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Sinassario | 11 novembre 2024

Nov 10, 2024 | Sinassario

  • Memoria del santo megalomartire MINÀS (o Menna) di Kottyaion

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Il santo martire Minàs combatté per Cristo durante la persecuzione di Massimiano (296 – 304). Egli era originario d’Egitto e serviva nelle armate imperiali stazionate a Kottyaion, in Frigia (Asia Minore), sotto il comando di un certo Argirisco. Veterano di cinquanta anni, Minà si distingueva non solo per la sua valenza, ma anche per la sua saggezza e temperanza che aveva per la fede in Cristo. in quell’epoca il generale Firmiliano riunì differenti legioni tra cui quella di Minàs, per trasferirle nel paese dei Berberi (Africa del Nord). Tra le altre missioni, i soldati erano stati incaricati di impadronirsi dei cristiani che si rifiutavano di sottomettersi alle sentenze imperiali. Minàs fu così tanto scandalizzato da queste misure repressive che si rivoltò, gettò la sua cintura a terra in segno di diserzione e fuggì nelle montagne situate in prossimità di Kottyaion, per praticare l’ascesi e vivere con le bestie selvagge, le cui maniere erano più dolci di quelle degli idolatri. Li dimorò da solo un certo periodo di tempo, dedicando nel silenzio e nella solitudine alla preghiera e alla purificazione delle sue passioni e quando ebbe il cuore sufficientemente affermato nell’amore di Cristo, ricevette la rivelazione che il momento era ormai arrivato per offrirsi al martirio. Egli scese dunque in città, nel giorno in cui i pagani celebravano una delle loro empie solennità, e gridò avanti a tutti: << Sappiate che non vi è che un solo vero Dio: il Cristo; e che quelli che voi adorate altro non sono che pezzi di legno muti e insensibili! >>. Stupefatti dalla sua audacia, i pagani si precipitarono su di lui, lo bastonarono e lo liberarono al governatore della città, che approfittò dell’occasione per offrire i supplizi del santo atleta di Cristo in divertimento alla folla. Il santo rivelò senza timore il suo passato e rifiutò tutte le proposte che gli venivano fatte per riprendere il suo posto nell’armata. Lo si flagellò crudelmente e poi gli si grattarono le piaghe con del crine. Poi lo si sospese ad un cavalletto, gli si scorticò la pelle e gli si passarono delle torce infiammate su tutto il corpo. Vedendo la sua carne cadere a pezzi, il santo rese gloria a Dio per essere così stato liberato attraverso la partecipazione alle sofferenze di Cristo, della tunica di pelle che Adamo aveva fatto rivestire alla nostra natura (Gen. 3,21). Egli subì ancora altri supplizi, poi su ordine del governatore, fu decapitato. Prima della sua esecuzione, Minàs chiese a pochi cristiani segreti che avevano potuto avvicinarlo, di trasportare i resti del suo corpo in Egitto, sua patria. Il tiranno ordinò di bruciare la sua spoglia, ma i fedeli poterono comunque salvare una parte delle preziose reliquie e trasportarle in Egitto, dove le seppellirono degnamente costruendo una chiesa in onore del grande martire. Dopo la partenza da questa vita, san Minàs non ha cessato di essere presente presso i fedeli: di assisterli e soccorrerli nei pericoli. Le sue apparizioni e i suoi miracoli sono innumerevoli. Tra i più recenti ne riportiamo due.

Durante le turbe che seguirono la rivoluzione greca e le sanguinanti repressioni dichiarate dai Turchi contro i partigiani (1826), alcuni turchi di Heraclion, a Creta, decisero di massacrare i cristiani che si erano riuniti nella cattedrale, dedicata a san Minàs, per celebrare la Pasqua. Essi appiccarono fuoco in differenti quartieri della città per distogliere l’attenzione delle forze di polizia e accerchiarono la chiesa, preparandosi ad entrare di forza per realizzare il misfatto. Ma improvvisamente san Minàs apparve sotto l’aspetto di un terribile cavaliere tenendo in mano una spada sguainata. Egli seminò il panico tra i Turchi e liberò i cristiani dal pericolo. In segno di riconoscenza, i fedeli di Heraclion celebrano ogni anno, il martedì di Pasqua, la commemorazione di questo miracolo.

