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Συναξάρι | 1 Μαρτίου 2023

Φεβ 28, 2023 | Συναξάρι

1 marzo: Memoria della santa monaca Eudocia la Samaritana; della santa Domnina; della santa martire Antonina; del beato Agapio della skiti di Kolitsou di Vatopedi (1603); del beato David, arcivescovo del Galles (VI sec.)

Συναξάρι

Il primo marzo memoria della santa monaca martire Evdokìa dalla Samaria.
Stichi. Non acqua, ma sangue, Salvatore, dal suo collo ti offre la samaritana Evdokìa. Il primo marzo Evdokìa perì di spada.

Lo stesso giorno memoria di santa Domnina e dei suoi compagni.
Stichi. Portando i carichi delle virtù Domina, beatissima commerciante, giunse a Dio.

Lo stesso giorno memoria della santa martire Antonina.
Stichi. Talamo nuziale divenne il mare celando Antonina, sposa del Signore.

Lo stesso giorno i santi Marcello e Antonio perirono nelle fiamme.
Stichi. La fornace fonde i due atleti che in essa risplendono più dell’oro.

Lo stesso giorno perirono di spada i santi martiri Silvestro e Sofronio.
Stichi.Silvestro, non soffrendo il culto dell’errore, con Sofronio soffrì il ferro divoratore.

Lo stesso giorno san Nestoriano perì di spada.
Stichi. Nestoriano, trainato per il collo da dietro, affrontò frontalmente lo sgozzamento.

Per le loro sante preghiere, o Dio, abbi pietà di noi. Αμήν.

  • Memoria di Sant’Eudocia la Samaritana, monaca e martire

Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli

Sant’Eudocia la Samaritana nacque ad Eliopoli in Fenicia (la odierna Baalbek in Libano), al tempo dell’imperatore Traiano (98-117). Era pagana e conduceva una vita licenziosa. Essendo oltremodo bella, ebbe molti amanti, che le procurarono grandi ricchezze. Ma la grazia di Dio rese possibile che un cambiamento miracoloso avvenisse nell’anima di Evdokia. Dopo una grave malattia, lasciò la città e il suo peccato, per ritornare solo un anno dopo, desiderosa di rimanere in incognito, sistemandosi nella periferia della città. Lì conobbe un monaco di nome Germano che, con le sue ammonizioni, la portò al pentimento. Quindi, dopo aver avuto una visione, andò dal vescovo Teodoto e fu battezzata. Questa fu la visione: un Angelo di Dio la portava al cielo, e tutti gli altri Angeli si congratulavano con lei, eccetto uno, di colore nero, che urlava per il danno subito dalla sua conversione al cristianesimo. Distribuì ai poveri tutte le sue ricchezze ottenute illecitamente, e si ritirò in monastero, dandosi completamente alla vita ascetica. I suoi precedenti amanti, contrariati dalla conversione, dal suo rifiuto di tornare alla vecchia vita e dallo sfiorire della sua bellezza a causa delle severe mortificazioni della carne che praticava, la denunciarono in quanto cristiana al Governatore Aureliano. Poiché però con un miracolo ne guarì il figlio, non ricevette nessuna condanna, anzi ottenne la conversione di entrambi. Qualche tempo dopo dovette nuovamente comparire davanti a Diogene, il governatore di Eliopoli, ma ancora una volta venne rilasciata grazie ai miracoli che operò. Infine però, sotto Vincenzo, il successore di Diogene, fu decapitata, ricevendo la corona del martirio.

  • Memoria di San Leone Luca (Leoluca) di Corleone, abate (+ 918) patrono di Corleone e Vibo Valentia

Nell’anno 2006 a San Gregorio d’Ippona (VV) è stata ritrovata la tomba con le Reliquie del Santo Abate.

