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Sinassario | 2 dicembre 2024

Dic 1, 2024 | Sinassario

  • Dall’insegnamento del nostro Padre tra i Santi Cromazio Arcivescovo d’Aquileia

di San Cromazio arcivescovo di Aquileia         

” ‘Tu, quando preghi, entra nella tua camera, e chiusa la porta, prega il Padre tuo’ (Mt 6, 6). Bisogna pregare Dio dopo aver chiuso la porta: vale a dire che dobbiamo chiudere il nostro cuore, con la chiave mistica, a ogni sentimento malvagio, e a bocca chiusa dobbiamo parlare a Dio con mente pura… Il nostro cuore, dunque, sia chiuso con la chiave della fede contro le insidie dell’avversario e sia aperto solo a Dio; si sa quello è il nostro tempio, perché colui che abita nei nostri cuori è il nostro avvocato nelle preghiere.”

Cromazio d’Aquileia, “Sermoni Liturgici”, Edizioni Paoline, Milano 2013, pp. 287-28

“Non si può parlare di Chiesa se non c’è Maria, madre del Signore, con i suoi fratelli. Infatti, c’è la Chiesa di Cristo dove si predica che Cristo si è incarnato dalla Vergine.”

Cromazio d’Aquileia, “Sermoni Liturgici”, Edizioni Paoline, Milano 2013, p. 234

“Non sapete che coloro che corrono nello stadio, corrono sì tutti, ma solo uno conquista la corona?” (1 Cor 9, 24). Secondo l’esempio terreno, come dice l’apostolo…, nello stadio della vita presente, sono in molti a correre ma uno solo conquista la corona. Corrono i Giudei dietro la Legge, corrono i filosofi dietro una vana sapienza, corrono gli eretici dietro una falsa dottrina, corrono i cattolici dietro la predicazione della vera fede: tra tutti questi però solo uno conquista la corona, appunto il popolo cattolico che lungo la retta via della fede si protende verso Cristo, per raggiungere la palma e la corona dell’immortalità.
Perciò i Giudei, i filosofi e gli eretici corrono invano, perché non percorrono la corsia della retta fede. Che cosa giova ai Giudei correre dietro l’osservanza della Legge, se ignorano Cristo Signore della Legge? Corrono anche i filosofi dietro la vana sapienza del mondo, ma inutile e senza risultato è la loro corsa perché non conoscono la vera sapienza di Cristo. Cristo, infatti, è la vera sapienza di Dio, che non fa sfoggio di parole o di brillanti discorsi, ma viene conosciuta con la fede del cuore. Corrono gli eretici dietro le tossiche affermazioni della loro fede…, ma non raggiungono la corona perché non credono fedelmente in Cristo; la loro fede falsa non merita di ricevere la grazia della vera fede.

Cromazio d’Aquileia, “Sermoni Liturgici”, Edizioni Paoline, Milano 2013, pp. 225-226-227

” ‘Noi siamo tuo popolo e pecore del tuo gregge’ (Sal 94, 7). Da questo gregge di santi è uscita quella pecora immacolata, cioè santa Maria, che al di là delle leggi della natura ha generato per noi l’agnello purpureo, cioè Cristo, re dei re.”

Cromazio d’Aquileia, “Sermoni Liturgici”, Edizioni Paoline, Milano 2013, p. 192

“Ha preso sonno per noi nel mistero della passione; ma quel sonno del Signore è diventato la veglia di tutto il mondo, perché la morte di Cristo ha allontanato da noi il sonno della morte eterna. Quel sonno di Cristo è diventato soave, perché ci ha richiamati da una morte amara a una vita soave. [Egli] con questo ha svelato chiaramente il mistero della sua divinità e della sua carne. Ha dormito nella carne, ha vegliato nella divinità, perché la divinità non poteva dormire.”

