3 marzo – Memoria dei santi martiri Eutropio, Cleonico e Basilisco; del santo ieromartire Teodoreto di Antiochia; dei santi Zenone e Zoilo; della beata vergine Piamun, di Egitto (337)
Sinassario
Il 3 di questo mese memoria dei santi Eutropio, Cleonico e Basilisco.
Stichi. Eutropio raffigurò Cristo seguendolo e trovando la fine trafitto da una spada, trovò Cristo. Anche Cleonico trionfa splendidamente, come il mio Cristo, appeso un tempo alla croce. Avendo il corpo come carcere anche prima della chiusura nel carcere, Basilisco si liberò di entrambe le carceri. Eutropio fu inchiodato al legno della croce il tre marzo.
Lo stesso giorno memoria del santo ieromartire Teodoreto, che fu sacerdote in Antiochia.
Stichi. Un certo luogo dell’Eden accoglie anche il grande Teodoreto.
Lo stesso giorno i santi Zenone e Zoilo si addormentarono in pace.
Stichi. Per Zenone e Zoilo lo scioglimento della vita fu causa di miglior vita.
Lo stesso giorno la venerabilissima vergine Piamun si addormentò in pace.
Stichi. Impreziosita dalle virtù come frange dorate si offre Piamun, vestita di nero.
Per le loro sante preghiere, o Dio, abbi pietà di noi e salvaci. Amìn.
- Memoria dei santi martiri Eutropio, Cleonico e Basilisco
Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli
Questi santi vissero durante il regno dell’imperatore Diocleziano nel 296. Venivano da Amasea, la famosa città della Cappadocia sul Mar Nero. Erano parenti e commilitoni di san Teodoro Tirone. Essendo stati accusati davanti al governatore Asclepiodote, furono duramente bastonati. Sant’Eutropio inoltre fu colpito sulla bocca, perché aveva insultato il governatore. Tuttavia, i soldati che li colpivano divennero come paralizzati e senza forze, e i santi furono guariti, perché era apparso loro il Signore e il santo martire Teodoro. Visto questo miracolo, molti miscredenti credettero in Cristo e furono decapitati. Il governatore, dal canto suo, studiata la situazione, cambiò il suo comportamento e cercò di allontanare san Cleonico dalla fede in Cristo con lusinghe. Gli fece regali e promise di dargli ancora di più, ma non riuscì nel suo intento. La mente del santo non cambiò, anzi quello si arrabbiò e mise in ridicolo la mancanza di comprensione del governatore, nonché la debolezza degli idoli. Infatti, mentre il governatore e il resto dei Greci offrivano sacrifici ai loro dei, san Cleonico con le sue preghiere fece cadere l’idolo della dea Artemide.
A questo punto gli idolatri, bruciando di rabbia, portarono ad ebollizione una miscela di catrame e asfalto in tre caldaie e la versarono sulle spalle dei tre martiri cristiani. Tuttavia, essi rimasero incolumi, benchè i servi che avevano versato la miscela finirono completamente bruciati. Dopo questo, i santi Eutropio e Cleonico furono crocifissi, ricevendo la corona del martirio e guadagnando la vita eterna. San Basilisco da parte sua fu gettato in prigione, dove morì dopo parecchio tempo.
- Memoria dei Ss. Tiziano di nazionalità germanica vescovo di Brescia (verso il 528); Santa Camilla di nazionalità italiana addormentassi in Borgogna (verso il V secolo); Artellaide addormentatasi in Campania nel 570
Tratto principalmente da http://www.santiebeati.it/dettaglio/43800
Nell’elenco dei vescovi di Brescia occupa il 15° posto tra Vigilio e Paolo II, il suo episcopato si pone alla fine del secolo V. Tiziano fu Vescovo saggio nell’insegnamento della dottrina; generoso nell’esercizio della carità verso i poveri e i bisognosi; zelante nel compiere i doveri del suo stato; umile nel portamento personale; esemplare nella sua condotta agli occhi del popolo e del clero; assiduo nella preghiera; energico nella sua azione di reggitore della Chiesa bresciana.
Fu sepolto nella chiesa dei ss. Cosma e Damiano, forse fatta costruire proprio da lui; in seguito fu annesso un monastero. L’intero complesso fu demolito dal vescovo Berardo Maggi nel 1302 per dare spazio al Palazzo Broletto, attualmente in Piazza del Duomo.
La chiesa e il monastero furono ricostruiti ad occidente della città, nella zona dei Campi Bassi ove stanno tuttora. Le sue reliquie vennero deposte dal vescovo Paolo Zane nel 1505 in un arca marmorea eretta sull’altare nella cappella di sinistra.
Il suo primitivo sarcofago, dopo vari spostamenti, fu alla fine dell’800 posto a fontana in un angolo di piazzetta Tito Speri, ove è attualmente.