Più recentemente, durante i combattimenti decisivi per a fine della guerra, che ebbero luogo nell’Africa del Nord (1942) successe che le truppe naziste comandate dal generale Rommel, in rotta per Alessandria, si arrestassero presso un luogo chiamato El-Alamein (deformazione araba del nome Minàs), dove si trovavano le rovine di una antica chiesa dedicata a san Minàs (e secondo alcuni la sua tomba). Avanti a migliaia di tedeschi armati di ferro e fuoco, si trovavano le deboli forze alleata tra cui qualche greco. L’esito del combattimento sembrava certo ma, venuta la notte, san Minàs apparve in mezzo al campo tedesco, alla testa di una carovana di cammelli, nell’identico modo in cui era rappresentato in uno degli affreschi della chiesa che descrivevano i miracoli del santo. Questa apparizone gettò lo stupore, poi il panico tra i Tedeschi e abbassò così forte il morale che gli alleati riportarono brillantemente la vittoria. Per riconoscenza, venne restaurata la chiesa dl santo e si fondò lì un piccolo monastero.

* I sinassari lo distinguono dall’altro san Minàs, martirizzato ad Alessandria sotto Diocleziano e commemorato il 10 dicembre.

  • Memoria di San Bartolomeo da Rossano, greco di Calabria, discepolo e agiografo di San Nilo da Rossano, igumeno dei monaci di Grottaferrata nei pressi di Roma (tra il 1054 e il 1055)

Il santo martire Minàs combatté per Cristo durante la persecuzione di Massimiano (296 – 304). Egli era originario d’Egitto e serviva nelle armate imperiali stazionate a Kottyaion, in Frigia (Asia Minore), sotto il comando di un certo Argirisco. Veterano di cinquanta anni, Minà si distingueva non solo per la sua valenza, ma anche per la sua saggezza e temperanza che aveva per la fede in Cristo. in quell’epoca il generale Firmiliano riunì differenti legioni tra cui quella di Minàs, per trasferirle nel paese dei Berberi (Africa del Nord). Tra le altre missioni, i soldati erano stati incaricati di impadronirsi dei cristiani che si rifiutavano di sottomettersi alle sentenze imperiali. Minàs fu così tanto scandalizzato da queste misure repressive che si rivoltò, gettò la sua cintura a terra in segno di diserzione e fuggì nelle montagne situate in prossimità di Kottyaion, per praticare l’ascesi e vivere con le bestie selvagge, le cui maniere erano più dolci di quelle degli idolatri. Li dimorò da solo un certo periodo di tempo, dedicando nel silenzio e nella solitudine alla preghiera e alla purificazione delle sue passioni e quando ebbe il cuore sufficientemente affermato nell’amore di Cristo, ricevette la rivelazione che il momento era ormai arrivato per offrirsi al martirio. Egli scese dunque in città, nel giorno in cui i pagani celebravano una delle loro empie solennità, e gridò avanti a tutti: << Sappiate che non vi è che un solo vero Dio: il Cristo; e che quelli che voi adorate altro non sono che pezzi di legno muti e insensibili! >>. Stupefatti dalla sua audacia, i pagani si precipitarono su di lui, lo bastonarono e lo liberarono al governatore della città, che approfittò dell’occasione per offrire i supplizi del santo atleta di Cristo in divertimento alla folla. Il santo rivelò senza timore il suo passato e rifiutò tutte le proposte che gli venivano fatte per riprendere il suo posto nell’armata. Lo si flagellò crudelmente e poi gli si grattarono le piaghe con del crine. Poi lo si sospese ad un cavalletto, gli si scorticò la pelle e gli si passarono delle torce infiammate su tutto il corpo. Vedendo la sua carne cadere a pezzi, il santo rese gloria a Dio per essere così stato liberato attraverso la partecipazione alle sofferenze di Cristo, della tunica di pelle che Adamo aveva fatto rivestire alla nostra natura (Gen. 3,21). Egli subì ancora altri supplizi, poi su ordine del governatore, fu decapitato. Prima della sua esecuzione, Minàs chiese a pochi cristiani segreti che avevano potuto avvicinarlo, di trasportare i resti del suo corpo in Egitto, sua patria. Il tiranno ordinò di bruciare la sua spoglia, ma i fedeli poterono comunque salvare una parte delle preziose reliquie e trasportarle in Egitto, dove le seppellirono degnamente costruendo una chiesa in onore del grande martire. Dopo la partenza da questa vita, san Minàs non ha cessato di essere presente presso i fedeli: di assisterli e soccorrerli nei pericoli. Le sue apparizioni e i suoi miracoli sono innumerevoli. Tra i più recenti ne riportiamo due.