a cura del Protopresbitero Giovanni Festa

Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/92184

Nacque a Corleone, intorno all’ 815-818, alla vigilia dell’invasione saracena della Sicilia. Al battesimo, i genitori gli imposero il nome di Leone. Cresciuto in seno ad una agiata famiglia di possidenti, ricevette una buona formazione religiosa e civile. Rimasto orfano ancor giovinetto, Leone dovette dedicarsi alla gestione del suo patrimonio e alla sorveglianza dei suoi armenti. Nella solitudine dei campi e nella contemplazione della natura, sentì nel suo cuore la chiamata del Signore. Ormai ventenne, Leone vendette tutti i suoi averi, distribuendo il ricavato ai poveri del paese.
Quindi lasciò Corleone e si ritirò nel monastero basiliano di San Filippo d’Agira, in territorio di Enna, dove si fermò per un breve periodo. Avendo intenzione di condurre vita eremitica, passò in Calabria. Prima però volle sciogliere un voto fatto alla partenza da Corleone, recandosi a Roma in pellegrinaggio, in visita alla tomba dei santi apostoli Pietro e Paolo. Ritornato in Calabria, chiese di essere accolto nel monastero basiliano di Santa Maria di Vena, presso l’attuale Vibo Valentia, dove l’abate Cristoforo gli impose il nome di Luca. Qui condusse una vita esemplare ed austera, fatta di umiltà e di obbedienza, non cessando mai di pregare e digiunare.
Alla morte di frate Cristoforo, gli fu affidata la guida della comunità, divenendone abate. Sotto la sua guida la comunità si accrebbe sempre di più; fondò altri conventi, adunando sotto la sua personale disciplina circa cento frati. L’elevatezza del suo sentimento religioso, la fama della sua santità e la vigoria fattiva del suo spirito si diffusero in tutta la regione, dando un impulso non indifferente al rinnovamento della sua nuova patria, la Calabria; a lui accorrevano quanti erano nel bisogno dello spirito e del corpo, ottenendo per mezzo della sua preghiera, grazie e guarigioni. Morì all’età di cento anni, dopo ottanta anni di vita monastica. Subito dopo la morte, per le sue eccelse virtù, venne proclamato santo e il suo culto si diffuse prima in tutta la Calabria, e quindi anche in Sicilia ormai libera dal dominio dei musulmani. I corleonesi vollero chiamare il loro Santo concittadino Leoluca, unendo al nome di battesimo Leone, quello monacale di Luca. Nel 1575, in occasione della peste che colpì la Sicilia, i suoi concittadini lo proclamarono Patrono e Protettore della città di Corleone. Questo santo invoca la fede popolare contro ogni male che possa arrecare danno alla città. Sia che si tratti di cataclismi naturali, terremoti, pestilenze e carestie o di eventi voluti dall’uomo, guerre ed invasioni straniere, ogni corleonese rimane incrollabilmente sicuro che invocare San Leoluca significa che la città possa passare indenne attraverso ogni calamità.
La festa di San Leoluca si celebra il 1° marzo, mentre l’ultima domenica di maggio si ricorda il miracolo operato dal Santo, che nel lontano 27 maggio 1860 apparve alle porte della città, risparmiando Corleone dall’assedio delle truppe borboniche.

Tratto da
http://www.italiamedievale.org/portale/leone-luca-corleone-sec-ix-x-bhl-4842/