Cromazio d’Aquileia, “Sermoni Liturgici”, Edizioni Paoline, Milano 2013, pp. 145-146

Il termine ebraico “alleluia”, che echeggia continuamente nella Chiesa, ci invita a rendere lode a Dio e a confessare la vera fede. “Alleluia”, dall’ebraico, si traduce: “Cantare a colui che è”, oppure: “Dio, benedici tutti noi”, e ancora: “Lodate il Signore”.
Dobbiamo cantare a colui che è, perché un tempo sia noi che i nostri antenati abbiamo cantato a coloro che non erano, cioè agli dèi delle genti e ai simulacri degli idoli.
Dunque a questo Dio così grande che è sempre stato e sempre è, dobbiamo cantare ciò che è degno, ciò che conviene alla lode della sua maestà, perché è eterno, onnipotente, immenso, creatore e Salvatore del mondo…

Cromazio d’Aquileia, “Sermoni Liturgici”, Edizioni Paoline, Milano 2013,
pp. 254 sgg.

Cromazio d’Aquileia, Discorsi, 30

Dopo che il Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo morì, risuscitò e ascese al cielo, la sua Chiesa formata da un centinaio di persone si riunì nel cenacolo al piano superiore, con Maria madre di Gesù e con i suoi fratelli. Non si può parlare di Chiesa dove non c’è Maria madre del Signore coi suoi fratelli. La Chiesa di Cristo infatti è lì, dove viene predicata l’incarnazione di Cristo dalla Vergine. E dove predicano gli apostoli, fratelli del Signore, si ascolta il vangelo.
All’inizio, dopo l’ascensione del Signore al cielo, la Chiesa contava appena centoventi uomini, poi aumentò tanto da riempire tutto il mondo di innumerevoli popoli. Che questo sarebbe avvenuto lo manifesta lo stesso Signore nel vangelo, dicendo agli apostoli: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,23).
E veramente un frutto abbondante ha portato la risurrezione del Signore, dopo la sua passione per l’umana salvezza. Nel grano di frumento il nostro Salvatore vuol indicare il suo corpo. Dopo la sua sepoltura portò un frutto innumerevole, perché con la risurrezione del Signore sono spuntate in tutto il mondo spighe di virtù e messi di popoli credenti. La morte di uno solo è diventata la vita di tutti.
A ragione, in un altro passo del vangelo, fa questo paragone: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami» (Mt 13,31-32). Al granellino di senapa il Signore ha paragonato se stesso che, pur essendo il Signore della gloria, di una maestà eterna, si fece il più piccolo di tutti, degnandosi di nascere piccolo bambino dalla Vergine.
Viene seminato in terra quando il suo corpo è consegnato al sepolcro. Ma dopo che è risorto, per la gloria della risurrezione si è innalzato da terra, per diventare un albero sui cui rami abitano gli uccelli del cielo. In questo albero era rappresentata la Chiesa, che dopo la morte di Cristo è risorta nella gloria. I suoi rami non sono che gli apostoli, poiché come i rami con naturalezza ornano l’albero, così gli apostoli con lo splendore della loro grazia ornano la Chiesa di Cristo.
Nei rami si vedono abitare gli uccelli del cielo. In questi uccelli del cielo siamo allegoricamente raffigurati noi, che entrando nella Chiesa di Cristo riposiamo sulla dottrina degli apostoli come su rami.
All’inizio dunque, dopo l’ascensione del Signore, la Chiesa contava solo pochi uomini, ma poi crebbe tanto da riempire tutto il mondo, non solo le città, ma anche le diverse nazioni. Credono i Persi, credono gli Indi, crede tutto il mondo. I popoli sono condotti nella pace all’ossequio di Cristo non dal terrore della spada o dalla paura dell’imperatore, ma dalla sola fede in Cristo. E se la necessità lo richiede, sono pronti a dare la vita per il loro Re piuttosto che perdere la fede. E giustamente, perché questo Re per cui combattiamo premia i suoi soldati anche dopo la morte. Il re del mondo non può dare niente dopo la morte al soldato che si è lasciato uccidere per lui, perché anch’egli è soggetto alla morte; ma Cristo-re premierà con l’immortalità i suoi soldati che si sono lasciati uccidere per lui. Il soldato del mondo, se è ucciso per il re, è vinto. Il soldato di Cristo, invece, vince maggiormente quando merita di essere ucciso per Cristo.