Durante le turbe che seguirono la rivoluzione greca e le sanguinanti repressioni dichiarate dai Turchi contro i partigiani (1826), alcuni turchi di Heraclion, a Creta, decisero di massacrare i cristiani che si erano riuniti nella cattedrale, dedicata a san Minàs, per celebrare la Pasqua. Essi appiccarono fuoco in differenti quartieri della città per distogliere l’attenzione delle forze di polizia e accerchiarono la chiesa, preparandosi ad entrare di forza per realizzare il misfatto. Ma improvvisamente san Minàs apparve sotto l’aspetto di un terribile cavaliere tenendo in mano una spada sguainata. Egli seminò il panico tra i Turchi e liberò i cristiani dal pericolo. In segno di riconoscenza, i fedeli di Heraclion celebrano ogni anno, il martedì di Pasqua, la commemorazione di questo miracolo.

Più recentemente, durante i combattimenti decisivi per a fine della guerra, che ebbero luogo nell’Africa del Nord (1942) successe che le truppe naziste comandate dal generale Rommel, in rotta per Alessandria, si arrestassero presso un luogo chiamato El-Alamein (deformazione araba del nome Minàs), dove si trovavano le rovine di una antica chiesa dedicata a san Minàs (e secondo alcuni la sua tomba). Avanti a migliaia di tedeschi armati di ferro e fuoco, si trovavano le deboli forze alleata tra cui qualche greco. L’esito del combattimento sembrava certo ma, venuta la notte, san Minàs apparve in mezzo al campo tedesco, alla testa di una carovana di cammelli, nell’identico modo in cui era rappresentato in uno degli affreschi della chiesa che descrivevano i miracoli del santo. Questa apparizone gettò lo stupore, poi il panico tra i Tedeschi e abbassò così forte il morale che gli alleati riportarono brillantemente la vittoria. Per riconoscenza, venne restaurata la chiesa dl santo e si fondò lì un piccolo monastero.

* I sinassari lo distinguono dall’altro san Minàs, martirizzato ad Alessandria sotto Diocleziano e commemorato il 10 dicembre.

  • Memoria del beato Teodoro il confessore, igumeno del monastero di Studion

Il beato Teodoro nacque a Costantinopoli nel 759, figlio di Fotinos e Theoktistis. Nella sua educazione, suo zio Platone, una delle più grandi figure della chiesa di Costantinopoli, esercitò una grande influenza.

Teodoro divenne monaco nel Monastero di Sakkoudion (vicino a Prusa, l’attuale Bursa in Turchia), che i suoi genitori costruirono nella loro tenuta chiamata Voskition. In seguito divenne il suo igumeno, dopo che lo zio di Platone si ritirò a causa dell’età avanzata. Nel 799 si trasferì al monastero di Studion, a Costantinopoli, dove si dedicò ancora più completamente alla riforma della vita monastica, resa necessaria dalle difficoltà della prima fase dell’iconoclasmo.

Per la sua contrarietà alle nozze dell’imperatore Costantino VI con Teodota, fu esiliato a Salonicco. Ritornò a Costantinopoli dopo la morte di Costantino e stabilendosi nel monastero di Studion. Ma sempre per la sua resistenza all’ordinazione di Nikiforos da laico a patriarca, nell’809 subì di nuovo l’esilio. Ritornò nell’812 a Costantinopoli, per essere esiliato per la terza volta da Leone V, perché difese molto coraggiosamente le Sante Icone e la fede ortodossa. Liberato nell’821 dall’Imperatore Michele II, si adoperò in seguito contro l’imperatore, giudicato dal santo troppo indulgente nei confronti degli iconoclasti. Perciò fu allontanato di nuovo dalla capitale.

Morì in esilio nell’826 all’età di 67 anni. Il suo corpo fu portato alle Isole dei Principi, dove fu sepolto. Nell’844, ai tempi del patriarca Metodio, fu presentato all’imperatrice Irene, insieme alla reliquia di suo fratello Giuseppe di Salonicco e fu sepolto nel monastero di Studion.

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