- Il trasferimento delle reliquie di San Niceforo, patriarca di Costantinopoli
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
Il trasferimento delle reliquie di San Niceforo, patriarca di Costantinopoli
Alla fine del periodo dell’iconoclastia e la restaurazione del culto delle Sante Icone, il patriarca Metodio (842-846) fece notare agli imperatori Michele e Teodora che non era giusto che le sante di San Niceforo non fossero conservate a Costantinopoli (il Patriarca Niceforo –patriarca dall’806 all’814- si era opposto alla politica iconoclasta dell’imperatore Leone V l’Armeno, e per questo era stato costretto ad abdicare e a ritirarsi nel monastero di San Teodoro, sulla sponda asiatica del Bosforo). Furono allora mandati per ordine degli Imperatori e del Patriarca degli ufficiali, i quali aprirono la tomba del Santo nel Monastero di San Teodoro e trovarono la sacra reliquia interra e incorrotta dopo 19 anni dalla morte. Con grande devozione e attenzione la imbarcarono su una triremi reale e la portarono all’Imperatrice. Quando la nave reale si avvicinò all’attracco, l’Imperatore e il senato uscirono in processione con ceri accesi per accogliere la reliquia e trasportarla fino alla Chiesa di Santa Sofia. Da qui, nell’anno 846 fu spostata nel tempio dei Santi Apostoli, dove venne celebrata la sua Sinassi.
- Memoria di SANTA YPOMONI’ (PAZIENZA) L’ULTIMA IMPERATRICE DEI ROMEI
a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria
Testo di John Sanidopoulos
Santa Ypomonì (Pazienza), al secolo si chiamava Elena Dragaš, e più tardi in quanto moglie di Manuele II Paleologo fu chiamata: “Elena Paleologo, in Cristo Dio Augusta ed Imperatrice dei Romei”. Era la figlia di Costantino uno dei tanti despoti ed eredi del gran regno serbo di Stefano. Proveniva da una nobile e benedetta stirpe. Molti dei suoi antenati erano santi, per esempio Stefano Nemanja, il re dei Serbi e fondatore del Sacro Monastero di Hilandari della Santa Montagna, e il ben noto san Simeone il Mirovlita. Costantino Dragaš assunse il comando di quella che oggigiorno è la porzione nord est bulgara della Macedonia, nell’area fra i fiumi Axiou e Strymonos. La sua nascita ebbe luogo dopo la morte dell’era Dusan. La sua crescita e la sua educazione furono grandemente influenzati dal pensiero bizantino poiché i Serbi erano molti influenzati dalla cultura bizantina. Loro stessi si identificavano profondamente con la cultura e soprattutto la coscienza nazionale dell’impero bizantino. Emotivamente ed essenzialmente erano considerati Romei, per questo in seguito le fu concesso di diventare Augusta ed Imperatrice in quanto nata in Serbia. Oltre a ciò fu cresciuta nella tradizione famigliare dell’incrollabile fede Ortodossa. Questa fede la guidò e l’illuminò, ed ispirò la sua vita che fu piena di dolori e prove. Aveva 19 anni quando sposò Manuele II Paleologo (1390), pochi giorni prima che diventasse Imperatore.
La nuova vita di Elena si rivelò essere un Golgotha. Molte volte dovette bere la coppa degli insulti e dello svilimento da parte del marito, non solo da parte di quelli di altre religioni ma anche da parte dei cristiani dì Occidente, nel loro disperato tentativo di trovare modi per salvare l’impero morente. Elena dimostrò di essere una persona eccezionale e ottenne grandi virtù e forza spirituale. Dimostrò di avere una totale consapevolezza della sua posizione e delle circostanze, del suo ruolo e di ciò che era necessario, ad ogni livello. Amava le persone, era la “Grande Madre” a cui chiunque poteva avvicinarsi. Condivise le ansie e le preoccupazioni della sua nazione impaurita e qualsiasi cosa facesse era accompagnata dalla preghiera, dalle sue parole miti, dolci e consolanti. Quello che fu scritto su di lei da Giorgio Gemisto Pletone è molto caratteristico ed eloquente: ”Questa Imperatrice apparsa per seguire due modi di vita. Né il momento della prova la fece barcollare, né quando le fu concesso riposo, ma in ogni caso fece ciò che era necessario. Più di ogni altra donna unì intelligenza e coraggio. Si distinse per la castità ed ebbe una profonda rettitudine. Noi non sapevamo come non fare del male a nessuno, uomini o donne. Invece sappiamo che lei ha fatto molto bene a molti. Con quale altro modo può essere mostrata la giustizia, in pratica, se non per non fare la propria volontà o mostrare il male nei confronti di nessuno, ma solo fare bene a molti?” Si mostrò degna di suo marito amante di Dio, Manuele. Si dimostrò degna di affiancarlo per 35 anni in conformità con il loro martirio, in altre parole, tutto fu tenuto in accordo e armonia, co-spiriti di Dio in unità di lotte. Sono riusciti ad onorare la virtù con le parole ed i fatti.