Recenti scavi condotti dal prof. Achille Sodano, hanno portato alla luce i resti di un corpo umano in una grotta di Vibo Valentia, come informa la stampa locale del 3 dicembre 06 (Calabria Ora art. di Salvatore Berlingieri) e del 10 dicembre 06 (La Sicilia, art. di Dino Paternostro). Pare che siano da identificare con quelli di Leone Luca di Corleone[1]. Ma chi era?
Rinvenuto, allo stato attuale delle ricerche, in latino, il testo della Vita di Leone Luca di Corleone è stato e pubblicato nel 1657 dal gesuita siciliano Ottavio Gaetani, il quale precisava di averlo ricavato da tre manoscritti rinvenuti in Sicilia: uno a Palermo, un altro a Mazara e un terzo a Corleone. Qualche anno dopo i Bollandisti pubblicarono un’altra Vita, pure in latino, rinvenuta nella biblioteca di Giuseppe Acosta. I tre codici rinvenuti a Roma sono conservati rispettivamente: due nella Biblioteca Vallicelliana e uno nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Quindi, il testo della Vita di Leone Luca è stato pubblicato in latino da entrambi gli editori, che, però non hanno dato notizie della lingua dei codici utilizzati. La BHL 4842 riporta l’incipit e il desinit della Vita pubblicata dai due editori mentre la BHG non registra Leone Luca di Corleone. Nei due editori identico è il racconto ma il dettato è differente in quanto, dal punto di vista stilistico mentre i Bollandisti aderirono al primaevo stylo, il Gaetani invece modificò stylo paululum cultiore.
Nessuno dei manoscritti fino ad ora rivenuti fa riferimento ad una stesura in Calabria né ad un’originaria lingua in greco dell’agiografia di Leone Luca. Allo stato attuale delle ricerche non abbiamo alcun manoscritto agiografico in greco della Vita. Basta la presenza di antroponimi greci (quali ad es. Leone, Teotiste, Cristoforo, Teodoro, Eutimio) a postulare un’originaria stesura in greco? Oppure essa è riconducibile alla moda onomastica e/o a fattori culturali e/o ideologici? L’agiografia è stata composta subito dopo la morte del santo e in Calabria, ma potrebbe essere stata tramandata oralmente e poi scritta in epoca successiva in altro luogo. Se mai ci fu un testo in greco, si può forse affermare che la tradizione in latino sia una versione di quella in greco? Oppure si può pensare a due tradizioni indipendenti: quella in latino e quella in greco (se mai ci fu)? Non è rischioso parlare di originale in greco e di versione in latino?
Santo monaco italo-greco vissuto tra il IX-X secolo, Leone Luca nacque a Corleone di Sicilia da Leone e Teotiste, contadini e pastori. Ancora in giovane età rimase orfano di entrambi i genitori, abbandonò i lavori agricoli ed entrò novizio nel monastero di S. Filippo di Agira, dove ricevette la prima tonsura da un anziano monaco e il consiglio di emigrare in Calabria a causa della violente incursioni dei Saraceni in Sicilia. Raggiunta la Calabria, incontrò una pia donna, alla quale manifestò le tribolazioni dell’animo suo e le domandò un consiglio sul da farsi. E fu proprio tale donna che lo indusse ad abbracciare la vita monastica cenobitica. Quindi, mentre ad Agira aveva ricevuto la prima tonsura monastica e il consiglio di ricercare la quiete contemplativa in Calabria, perché non ancora devastata dalle scorrerie dei Saraceni; qui, invece, ricevette, da una savia donna, il consiglio di abbracciare la vita monastica cenobitica. Dopo la peregrinatio ad limina Apostolorumsi stabilì in Calabria, nel monastero sui monti Mula, divenendo discepolo dell’igumeno Cristoforo, che lo rivestì dell’abito monastico e gli cambiò il nome in Luca. Fondarono insieme un monastero nel territorio di Mercurio e un altro in quello di Vena e in quest’ultimo dimorarono fino alla morte. Designato igumeno del monastero di Vena dallo stesso Cristoforo morente, vi esplicò una funzione taumaturgica polivalente (guarì un lebbroso, dei paralitici e indemoniati). In punto di morte designò suoi successori Teodoro ed Eutimio, suoi discepoli. Dal monastero di Vena, dove morì, fu traslato, in seguito, a Monteleone in Calabria, dove fu eretta in suo onore la Chiesa Madre.
Come si diceva, Leone Luca fu nominato successore e igumeno dal morente Cristoforo, che gli affidò la cura pastorale del pusillum gregem, mentre Leone Luca, avendo fatto fruttificare –nel corso del suo igumenato- il talento affidatogli, assegnò, in punto di morte, la reggenza del monastero al discepolo Teodoro, cui ne affiancò in aiuto un altro di nome Eutimio. Entrambi (erano suoi discepoli dal momento che Leone Luca era igumeno di quello stesso monastero) assieme a tutti gli altri confratelli e discepoli del santo, attesero pure alle esequie del maestro.