http://patristica.olivasergio.it/2016/05/cromazio-daquileia-la-chiesa-di-cristo.html

ed anche
http://padridellachiesa.blogspot.it/2013/10/san-cromazio-daquileia.html

  • Memoria del nostro Santo pio Padre Porfirio di Kafsokalyvia

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Il Beato Anziano Porfirio, secondo il mondo Evanghelos Bairaktaris, nacque il 7 febbraio 1906, nell’isola Eubea, nel paese di Aghios Ioannis (San Giovanni) in provincia di Karystia.
I suoi genitori, Leonida Bairaktaris e Elena, erano uomini pii che amavano Dio. Suo padre, infatti, era cantore ed aveva conosciuto personalmente San Nettario. La sua era una famiglia numerosa e i genitori, poveri contadini, faticavano nel mantenerla.
Il piccolo Evanghelo era il quarto figlio della famiglia. Custodiva le pecore in montagna e aveva frequentato solo la prima elementare quando anch’egli fu costretto a causa della grande povertà ad andare a Chalkida per lavorare. Aveva solo sette anni. Lavorò per due tre anni in una bottega. Dopo andò al Pireo dove lavorò per due anni nella drogheria di un parente.
A dodici anni, se ne andò di nascosto alla Santa Montagna dell’Athos, con il desiderio di imitare san Giovanni il Kalivita, verso il quale aveva un particolare amore, da quando in passato ebbe letto la sua vita. La grazia di Dio lo guidò fino alla kalyvi** di San Giorgio di Kafsokalyvia alla sottomissione di due Anziani fratelli nella carne, Pantaleone che era il padre spirituale e di Ioannicchio. Si affidò ai due Anziani, che erano unanimemente riconosciuti per la loro austerità, con grande amore e assoluta obbedienza.
Divenne monaco all’età di quattordici anni prendendo il nome di Niceta. Dopo due anni prese il grande abito. Poco più tardi il Signore gli fece dono di guardare nei cuori.
All’età di diciannove anni, l’Anziano, si ammalò gravemente, evento che lo costrinse a lasciare definitivamente l’Athos. Fece ritorno in Eubea, dove dimorò presso il Sacro Monastero di San Charalambos di Lefchì. Un anno più tardi, nel 1926, all’età di vent’anni, fu ordinato prete nella chiesa di San Charalambos di Kymi, da Porfirio III, Arcivescovo del Sinai, il quale gli diede il suo nome, Porfirio. A ventidue anni divenne spirituale-confessore e poco più tardi archimandrita. Per del tempo fu prete di Tsakai, villaggio dell’Eubea Meridionale.
In Eubea, nel Sacro Monastero di San Charalmbos, visse dodici anni,servendo gli uomini come padre spirituale e confessore, tre anni a Ano-Vàtheia, nell’abbandonato monastero di San Nicola.
Nel 1940, alla vigilia delle Seconda Guerra Mondiale, l’Anziano Porfirio si trasferì ad Atene, dove prese servizio come sacerdote e padre spirituale del Policlinico di Atene. Come egli stesso diceva, visse l’ trentatré anni come se fosse un giorno, svolgendo instancabilmente il suo compito spirituale e alleviando il dolore e la malattia degli uomini.
Dal 1955, si era trasferito a Kallisia, dove aveva preso in affitto dal Sacro Monastero di Pendeli, il ritrovato piccolo monastero di San Nicola con la campagna che lo circondava che coltivava con grande cura. Qui parallelamente esercitò la sua ricca opera spirituale.
Nell’estate del 1979, si trasferì a Mìlesi con il sogno di fondarvi un monastero. Qui visse fin dall’inizio in un camper sotto diverse intemperie e dopo in una rudimentale cella di blocchi di cemento dove resistette senza nessun godimento ciò mise a dura prova la sua salute. Nel 1984 si trasferì in un edificio del monastero in costruzione, e l’Anziano per completarlo, col tutto che era molo malato e cieco, lavorava sempre instancabilmente. Con la fondazione del Katholikòn del Monastero della Trasfigurazione, il 26 febbraio 1990, fu reso degno di vederlo in sogno come sarebbe apparso realmente.
Neli ultimi anni della sua vita terrena, iniziò a prepararsi per la sua dormizione. Desiderava ritornare alla Santa Montagna dell’Athos, nella sua amata Kafsokalyvia, dove di nascosto e senza rumore, come visse, rimise la sua anima al suo Sposo. Molte volte lo hanno sentito dire:<< Ora che sono invecchiato voglio andare e morire lì sopra >>.
Di fatto, nel giugno del 1991, intuendo la sua fine, non volendo che gli fossero riservati onori, fece ritorno alla kalyvi di San Giorgio a Kafsokalyvia dove divenne monaco 70 anni prima e, alle 4:31 di mattina del 2 dicembre del 1991, rimise la sua anima al Signore che tanto aveva amato nella sua vita.
Le ultime parole che sentirono uscire dalla sua bocca provenivano dalla preghiera arcivescovile del Signore, quella stessa che amava molto e che ripeteva spesso: << ίνα ώσιν έν – affinché tutti siano uno >> Giov. 17, 20).
Alla proclamazione della sua santità procedette il Santo e Sacro Sinodo del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, nella seduta del 27 novembre 2013, sotto il Patriarca Ecumenico Bertolomeo I. 

