- Memoria del santo Profeta Naum
Naum, o Nahum (Elcos, VII secolo a.C.; † …), è un personaggio dell’Antico Testamento, profeta ebreo. È l’autore dell’omonimo Libro della Bibbia ed è il settimo dei dodici Profeti minori.
Il suo nome potrebbe essere l’abbreviazione di Nahumjà (Nahum + Jahvè), che significa “YHWH ha consolato”.
Della sua vita non sappiamo nulla. Fu testimone della caduta di Ninive, la città assira che si affacciava sul fiume Tigri e che, nel 612 a.C., venne distrutta. Fu contemporaneo del re Giosia, re di Giuda dal 640 al 609 a.C.; la sua predicazione ebbe quasi certamente luogo fra il 662 ed il 612 a.C.
L’omonimo Libro di Naum è il 41° del Vecchio Testamento, segue quello di Michea e precede quello di Abacuc.
L’asprezza con cui Naum si esprime, risente però della mentalità e del clima dell’Antico Testamento.
Col suo libro o meglio libretto profetico, composto di soli tre capitoli, egli ci offre una visuale centrata sull’evento della distruzione della capitale assira Ninive, caduta nel 612 a.C. sotto gli assalti del re dei Medi Ciassare e di Nabopolassar fondatore della dinastia neo-babilonese.
Il canto profetico di Naum è tutto dedicato alla caduta e rovina dell’Assiria, la grande avversaria d’Israele; in effetti si tratta di una lamentazione sarcastica, in cui fingendo un lutto e un dispiacere per quella fine, in realtà ironizza ed esprime soddisfazione per l’opera di giustizia compiuta dal Signore, contro un oppressore così duro e crudele con Israele.
Con questo canto, la caduta di Ninive assume il simbolo della grande vittoria che Dio riporta sul male, e unisce la speranza per un futuro diverso per gli oppressi.
Nel poema profetico Naum o Nahum, dipinge le vicende quasi in presa diretta, evocando anche un fatto precedentemente accaduto, cioè la distruzione di Tebe nel 663 a.C., capitale egiziana distrutta proprio dagli Assiri, condotti da Assurbanipal e che ora subiscono la stessa sorte.
Gli Assiri si erano dimostrati feroci e senza pietà, imprigionando i capi di Tebe e massacrando i loro bambini ed ora il profeta vede le stesse distruzioni e masse di cadaveri in Ninive, quella che fu “una città sanguinaria”.
In conclusione egli pronuncia la sua lezione profetica ammonendo: non si può pensare di costruire regni durevoli sulla forza, sulla prepotenza e sui misfatti, perché il Signore è lento all’ira, ma alla fine nulla lascia impunito.
- Memoria di san FILARETE il MISERICORDIOSO, morto in pace
a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria
Nella città di Amnia, in Paflagonia, sotto la reggenza dell’imperatrice Irene, madre del giovane imperatore Costantino VI (780), viveva un ricco coltivatore di nome Filarete. Dio gli aveva dato in abbondanza ogni sorta di beni e di ricchezze, campi, vigne, greggi di cui si occupava una folla di servitori, già avanti in età, viveva felice, circondato da una numerosa famiglia e avendo come unica preoccupazione di piacere a Dio mettendo le sue ricchezze al servizio del prossimo. Amico della virtù, come dice il suo nome, Filarete aveva un tale amore per i fratelli, vicini e lontani, conosciuti e sconosciuti, che non sopportava di vedere alcuno nel bisogno. Egli distribuiva a tutti i bisognosi che si presentavano da lui e, come Abramo andava avanti ad ogni straniero per offrirgli ospitalità. Il Signore gli mostrava allora il suo favore facendo abbondare le sue ricchezze, nella stessa misura in cui il suo servitore distribuiva.
Ma per la gelosia del diavolo e il permesso di Dio che lasciò provare Filarete come il giusto Giobbe, dei ladri andarono a rubare le sue ricchezze e una serie di accidenti lasciò ben presto il ricco lavoratore nella più completa povertà, al punto che non gli rimanesse altro che un miserevole pezzo di terra, una coppia di buoi, un agnello, un cavallo, una vacca e il suo vitello e qualche alveare. Malgrado questa grave e rapida decadenza, l’uomo di Dio non si lasciò uscire una lacrima o una parola di rivolta dalla sua bocca, al contrario gioiva e rendeva sempre grazie a Dio di averlo liberato dal fardello delle ricchezze, ricordandosi delle parole del Signore: << E’ più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel Regno di Dio >> (Mat. 19,24).