Mentre Leone Luca aveva affiancato a Teodoro un altro monaco: Eutimio, affinché lo aiutasse nel difficile compito assegnatogli: quello di pastore ed erede; Leone Luca, invece, aveva retto l’igumenato da solo, così come si evince dalle parole di Cristoforo, suo maestro, che, in punto di morte, lo aveva nominato suo successore. Infatti, a differenza di Leone Luca, Cristoforo pronunzia solo un nome, appunto quello di Leone Luca come suo erede, invece quest’ultimo, come abbiamo detto, ne pronunzia due, quello di Teodoro ed Eutimio. Inoltre, dal momento che Leone Luca era l’igumeno del monastero, in cui vivevano anche Teodoro ed Eutimio, si evince che questi ultimi fossero suoi discepoli.
Leone Luca iniziò il suo ministero pastorale con due pabula, sia per alimentare nei suoi confratelli la carità, sia per esortarli a sfuggire i pettegolezzi. Li riportiamo per amore di completezza: un tempo, essendo un frate rimasto da solo e con un solo pane nel monastero, poiché gli altri erano usciti per lavorare, vide arrivare alcuni cacciatori stanchi e affamati, che gli chiesero del cibo. Mosso da carità verso il prossimo, non esitò a donare loro quell’unico pane, che aveva e qualche mela. Rimasto a digiuno, per tutto il giorno faticò nei lavori domestici fino a sera, quando, stanco e affamato, aperto l’uscio della sua cella, vi trovò tre pani caldi e bianchi, mandatigli da Dio in premio della sua generosità verso i cacciatori. L’altro episodio, narrato da Leone Luca, risale al tempo dell’igumeno Cristoforo, quando un confratello aveva offeso un umile. Per espiare la colpa del suo pettegolezzo si sottopose ad una rigida penitenza: soffrì per venti giorni e venti notti nudo il freddo sui monti di Mormanno. Ma un giorno, per sfuggire ad alcuni cacciatori proprio a causa della sua nudità, si immerse, per pudore, nell’acqua gelida fino al collo. A questo punto l’agiografo, e non Leone Luca, conclude l’esposizione dei due esempi, riportati dal maestro ai discepoli, con la seguente chiosa: Illa duo exempla beati Lucae esse suspicantur quae suo quidem tempore humilitatis causa de aliis protulit.
Quale che sia la natura dei due episodi -veri o inventati-, rimane sicuro il loro intento pedagogico: Leone Luca è il maestro e i confratelli sono discepoli (ivi compresi Teodoro ed Eutimio, designati suoi successori e precisamente :il secondo quale aiuto del primo).
Il procedimento di ‘racconto mascherato’, legato all’insegnamento orale impartito dal santo ai monaci, non vuol dire, a nostro avviso, che Leone Luca fosse colto. Gli episodi del ‘racconto mascherato’ non ci sembrano un buon motivo per rivalutare l’ipotesi dell’istruzione di Leone Luca in quanto entrambi tali episodi si basano sulla tradizione orale e sul ricordo. Proprio per questo crediamo che o Leone Luca li avrebbe vissuti in prima persona, o li avrebbe visti e in questo caso sarebbe egli stesso testimone oculare, o li avrebbe egli stesso appresi dall’igumeno Cristoforo, al tempo del quale proprio uno dei due episodi, come si diceva, risale. Proprio la tradizione orale, cui Leone Luca fa affidamento per esporre i due episodi a scopo didascalico ai suoi confratelli discepoli, non può provare, secondo la nostra opinione, che il santo fosse istruito. Crediamo, invece, che, pur essendo presente, all’inizio della Vita, il riferimento all’educazione impartita dai genitori al figlio, tale istruzione vada interpretata come invito ad una condotta morigerata e come segno di umiltà nei costumi. Ricordiamo, inoltre, che anche Pertusi menziona Leone Luca tra quei monaci «assolutamente illetterati» assieme a Filareto il Giovane, perché non avrebbero ricevuto in gioventù alcuna istruzione religiosa e non si sarebbero applicati allo studio della Sacra Scrittura, del Salterio e dell’innologia sotto la guida di un maestro spirituale. Pertusi pone l’accento sull’ incapacità di leggere e scrivere di quei monaci che considera «assolutamente illetterati». L’unica istruzione che ci sembra di riscontrare nel testo della Vita è quella morale, impartita, cioè, dai genitori al proprio figlio, che educarono alla semplicità. Non sappiamo –a meno che altri studi non daranno nuovi risultati- se Leone Luca sapesse leggere e scrivere tanto da accostarsi alla lettura e quindi allo studio delle Sacre Scritture, del Salterio e dell’innologia guidato, in quest’applicazione, da un maestro. Nè sappiamo come avvenne l’educazione religiosa impartitagli da Cristoforo. Possiamo ipotizzare –ma solo ipotizzare, in considerazione della mancanza di qualsiasi riferimento al libro manoscritto nella Vita e al suo uso-, che gli insegnamenti fossero impartiti oralmente e che lo stesso Leone Luca si facesse istruttore di insegnamenti (mediante pabula) da lui stesso impartiti oralmente.