- Memoria di Sant’Anselmo di Nonantola abate e igumeno (verso 803)
Martirologio Romano: A Nonantola in Emilia, sant’Anselmo, fondatore e primo abate del monastero del luogo, che per cinquant’anni promosse la disciplina monastica sia con l’insegnamento che con l’esercizio delle virtù.
Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/90975
Anselmo è uno dei personaggi più imponenti del monachesimo dell’Alto Medioevo e l’unico santo longobardo di cui ci siano pervenute notizie certe.
Di lui parlano numerosi documenti, bolle, rescritti, diplomi e una ‘Vita’ scritta nel secolo XI già nota dal ‘Catalogus Abbatum’ del 1037.
Si suppone che Anselmo sia nato verso il 720 a Cividale o Vicenza, figlio di Wectari di Vicenza, duca del Friuli, era fratello di Giseltrada sposa di re Astolfo (749-756) e di Aidin con cui possedeva insieme, beni terrieri a Verona e Vicenza (documenti del 797 e 820).
Fu per qualche tempo anche duce del Friuli; nel 749, Anselmo però lascia tutte le attività e cariche politiche per dedicarsi ad una vita di santità; lascia il Friuli risalendo la valle dell’Alto Panaro, dove il cognato re Astolfo, gli dona la terra di Fanano e qui si ferma a fondare un cenobio per accogliere i monaci che ormai gli si erano radunati attorno e più in alto verso il passo di S. Croce Arcana, apre un ospizio per pellegrini che prende il nome di S. Jacopo di Val d’Amola.
L’opera di accoglienza dei pellegrini, molto numerosi nella valle, che era uno dei passaggi obbligati tra il Nord e la Toscana, costituisce un impegno primario e nessun pellegrino deve allontanarsi senza avere ricevuto con misericordia ogni assistenza.
Nel 751 il re Astolfo che comunque aveva mire espansionistiche, aveva occupata Ravenna e dona ad Anselmo un altro territorio tolto dal Ducato di Persiceta, di nome ‘Nonantolae’, che controllava le strade che da Verona e Piacenza scendevano a Bologna.
Il santo abate e i suoi monaci, si danno da fare per costruire una chiesa e il monastero, bonificando e coltivando quelle terre ormai abbandonate e incolte, producendo un vantaggio economico e sociale a tutta la regione.
Si sa che la chiesa dedicata alla Madonna venne consacrata l’8 ottobre del 752 dal vescovo Geminiano di Reggio Emilia per delega del papa Adriano I. Una seconda dedica questa volta agli Apostoli è fatta dall’arcivescovo di Ravenna, Sergio (748-769), la ‘Vita’ continua a narrare dicendo che nel 752 Anselmo insieme a re Astolfo va a Roma, per offrire in dono al papa Adriano I il monastero nonantolano.
Il Pontefice, conferisce ad Anselmo la dignità di abate e gli dona i ‘corpi santi’ di s. Silvestro papa e di altri martiri; così il 20 novembre 756 il vescovo di Bologna, Romano compie una terza dedicazione della chiesa e monastero questa volta a S. Silvestro I papa.
Alcune di queste notizie non sono certificate dalla realtà storica del periodo, come il dono delle reliquie, in realtà molte reliquie di martiri romani emigrarono verso il Nord a seguito delle spoliazioni di cimiteri suburbani compiute dai Longobardi durante l’assedio di Roma del 756.
L’opera dell’abate Anselmo è sottolineata dalla grandiosa attività di assistenza sociale e spirituale svolta a favore delle folle degli umili che si sviluppò e proseguì nei secoli, attraverso i suoi monasteri. Oltre quello di Fanano, egli fondò altri tre monasteri con annessi ospizi, dipendenti dall’abbazia di Nonantola: quello di S. Ambrogio dove il fiume Panaro taglia la via Emilia, quello del ‘Vicus Domnani’ a Vicenza (ora S. Silvestro) e quello non meglio identificato nel ‘luogo detto Susonia’ con l’oratorio di S. Giustina.
Oltre 1100 monaci da lui dipendenti si dedicarono all’ascesi, all’assistenza sociale, alla trascrizione dei codici, all’attività ospedaliera, alla bonifica dei terreni; per un certo numero di anni fu come in esilio a Montecassino, durante il regno di Desiderio (757-774), il perché ci è ignoto, ma Anselmo poté ritornare a Nonantola solo dopo la morte di Desiderio; nel periodo cassinese acquistò per la sua abbazia vari codici, infatti queste operazioni sono registrate nell’Archivio Nonantolano compilato verso il 1000.
Si prodigò per la pace fra longobardi e franchi, al punto che il re franco Carlo Magno, lo ringraziò con larghi benefici e privilegi per l’abbazia.