Costretto da allora a lavorare con le proprie mani per nutrire la famiglia, un giorno che andava nei campi, incontrò un povero paesano a cui era morto un bue e si lamentava a gran voce. Dimenticando la propria indigenza e non ascoltando che la sua compassione, il santo gli fece dono di uno dei suoi e, qualche giorno più tardi del secondo, privandosi così del magro raccolto che la sua terra poteva dargli. Apprendendo questo atto di carità, la sposa di Filarete e i suoi figli versarono abbondanti lacrime e lo rimproverarono di averli abbandonati ad una sicura carestia. Ma, pieno di speranza nella Provvidenza Divina e di fede nelle parole del Signore: << Non vi preoccupate della vostra vita di ciò che dovete mangiare e bere ( … ) cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutti il resto vi sarà dato in sovrappiù >> ( Mat. 6,24-33); il valoroso discepolo di Cristo li esortò ad avere pazienza e promise loro di prendere ben presto un tesoro che teneva nascosto.
Un po’ dopo, incontrando un militare che aveva perso il cavallo, Filarete gli fece dono del suo, con la stessa mancanza per il proprio futuro. Egli continuava a distribuire i pochi beni che gli rimanevano come quando era ricco, tanto che ben presto si privò della sua vacca e del suo vitello ed offrì ad uno più povero di lui il suo asino carico di grano che era andato a prendere lontano. Privatosi di tutto, anche del pane quotidiano, ricevete un aiuto da uno dei suoi ricchi amici. Egli diede una parte ad ognuno dei membri della sua famiglia perché potessero nutrirsi per qualche tempo ma distribuì la propria ai poveri che abbondavano in quel tempo di carestia. Dopo aver così donato tutto il suo miele, diede i suoi abiti ad un mendicante venuto a chiedergli un po’ di nutrimento.
Ormai spogliato di ogni bene, morto al mondo privato di ogni consolazione umana, Filarete aveva abbandonato la sua esistenza alla misericordia di Dio e Costui gli mostrò che Egli non abbandona. Il precettore del giovane imperatore inviò allora in tutto l’impero degli emissari incaricati di riunire ragazze giovani, belle e distinte perché si trovasse una sposa per il sovrano. Arrivati ad Amnia, gli inviati imperiali furono ricevuti nella casa di Filarete, che offrì loro un’ospitalità degna del Patriarca e Padre dei credenti Abramo. In effetti, malgrado la sua recente miseria, egli aveva conservato la sua lussuosa dimora e gli abitanti della città avevano portato in questa occasione i loro prodotti più preziosi e più delicati a lui che non aveva da offrire neanche il pane quotidiano nella sua casa. Colpiti dalla nobiltà e dalla virtù dell’anziano, che rifulgevano sul viso e nei suoi comportamenti, gli emissari gli chiesero di presentar loro la sua famiglia e scelsero due delle sue figlie, Maria e Marantia, per condurle a corte. Quando furono presentate all’imperatore, la bellezza spirituale delle loro anime, che erano state formate alla virtù da san Filarete, traspariva talmente nella loro bellezza corporale che vennero scelte immediatamente tra tutte le pretendenti. Costantino VI prese Maria come sposa, unì sua sorella a uno dei personaggi più importanti di corte, avendo fatto venire Filarete presso di lui a palazzo, lo coprì di onori e ricchezze più grandi ancora che precedentemente. Il santo non si fece ubriacare da questa nuova abbondanza e preparò un sontuoso festino dove invitò i poveri, gli anziani, e i potenti della capitale. Egli trascorse allora il suo tempo a percorrere le strade in compagnia di un servitore che teneva in mano tre borse: una piena di pezzi di bronzo, l’altra di pezzi d’argento e l’altra piena di spiccioli di rame e ogni volta che un povero si presentava a lui, egli metteva la mano in una delle tre borse, facendo così l’elemosina ai degni come agli indegni, non misurando i doni secondo il proprio giudizio ma facendosi solamente strumento della misericordia di Dio che conosceva i bisogni di ciascuno. Elevato alla dignità consolare, l’umile e dolce Filarete conobbe prima il momento della sua morte e riunì tutta la numerosa famiglia attorno al suo letto, come Giacobbe quando fu sul punto di lasciare questa terra, e raccomandò loro di distribuire con gioia tutto il resto dei suoi beni ai poveri e ai bisognosi, aggiungendo queste parole:<< Figli miei, non dimenticate l’ospitalità, visitate coloro che sono malati o in prigione, vegliate sulle vedove e sugli orfani, assicurate la sepoltura di coloro che muoiono nella indigenza, non siate negligenti nel frequentare la chiesa, non desiderate i beni altrui, non dite male di nessuno, non gioite dei malanni che sopraggiungono ai vostri nemici, agite in tutto come avete visto agire me nella mia vita. Perché Dio vi guardi sotto la sua protezione >>. Poi, con il viso risplendente di gioia e di luce, rimise la sua anima a Dio, fermandosi sulle parole della preghiera del Signore:<< Che sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra >>.
Ndc: il capo del Santo è custodito nel monastero della Santa Lavra di Kalavrita (Peloponneso).