- La prima domenica fra l’11 e il 17ottobre, memoria dei santi Padri RIUNITI per il SETTIMO CONCILIO ECUMENICO
a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria
╬ L’11 di questo mese, se è Domenica, o la prima Domenica che sia tra 11 e 17 ottobre, noi celebriamo la memoria dei santi Padri RIUNITI per il SETTIMO CONCILIO ECUMENICO a Nicea contro gli empi ed ignoranti che rigettavano il culto delle sante icone e accusavano di idolatria la santa Chiesa che le venera con fede.
Il Settimo Concilio Ecumenico si riunì a Nicea, in Bitinia, dal 24 settembre al 13 ottobre 787, su iniziativa dell’imperatrice reggente Irene. Sotto la presidenza del patriarca di Costantinopoli, san Tarasio (25 febbraio) si riunirono 350 vescovi ortodossi, ai quali si aggiunsero in seguito, 17 altri gerarchi, che abiurarono l’eresia iconoclasta.
Tra i rappresentanti del Papa di Roma e dei patriarchi di Antiochia e Gerusalemme, i monaci, che erano stati ferocemente perseguitati dagli imperatori iconoclasti Leone III Isaurico (717-741) e Costantino V Copronymo (741-775), erano fortemente rappresentati da 136 tra essi. Dopo una diligente preparazione dell’imperatrice, i Padri del Concilio poterono anatemizzare gli eretici, che da più di 50 anni impedivano ai cristiani ortodossi di venerare le icone del cristo e dei suoi santi sotto il pretesto di idolatria. Essi misero così fine al primo periodo dell’Iconoclastia, che avrebbe ripreso vigore qualche anno più tardi, dotto Leone V l’Armeno (813-820), ed essere definitivamente liquidata nell’843, grazie all’imperatrice Teodora ed al patriarca san Metodio . I santi Padri anatemizzarono i patriarchi eretici Anastasio, Costantino e Niceta, rifiutando il falso concilio ecumenico a Ieria su iniziativa di Costantino V (754) e proclamarono la memoria eterna dei santi difensori dell’Ortodossia: il patriarca Germano (715-730) (12 maggio), san Giovanni Damasceno (4 dic.), Giorgio di Cipro e tutti coloro che si erano offerti all’esilio e alla tortura per la difesa delle sante icone. Nella definizione che proclamarono dopo la settima e ultima sessione del concilio, i Padri dichiararono: << Noi definiamo in tutta esattezza e con grande cura che: come le rappresentazione della Croce preziosa e vivificante, così le venerabili e sante immagini, siano esse dipinte, siano mosaici e qualunque altra materia adatta, devono essere poste nelle sante chiese di Dio, sui santi utensili e sui vestiti, sui muri e i tavoli, nelle case e nelle strade; così anche l’immagine del nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo, che quella della nostra Sovrana immacolata, la Madre di Dio, dei santi angeli e di tutti i santi. Più si guarderà frequentemente queste rappresentazioni, più quelli che le contemplano saranno condotti a ricordarsi dei loro modelli, a portarsi verso di essi e a testimoniare baciandole una rispettosa venerazione, senza che ciò sia, secondo la nostra fede, una vera adorazione, la quale non conviene che a Dio solo. Lo stesso si farà per il segno della Croce preziosa e vivificante, per i santi vangeli e altri oggetti sacri, si offrirà dell’incenso, delle candele in loro onore, secondo il pio costume degli anziani. Perché l’onore resa all’immagine risale fino al suo modello e chi venera l’icona venera in essa la persona (l’ipostasi) che vi è rappresentata. È così che si salvaguarderà l’insegnamento dei nostri santi Padri e la tradizione della Chiesa universale che ha ricevuto il messaggio del Vangelo da una estremità del mondo all’altra >>. E non è solo il culto delle sante immagini che i Padri così difendevano, ma in fondo la realtà stessa dell’Incarnazione del Figlio di Dio: << Io rappresento Dio, l’Invisibile, dice san Giovanni Damasceno, non tanto in quanto invisibile, ma nella misura in cui è divenuto visibile per noi, attraverso la partecipazione della carne e al sangue. Io non venero la materia ma il Creatore della materia che per me è divenuto materia e che, attraverso la materia, (cioè il suo corpo morto e resuscitato) ha realizzato la mia salvezza >>. Assumendo la natura umana, il Verbo di Dio la divinizza senza perdere le caratteristiche sue proprie. È perciò, benché nel suo stato glorificato essa non sia più accessibile ai nostri sensi, essa perciò può essere rappresentata. E l’immagine di Cristo, di cui la fedeltà è garantita attraverso la tradizione della Chiesa, diviene presenza vera della Persona divina e umana del suo modello, canale di grazia e di santificazione per coloro che la venerano con fede. Il secondo concilio di Nicea fu il settimo e ultimo Concilio Ecumenico riconosciuto dalla Chiesa Ortodossa. Ciò tuttavia non significa che altri concili ecumenici non si fossero riuniti in avvenire, ma piuttosto che prendendo il settimo rango il sinodo di Nicea ha assunto il simbolo di perfezione e di fine che questo numero rappresenta nelle Sante Scritture (Gen. 2,13). Si chiude l’epoca delle grandi discussioni dogmatiche, che hanno permesso alla Chiesa di precisare con chiare definizioni, escludendo ogni ambiguità, i limiti della santa Fede ortodossa. Ormai ogni eresia poteva e potrà essere assimilata all’uno o all’altro errore che la Chiesa riunita in concili universali ha anatemizzato, dopo il primo (325) fino al secondo concilio di Nicea (787).