Questa benedetta coppia è stata graziata da Dio con otto figli. Dei sei maschi, due ascesero al trono imperiale, Giovanni VIII e Costantino XI, l’ultimo è il leggendario imperatore. Teodoro, Demetrio e Tommaso divennero despoti di Mystrà e, Andronico di Tessalonika. Le due figlie, tuttavia, morirono in giovane età. La madre che ebbe così tanti figli e che li amò così tanto, nutrì loro con la fede e con il dolce insegnamento della nostra Chiesa Ortodossa, portando loro ai sacri santuari e monasteri dell’Impero. E cercò per loro preghiere dai santi asceti e anziani. Li crebbe “sin dalla giovinezza nelle legge del Signore”, e mai “cessò con le lacrime della preghiera e amore di instillare in ognuno di loro la legge”. Con pazienza e tenacia, con cura e preghiera plasmò i loro caratteri. In questo modo, fra l’altro, riuscì a porre fin a 90 anni di conflitto tra i membri della famiglia imperiale che aveva portato l’Impero all’estinzione. Ogni differenza d’opinione o conflitto che si verificò (dopo la morte di Manuele) fu superata silenziosamente con il prestigio del suo intervento materno e la sua preghiera.
Il suo amore verso i monasteri era speciale. Lì si sentiva riposata, la sua anima vi sarebbe rimasta, si fece forza e coraggio per quel che sarebbe seguito. Questo comunicò alla sua famiglia. Suo marito che cedette il trono al primogenito Giovanni due mesi prima di morire ( 29 maggio 1425 ) si ritirò nel Monastero di Pantokrator a Costantinopoli dove fu tonsurato monaco con il nome di Matteo. Lei dopo la morte del marito divenne monaca al Monastero della Signora Marta, con il nome di Ypomonì, (Pazienza). Anche tre dei suoi figli divennero monaci, Teodoro e Andronico (monaco Acacio) nel Monastero del Pantokratore, e Dememtrio (monaco Davide) a Didymotecho. Inoltre, fino a quando furono nella loro madrepatria, insieme a suo padre lei costruì il Sacro Monastero della Tuttasanta Pammakaristos (Beata Madre di Dio) a Poganovo, sudest della Serbia.
A Costantinopoli lei era associata al Sacro Monastero del Precursore di Petra, dove erano custodite le sacre reliquie di san Patapio Taumaturgo a cui santa Ypomonì mostro particolare devozione. Il monastero era stato fondato da un compagno d’ascesi in Egitto di san Patapio, Vara il Giusto, fuori la porta Romana prima del 450. Con l’aiuto di santa Ypomonì si fondò nel monastero un ospizio femminile col nome di “Speranza dei Disperati”. La sua venerazione nei confronti di san Patapio fu rivelata dal fatto che l’iconografo della grotta di San Patapio sulla Montagna Geraneia di Corinto considerò essenziale raffigurarla accanto al corpo del santo. Santa Ypomonì è stata una figura brillante ed illuminata, ricolma di molti talenti, che lei “commerciava” con saggezza e prudenza con grande guadagno. Gestiva con virtù l’ascesi e la resistenza fisica per u una ben difficile da raggiungere misura della virtù.
Una eminente figura del tempo, Gennadio Scolario, il primo Patriarca dopo la Caduta di Costantinopoli nel suo Discorso Consolatorio sull’imperatore Costantino XI, alla sezione “Alla dormizione di sua madre Ypomonì” scrive la seguente testimonianza: “Questa benedetta Imperatrice, quando veniva visitata da una persona sapiente, quest’ultimo veniva stupito dalla sua saggezza. Quando incontrava una persona ascetica, quest’ultimo rimaneva dopo l’incontro, stupito dalla povertà delle proprie virtù e meravigliato da quelle di lei. Quando incontrava una persona intelligente, questi rimaneva colpito dalla sua maggiore intelligenza. Quando incontrava un legislatore, questi diveniva più diligente. Quando parlava con dei avvocati, questi avevano la sensazione di parlare con la personificazione della Legge. Quando la incontrava un coraggioso, questi si sentiva sconfitto dalla sua pazienza, saggezza e forza di carattere. Quando era avvicinata da filantropi, questi si sentivano annientati dal suo maggior e percepibile senso di filantropia. Quando incontrava qualche amante dei divertimenti, questi otteneva saggezza e presso lei veniva a conoscenza della propria umiltà, si pentiva. Quando incontrava zeloti della pietà, essi ottenevano maggior zelo. Ogni sofferente incontrandola riceveva il sollievo delle proprie pene. Ogni arrogante redarguiva il proprio gran amore di sè. E in generale non esisteva nessuno che a suo contatto non divenisse una persona migliore”.
Iddio la graziò di non vivere gli ultimi tragici istanti dell’Impero. La chiamò a sé il 13 marzo 1450, avendo vissuto 35 anni da imperatrice e 25 da umile monaca. Il suo servitore Giovanni Eugenico, fratello di san Marco Arcivescovo d’Efeso nel suo Discorso Consolatorio sull’imperatore Costantino “Alla dormizione di sua madre, San Ypomoni”, scrive: “Per quanto riguarda la tua eterna Signora Madre, ogni cosa finchè visse è stata eccellente: la fede, le opere, la generazione, il modo di vivere, la parola e tutto insieme erano puri e degni del divino onore, come visse partecipe della divina Provvidenza, così finì. ” La” Santa Signora “come è chiamata da Giorgio Frantzes, è unita al significato del suo nome monastico (Pazienza) con il modo in cui affrontò il bene e anche i molti problemi della sua intera vita. Pazienza nella vita, nelle opere e nel nome monastico “. Nella pazienza, occupò la sua anima.”.
Il santo capo di Santa Ypomoni è custodito oggi nel Sacro Monastero di San Patapio a Loutraki di Corinto.