2.RICOSTRUZIONE CRONOLOGICA
La Vita di Leone Luca non reca un’esplicita datazione del santo, però, sono presenti alcuni elementi interni, che, uniti alle precisazioni dei due editori, lasciano la possibilità di ricostruire la seguente cronologia, partendo da alcuni riferimenti di base:
il dies natalis (posto dal Gaetani nel 915) e il consensus codicum editorumque nel fissare il dies natalis al suo centesimo anno d’età. Se ne desume, pertanto, che la nascita del santo sarebbe avvenuta nell’815.
Da ciò ne consegue che:
– la tonsura e investitura monastica sui monti Mula da parte dell’igumeno Cristoforo, all’età di venti anni, sarebbe avvenuta nell’835, come già avevano notato Martire e Pandolfi;
– i 6 anni di permanenza nel monastero sui monti Mula, lasciano desumere che all’età di 26 anni, quindi tra l’841/42, se ne sarebbe allontanato per edificare altri due monasteri assieme all’igumeno Cristoforo.
– i 7 anni dell’edificazione del monastero in territorio di Mercurio lasciano desumere che esso sarebbe stato ultimato tra l’848/49, quando Leone Luca avrebbe avuto 33 anni.
– i 10 anni di permanenza di Leone Luca assieme all’igumeno Cristoforo nel monastero in territorio di Vena, cioè fino alla morte di padre Cristoforo, lasciano desumere che essa sarebbe avvenuta intorno all’858/59, quando Leone Luca avrebbe avuto 43 anni;
– la durata dell’incarico di igumeno dell’abbazia di Vena fino alla sua morte, avvenuta alla veneranda età di 100 anni, lascia desumere che sarebbe stato igumeno del monastero di Vena per 57 anni, appunto dalla morte di padre Cristoforo alla sua, che il Gaetani fissa al 915.
Se crediamo che Leone Luca sia morto nel 915 (come vuole il Gaetani), a cento anni (come vuole la tradizione manoscritta, accettata dagli editori), è comprensibile che la data di nascita sia l’815. A queste coordinate aggiungiamo i seguenti particolari, presenti nella narrazione: se consideriamo che a 20 anni avrebbe ricevuto l’investitura monastica sui monti Mula e se mettiamo in rapporto l’appellativo datogli dal Gaetani al momento del suo esodo dalla Sicilia (adolescens) e dai Bollandisti al momento del suo arrivo in Calabria (beatissimus puer) possiamo attribuirgli un’età di 17/18 anni al momento del suo esodo dalla Sicilia e fissarlo quindi all’832/33, accordandoci in questo con il Ménager. Cosa spingeva Leone Luca ad allontanarsi dalla Sicilia? Quale la situazione storica nella Sicilia del periodo? Nel sec. IX sopraggiungeva l’invasione araba con la caduta di Mazara nell’827, cui seguiva la caduta di Palermo e nel decennio seguente veniva conquistata tutta la valle di Mazara, dove gli Arabi fondarono le loro colonie. Nell’841-59 fu conquistata la Valle di Noto e infine, nell’843-902 la Valle di Demone. Dopo Taormina (902), con la caduta di Rametta (965), ultimo baluardo bizantino, ormai tutta la Sicilia era in mano agli Arabi. Nella Vita di Leone Luca quindi gli Arabi sono la minaccia incombente. Crediamo pertanto che sia usato anacronisticameente e/o allegoricamente il termine Vandali nella Vita in ricordo, forse, delle scorrerie vandaliche dei secoli precedenti con le quali quelle degli Arabi sono probabilmente paragonate per ferocia e crudeltà: i Vandali, sotto Genserico, invasero l’isola nell’autunno del 461, nella primavera del 462 e nuovamente nel 463. Una nuova scorreria vandalica in Sicilia fu respinta nel 465 da Marcellino, che, però, fu assassinato nel 468, anno in cui essi si insediarono definitivamente nell’isola. Il trattato di Genserico e Odoacre, che non pare essere anteriore al 24 agosto del 476 (rivolta di Odoacre) né posteriore al 24 gennaio del 477 (morte di Genserico), legalizza, infatti, l’autorità di Genserico su tutta la Sicilia. Il dominio vandalico nell’isola durò fino agli ultimi anni del 533 o i primi del 534, quando la Sicilia fu occupata dai Goti.
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[1] Su Leone Luca di Corleone si rimanda a: CARUSO S., Due casi di “racconto mascherato” nel bìos di S. Leone Luca di Corleone, in Quaderni di Cultura e di Tradizione classica, XII, 1994 [ma 1999], pp. 111-121. STELLADORO M., Il codice di Mazara della Vita di san Leone Luca di Corleone, in Codices Manuscripti 27-28, 1999, pp. 47-54. Ead., La tradizione manoscritta delle Vite di Leone Luca di Corleone, in BBGG, N.S. XLIII, pp. 61-82; Ead. (a cura di), La vita di s. Leone Luca di Corleone. Introduzione, testo latino, traduzione commentario e indici a cura di M. Stelladoro, Grottaferrata 1995; Ead., Note agiografiche sulla Vita di Leone Luca di Corleone (sec. IX-X) BHL 4842, in BB. GG. 1, SER. III, 2004, pp. 251-271.