- Memoria del nostro santo Padre FILOTEO KOKKINOS, patriarca di Costantinopoli
a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria
San Filoteo nacque a Tessalonica verso la fine del XIII secolo da una madre giudea convertita. Egli ricevette una brillante educazione presso il maestro Tommaso e mostrò grandi talenti, tanto per la speculazione teologica che per l’arte oratoria. Tuttavia lasciò il mondo di buon ora per abbracciare la vita angelica, all’inizio al Monte Sinai, poi al Monte Athos, nel monastero di Grande Lavra. Fu a quell’epoca che san Gregorio Palamas (14 nov.) conduceva gloriosamente la sua lotta contro i detrattori degli Esicasti e delle teologia ortodossa della Grazia increata. Filoteo si collocò con zelo tra i discepoli di Gregorio e fu designato per redigere il <>, il manifesto dei monaci dell’Athos sulla distinzione reale tra l’Essenza di Dio inpartecipabile e le sue energie partecipabili e deificanti, comunicanti ai santi la luce divina che ha brillato corporalmente per i tre Apostoli sulla Montagna del Tabor il giorno della Trasfigurazione del Signore.
Per ringraziarlo del suo ruolo nella discussione esicasta, il patriarca Isidoro lo fece metropolita d’Eraclea in Tracia (1347). Ma Filoteo restò ad abitare a Costantinopoli per continuare la sua lotta dogmatica. Egli assistette così al concilio esicasta del 1351 e ne redasse gli atti. Durante la sua assenza, la città d’Eraclea fu vittima della rivalità tra Genovesi e Veneziani e non fu che grazie all’intervento di Filoteo che un gran numero di abitanti, fatti prigionieri dai Genovesi, poterono essere liberati.
Nel 1354, allorché Matteo Cantacuzeno, figlio di Giovanni Cantacuzeno, prese il potere, il patriarca Callisto I abdicò dalla sua carica e fu Filoteo ad essere designato come patriarca di Costantinopoli, a causa della sua saggezza e della sua ortodossia. Ma non restò tuttavia che un anno in carica. All’arrivo di Giovanni Paleologo, egli abbandonò il suo seggio per riprendere quello di Eraclea. Nel 1364, alla morte di Callisto, gli venne chiesto di riprendere il trono di Costantinopoli. Questo secondo patriarcato fu contrassegnato dal vivo desiderio di Filoteo di aprire delle discussioni in vista dell’unione con la Chiesa romana, non in una sollecitudine diplomatica come l’imperatore Giovanni V, che abiurò per confessare la fede latina, ma in un vero amore della Verità. Filoteo avviò delle discussioni in vista dell’apertura di un concilio ecumenico, ma a causa dei legati latini, non portarono ad alcun risultato. Durante questo periodo, egli confermò la teologia delle energie increate attraverso numerosi scritti teologici e affrontò vittoriosamente i teologi umanisti, tra cui il proprio fratello Procoro, che avevano scoperto gli scritti teologici scolastici occidentali e di Tommaso d’Aquino, una filosofia materialista che permetteva loro di espandere il loro amore per l’antichità classica. Filoteo compose anche un gran numero di offici liturgici (di cui quello di san Gregorio Palamas) e redasse abbondanti vite di santi. Nel 1376, spossato da una lunga malattia, si ritirò e morì in pace nel 1379 .
- Memoria del Santo Apostolo Filippo dei Settanta, uno dei sette diaconi
a cura di Giovanni Fumusa
Memoria del Santo Apostolo Filippo dei Settanta, uno dei sette diaconi.
11 Ottobre
Il Santo Apostolo Filippo dei Settanta, uno dei sette diaconi – da confondersi con l’altro San Filippo Apostolo, uno dei Dodici – nacque in Palestina, era sposato e aveva dei figli.
Dopo la Discesa dello Spirito Santo, i Dodici Apostoli scelsero Filippo e altri sei uomini giusti per il ruolo di diaconi, il più anziano tra questi fu il Santo Arcidiacono Stefano. Filippo fu chiamato a svolgere il suo ruolo nella Chiesa di Gerusalemme, amministrando le offerte dei fedeli e occupandosi delle vedove, degli orfani e dei bisognosi.
Con l’inizio delle persecuzioni contro i cristiani, gli ebrei lapidarono il protomartire Stefano; in seguito a ciò, gli altri diaconi decidono di allontanarsi da Gerusalemme e Filippo decide di stabilirsi in Samaria. Lì si dedicò a predicare e ad annunciare il Vangelo, a convertire e a battezzare, creando la prima comunità cristiana al di fuori della Giudea. Tra i convertiti vi è il famoso Simon Mago (che successivamente chiederà all’Apostolo Pietro di poter acquistare il potere di conferire lo Spirito).
In seguito, su ispirazione di un angelo, San Filippo si diresse verso Gaza. Per la via incontrò un eunuco, servo dell’imperatrice etiope, che si convertì quando il Santo gli spiegò come il poema di Isaia “Servo sofferente del Signore” facesse riferimento al Signore Gesù Cristo. Successivamente, il Santo predicò ad Azdod e quindi a Cesarea marittima, dove si stabilì e fondò una comunità cristiana.
Secondo una tradizione, il Santo visse a Cesarea per il resto della sua vita assieme alle sue quattro figlie vergini. Un’altra tradizione, invece, vuole che gli Apostolo lo abbiano nominato vescovo e lo abbiano inviatolo a Tralle, in Asia Minore, dove San Filippo continuò la sua opera e morì di vecchiaia.