Ndc: questo non è altro che un misero e incompleto riassunto che non dà il giusto valore alla grandezza e alla santità del Santo, per cui si consiglia la lettura almeno dei seguenti libri editi in italiano:

“La fiamma divina che si accese nel mio cuore. Padre Profiro” del Monaco Agapio, edito nel 2002 a cura del Sacro Eremo Femminile della Trasfigurazione del Salvatore. 
PRODUZIONE EDITORIALE – DISTRIBUZIONE CENTRALE edizioni Stamoulis S.A.www.stamoulis.gr

“Vicino a Padre Porfirio (un suo figlio spirituale racconta)” di Konstantinos Giannitsiotis, edito nel 2005 a cura del Sacro Eremo Femminile della Trasfigurazione del Salvatore. 
PRODUZIONE EDITORIALE – DISTRIBUZIONE CENTRALE edizioni Stamoulis S.A.www.stamoulis.gr

Note:
* Famosa località della Santa Montagna dell’Athos che prende il nome dal suo più celeberrimo abitante, san Massimo il Brucia-capanne (kafsokalyvitis), gli fu dato tele epiteto poiché quando altri monaci si insediavano vicino la sua capanna, volendo vivere nella più totale solitudine, abbandonava la sua capanna appiccandole fuoco.
** Dal greco καλύβη, letteralmente capanna.

  • Memoria del santo Profeta Avvacùm (Abacuc)

È annoverato tra i profeti minori dell’Antico Testamento. Denominazione dovuta solo alla brevità dei suoi scritti, ma non all’importanza secondaria del suo messaggio. Di Abacuc ignoriamo quasi tutto, ma alcune allusioni presenti nel libro biblico a lui attribuito, composto di solo tre capitoli, ci fa ipotizzare una sua collocazione cronologica all’epoca dell’avversario di Geremia, re Ioiakim, che succedette nel 609 a.C. al giusto e sfortunato re Giosia, ucciso in battaglia dal faraone Necao. Questo profeta si contraddistingue per il suo stile brillante e icastico. Dal libretto di Abacuc occorre però scorporare il terzo ed ultimo capitolo: secondo gli studiosi esso contiene infatti un inno arcaico, forse composto ben prima, nel X secolo a.C.. Il personaggio Abacuc ricompare però nell’Antico Testamento in un racconto miracolistico e leggendario del libro di Daniele (14,3 1-42).