Morì il 3 marzo 803 ad 80 anni di età ed a 50 dalla fondazione del monastero; fu sepolto nella chiesa della stessa abbazia.
Nel 1400 l’abbazia aveva già una sua tipografia; codici miniati, pergamene, e reliquiari preziosi sono conservati nel tesoro della chiesa, costruita nelle forme romanico-lombarde e a cui lavorarono insigni artisti medioevali.
- Santa Camilla di nazionalità italiana, probabile discepola di San Giacomo d’Auxerre e addormentassi in Borgogna (verso il V secolo)
a cura del Protopresbitero Giovanni Festa
Tratto da https://www.newnotizie.it/2017/03/03/3-marzo-2017-si-festeggia-santa-camilla-auxerre/
Secondo la tradizione Camilla sarebbe stata una delle cinque sorelle (Magnanzia, Palladia, Massima, Porcaria e, per l’appunto, Camilla), originarie dell’Italia e discepole del vescovo Germano d’Auxerre, giunte in Francia per accompagnare il feretro del loro maestro, morto a Ravenna il 31 Luglio 448.
Il monaco di Auxerre Ericio, vissuto nel IX secolo, nel suo opuscolo sui Miracula Sancti Germani, narra che Magnanzia, Palladia e Camilla morirono durante il viaggio, che sulle loro tombe furono edificate delle chiesette e, successivamente, i villaggi di Sainte-Magnance, Sainte-Pallaye ed Escolives-Sainte-Camille.
Il corpo di Camilla sarebbe poi stato dato alle fiamme dai calvinisti, mentre quelli di Magnanzia e Palladia riposerebbero nelle cripte delle chiese a loro intitolate.
Porcaria invece, dopo i funerali di Germano, sarebbe rimasta in Borgogna e, alla sua morte, sarebbe stata sepolta in un luogo ove in seguito si sviluppò il borgo di Sainte-Porcaire.
Massima morì ad Auxerre; le sue reliquie furono conservate nell’abbazia di San Germano fino al 1567, allorché vennero profanate e disperse dagli ugonotti.
Di Magnanzia una “vita” anonima dice che era originaria di Civitavecchia.
- Μemoria di Santa Artellaide, consacrata al Signore nella verginità e addormentatasi in Italia in Campania nel 570
a cura del Protopresbitero Giovanni Festa
Tratto principalmente da http://www.santiebeati.it/dettaglio/43770
La Bibliotheca hagiographica latina (I, p. 116, nn. 718-20) ricorda tre vite di Artellaide. Questi atti, di cui si ignora l’origine e l’epoca, contengono molti elementi agiografici: secondo quanto in essi è riportato, Artellaide era figlia del proconsole Lucio e di santa Antusa. Avendo l’imperatore Giustiniano sentito parlare della sua bellezza, la voleva dare come sposa a qualcuno della sua corte; ma Artellaide aveva fatto il voto di verginità, onde la madre l’affidò a tre domestici con l’incarico di condurla in Italia presso lo zio, il generale bizantino Narsete. Durante il viaggio la giovanetta cadde in mano dei ladri, mentre i suoi domestici, dopo essere fuggiti, si portarono nella chiesa di Santa Eulalia per chiedere la liberazione della padroncina. I ladri giudicarono opportuno vendere la santa vergine, ma il demonio li colpì a morte e l’angelo del Signore rimise Artellaide in libertà. Ella poté così riunirsi ai domestici, portandosi a Siponto nelle Puglie per offrire un dono alla chiesa di San Michele sul monte Gargano. Narsete, avendo appreso da un sogno l’arrivo della nipote, la condusse a Benevento, dove ella offrì un ricco dono alla chiesa di Santa Maria.
Quì si stabilì e visse nella preghiera e negli esercizi di pietà, operando molti miracoli. Colpita dalla febbre, si fece trasportare nella chiesa di San Luca, dove, dopo avere ascoltato la messa e ricevuta la comunione, si addormentò nel Signore, il 3 marzo, giorno in cui si celebra la sua festa, forse del 570. Sulla sua tomba, situata anticamente nella chiesa di San Luca fiorirà una straordinaria devozione. Purtroppo mancano le testimonianze su questo culto, ad eccezione di un’iscrizione del 1338 presente nella stessa chiesetta di San Luca. Questo il contenuto dell’iscrizione: «Virgo diva Arthelais aedem hanc Deiparae Mariae Virgini Gratiarum erexit»(Cfr. A. De Rienzo, «La statua e le chiese di Maria SS. Delle Grazie in Benevento», Benevento 1923, p.4).
Da questa chiesa le sue reliquie furono trasportate più tardi nella cattedrale di Benevento.