia dall’imperatore romano che dallo scià di Persia, fu in grado di portare pace e comprensione tra i due imperi. Tra i tanti miracoli, guarì il re Yazdegerd dalle sue emicranie, dalle quali i suoi Magi non erano stati in grado di curarlo, conquistando così il suo favore e la pace per i suoi sudditi cristiani. Poiché il re volle ricambiarlo con qualche dono, il Vescovo chiese i corpi dei santi Martiri che avevano reso testimonianza a Cristo in Persia durante la terribile persecuzione di Sapore II (340-379). Le loro reliquie furono concesse con grande disponibilità e il Vescovo le trasportò presso la sua Sede di Mayerferqat, che divenne conosciuta da allora come Martyropolis.
Alcuni anni dopo, tornò in Persia per partecipare al Sinodo di Seleucia (410), che riorganizzò la Chiesa persiana. Assistette all’elezione di un nuovo Catholicos e non cessò mai di occuparsi della pace e del giusto ordine della Chiesa nel Regno Sassanide. I Magi mazdei erano gelosi del favore reale accordato al Vescovo. Fecero nascondere un uomo tra le volte del tempio del fuoco, il quale, nel momento in cui il re stava offrendo il suo sacrificio, lo ammonì come se un dio stesse parlando, con queste parole: “Non ti accetto perché hai messo Maruthas, il capo dei Galilei, al tuo fianco.” Guidato dalla grazia di Dio, Maruthas entrò nel tempio e smascherò la trama. Quando l’impostore confessò di essere stato messo lì dai Magi, il re li fece arrestare. Li avrebbe fatti mettere tutti a morte con le loro mogli e figli, se non fosse stato per l’intercessione del compassionevole Maruthas. Il Re quindi diede al santo Vescovo il permesso di costruire quante chiese nel Regno avesse voluto, concesse ai cristiani la libertà di culto e conferì valenza di legge ai decreti del Sinodo di Seleucia. Quanto al beato Maruthas, si addormentò in pace nella sua città cattedrale di Martyropolis nel giorno della consacrazione della chiesa locale, nell’anno 420. Le reliquie di San Maruthas furono successivamente trasferite in Egitto e collocate in una skiti monastica intitolata alla Madre di Dio.
Dopo il riposo di San Maruthas, il vescovo Abdas di Susa, nel suo zelo estremo, devastò uno dei templi zoroastriani e si rifiutò di ricostruirlo. Ciò innescò una ripresa delle persecuzioni contro i cristiani da parte del successore dello Shah Yazdegerd, suo figlio Vararanes, per influenza dei Magi.)
[tradotto da johnsanidopoulos.com]
- Memoria di san Flaviano, patriarca di Costantinopoli
16.2 johnsanidopoulos.com-Saint Flavian Patriarch of Constantinople
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
di San Nikolai Velimirovich
VITA
Flaviano divenne Patriarca di Costantinopoli succedendo a San Proclo. Era un contemporaneo di San Leone Papa di Roma. Combatté risolutamente contro Eutiche e Dioscoro, ma non visse abbastanza da vedere il trionfo dell’Ortodossia al Quarto Concilio Ecumenico di Calcedonia del 451, perché, prima di quello, durante il sinodo eretico di Efeso del 449, fu picchiato senza pietà, trovando la morte in quel luogo. Flaviano era un fedele soldato di Cristo e un coraggioso difensore e confessore della fede ortodossa.
RIFLESSIONE
Con grande difficoltà, con grande sforzo e sacrificio, il grano della verità dell’Ortodossia fu liberato dalla zizzania dell’eresia. Gli eretici hanno sempre fatto uso di bassi mezzi e persone mediocri per minare l’Ortodossia. L’archimandrita Eutiche di Costantinopoli e Dioscoro, patriarca di Alessandria, che diffondevano l’insegnamento eretico che non c’erano due nature in Cristo -quella divina e quella umana-, ma una sola natura, avevano come alleato nella corte imperiale il mediocre eunuco Crisafio. L’imperatrice Eudossia era segretamente dalla loro parte. Il patriarca Flaviano, come un leone, difese senza paura l’Ortodossia, ricevendo l’aiuto di Pulcheria (ricordata il 17 febbraio), la sorella dell’imperatore. L’eunuco Crisafio riportò all’imperatore Teodosio le calunnie più disgustose contro Flaviano, affinché questi lo rimuovesse dalla sua funzione e lo sostituisse con l’eretico Eutiche. Quando tutte queste trame fallirono, gli eretici tramarono per uccidere Flaviano. Al Sinodo chiamato ‘Latrocinio di Efeso’ fu picchiato così duramente che San Flaviano, il terzo giorno, rimise la sua anima a Dio. Al IV Concilio Ecumenico di Calcedonia, Eutiche e Dioscoro furono anatematizzati. L’eunuco fu estromesso dalla corte e finì la sua vita nella vergogna. L’imperatrice Eudossia fu bandita da Costantinopoli e riparò in Palestina. Flaviano e Plucheria furono proclamati santi e la fede ortodossa vittoriosamente confermata.
[tradotto da johnsanidopoulos.com]