  • Memoria della Sinassi dell’Icona della Tutta Santa e Madre di Dio denominata “Gherondissa – Anziana”

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Memoria della Sinassi dell’Icona della Tutta Santa e Madre di di Dio denominata “Gherondissa – Anziana” per la cui grazia il Sacro Monastero di Pantokrator della Santa Montagna dell’Athos scampò da un disastroso incendio nel 1948.

L’icona Taumaturgica della Madre di Dio Gherondissa è sicuramente il più prezioso tesoro del monastero di Pantocrator. Secondo la tradizione è stata donata da Alessio I Comneno ed è una copia del mosaico della Vergine Maria “Gorgoepikoos” che si trovava a Costantinopoli nel Monastero di Pantokrator. Il primissimo miracolo attribuito all’Icona è accaduto ai tempi dello stesso imperatore Alessio che ordinò la costruzione di un piccolo insediamento monastico lontano cinquecento metri circa dall’attuale monastero. Dunque, l’Icona della Theotokos, insieme agli strumenti dei mastri, scomparve una notte in modo inspiegabile per essere ritrovata nel luogo dove attualmente sorge il Monastero. Tale miracolo avvenne per tre volte e tutti lo interpretarono come la volontà della Vergine Maria fosse che il Monastero sorgesse in quel luogo.
L’Icona è posta oggigiorno nel katholikon avanti la colonna a levante del coro di sinistra, in passato era collocata nel santuario. In questo monastero viveva un anziano egumeno che cadde malato ed era prossimo a spirare, e ne era ben conscio per mezzo di una rivelazione che aveva avuto. Perciò desiderando ardentemente essere degno di ricevere la Santa e Vivificante Comunione, il Corpo ed il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo prima della sua partenza per l’eternità, chiese all’officiante jeromonaco di accelerare la fine del servizio ma il prete non rispettò la volontà dell’egumeno e continuò lo svolgimento del servizio lentamente. Improvvisamente sentì una voce che lo minacciava proveniente dall’Icona della Deipara che stava nel santuario, ordinargli di fare come l’egumeno desiderava. A causa di tale miracolo dell’Icona venne denominata Gherondissa.
In questa Icona che è stata rinnovata, la Theotokos è dipinta a figura intera. La giara raffigurata in rilievo sulla copertura argentea è stata aggiunta a ricordo di un miracolo. Un certo giorno mentre l’egumeno pregava di fronte all’icona la giara vuota dell’olio del monastero fu trovata inaspettatamente piena d’olio in modo miracoloso.
Una volta, i pirati saraceni razziarono il Sacro Monastero e buttarono la sacra icona in un pozzo lì vicino. Tempo dopo fu lì ritrovata seguendo le istruzioni di un parente di uno di questi saraceni che fu reso cieco per la sua impudenza e follia. Questo barbaro stolto, essendo sprezzante verso questo oggetto sacro dei cristiani tentò di tagliare a pezzi l’Icona per poter accendere la propria pipa con uno dei frammenti, ma allo stesso tempo perse la vista a causa della sua faccia tosta e così l’Icona rimase nel pozzo per più di 80 anni. Tuttavia, questo barbaro giustamente punito, quando si trovò in punto di morte, essendo in agonia ed essendosi pentito della sua impudenza e sperando di ricevere un po’ di sgravio e sollievo dalle sue afflizioni in cambio del suo pentimento, ordinò ai suoi servi di andare al Monte Athos anche dopo la sua morte e recuperare l’Icona che lui ed i suoi compagni avevano buttato nel pozzo. Quindi i parenti del barbaro pentito, obbedendo alla sua volontà, si recarono al Monte Athos, indicarono il luogo dove la sacra icona era stata gettata e la ritrovarono gloriosamente e senza alcun segno del tempo trascorso con una lampada ad olio accesa che miracolosamente illuminava l’Icona nell’oscurità del pozzo.
La copertura argentea (ryza) è stata realizzata a Mosca nel 1874 ed è un dono votivo offerto da una illustre donna di Costantinopoli in risposta alla richiesta fattele dalla Beata Vergine Maria.

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