  • Memoria del beato David, arcivescovo del Galles (VI sec.)

Vicariato Arcivescovile della Campania

San David nacque nel VI secolo in Galles. Divenne monaco in giovane età e poi sacerdote. Secondo una certa tradizione, fu nominato vescovo dal patriarca di Gerusalemme quando San David si recò lì per venerare i luoghi santi. Lavorò con impegno per diffondere il cristianesimo nel Galles, specialmente nella zona sud-occidentale, in quello che oggi è il Pembrokeshire. Lì fondò un monastero a Mainew (Menevia), ora St. Davids, e fu designato primo vescovo di St. Davids.

San David e i suoi monaci seguivano una regola molto rigida, cioè bevevano solo acqua e mangiavano solo pane e verdure. Imitando le abitudini dei monaci del deserto d’Egitto che univano lavoro manuale e studio, il suo monastero divenne culla di santi. San David era un uomo molto compassionevole e seguiva un’ascesi spirituale e fisica. Uno dei suoi atti ascetici preferiti era recitare i Salmi immerso nell’acqua fredda.

Sappiamo che partecipò al Sinodo di Brevi nel 545 e si dice che in quell’occasione fu eletto all’unanimità Arcivescovo e il suo monastero fu proclamato Chiesa Madre di tutto il Galles. Si racconta inoltre che abbia fondato 12 monasteri, uno dei quali doveva essere a Glastonbury nel Somerset, il luogo in cui l’apostolo Aristobulo dei 70 e il giusto Giuseppe di Arimatea predicarono, secondo la tradizione, il Vangelo in Gran Bretagna e costruirono la prima chiesa secoli fa.

San David compì molti miracoli mentre era ancora in vita. Dopo la sua morte intorno al 600, iniziò ad essere ampiamente venerato nel Galles meridionale, così come in Irlanda, Cornovaglia e Bretagna. In effetti, alcuni credono che abbia davvero viaggiato in Cornovaglia e in Bretagna e abbia fondato monasteri anche lì.

Le reliquie di San David si sono conservate fino ad oggi e si trovano nella sua cattedrale di St. Davids. San David è associato al narciso, il fiore nazionale del Galles, che si dice sia germogliato intorno all’area in cui si trova il suo monastero. Si dice inoltre che il porro, un altro simbolo nazionale del Galles, sia cresciuto allo stato selvatico nello stesso luogo e sia stato la base della dieta di San David e dei suoi monaci. Il giorno di San David è una delle festività nazionali del Galles.

  • Memoria del beato Agapio della Skiti di Kolitsos di Vatopedi e dei quattro santi con lui (1603)

Vicariato Arcivescovile della Campania

Il beato Agapio visse la sua vita di monaco con il suo anziano nell’Eremo di Kolitsùs, appartenente al monastero atonita di Vatopedi. Secondo Gerasimos Smyrnakis, l’area fu chiamata così dall’anziano di Agapio, Kolitios l’esicasta. Quando il santo una volta scese in spiaggia per portare a termine un certo lavoro, fu catturato dai pirati agareni; essi lo vendettero come schiavo a un duro padrone, che lo tenne in catene per dodici interi anni, usandolo allo stesso tempo in lavori duri e pesanti.

In quel periodo si trovava in Magnesia. Nonostante la crudeltà del suo padrone, il santo lavorava coscienziosamente e volentieri. Per tutto il tempo implorò la Vergine di liberarlo. Questo miracolosamente avvenne, e tornò dal suo Anziano. Ma quando questi fu informato delle amare afflizioni che avevano colpito il suo discepolo, lo esortò a tornare da quel padrone, considerando che non era giusto che se ne fosse andato senza il suo consenso, visto che lo aveva comprato. Il monaco obbediente tornò dal suo padrone, riportando ciò che il suo Anziano gli aveva consigliato. Quello rimase sorpreso dalla sua sincerità, obbedienza, devozione e coscienziosità e chiese di conoscere meglio la fede cristiana ortodossa. Il santo volentieri gli espose la nostra fede. Catechizzò entrambi i suoi figli con lui. Tutti e tre insieme chiesero di essere battezzati cristiani e di seguire Sant’Agapio nella Skiti di Kolitsos.

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