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Sinassario | 29 aprile 2023

Απρ 28, 2023 | Συναξάρι

Kontàkion.

Tono 2. Cercando le cose.

Preso il pane tra le mani, il traditore in segreto le tende per ricevere il prezzo di colui che con le proprie mani plasmò l’uomo: e non si risolleva dal suo male Giuda, servo e ingannatore.

Ikos.

Accostandoci tutti con timore alla mistica mensa riceviamo il pane con anime pure, restando vicino al Maestro per vedere come egli lavi i piedi ai discepoli e facciamo secondo quanto abbiamo visto, sottomettendoci gli uni agli altri e lavandoci i piedi a vicenda, perché così disse Cristo ai discepoli. Ma non ascoltò Giuda, servo e ingannatore.

Sinassario

Il 29 di questo mese memoria dei santi apostoli Giasone e Sosìpatro dei settanta.
Stichi. Terminando questa vita corruttibile, Giasone trovò un’altra vita senza fine. A Sosìpatro morto riveli la gloria del tuo volto, Padre, la gloria del tuo Verbo. Il ventinove Giasone se ne andò realmente dalla terra.

Lo stesso giorno memoria di sette santi martiri, i ladri che credettero in Cristo grazie all’apostolo Giasone e perirono in una caldaia con resina bollente.
Stichi. Conoscendo la sorte del ladrone dell’Eden e volendo ottenere lo stesso, i ladri accorsero realmente a essere bruciati nella resina bollente.

Lo stesso giorno santa Kèrkyra, figlia del re di Kèrkyra (Corfù) perì uccisa con frecce.
Stichi. Ferita dai colpi delle frecce, la regina brillava con le sue piaghe come perle.

Lo stesso giorno memoria dei santi martiri Zeno e Vitale che perirono nel fuoco.
Stichi. O Vitale, non temere il fuoco, poiché io, Zeno, ti guiderò entrandovi prima.

Lo stesso giorno il santo martire Eusebio perì nel fuoco.
Stichi. Quale macchia doveva purificare il fuoco in te, Eusebio, oro raffinatissimo di Cristo?

 

 
• 29.04: memoria della Grande Guerra, detta del Vespro
Archimandrita Antonio Scordino
iniziata nel 1282, e dei dolori, devastazioni, stragi e lutti che ne seguirono, come anche di tutti gli ortodossi, nostri padri e fratelli, chierici e laici, bambini e vecchi, donne e uomini, assassinati, dal tempo della calata di Ottone in poi.

• 29.04: Memoria di San Severo Vescovo di Napoli (verso il 409)
Tratto dal Quotidiano Avvenire
Della sua vita antecedente al ministero episcopale non sappiamo quasi nulla. Guidò la Chiesa campana dal febbraio 363 al 29 aprile 409. La sua opera si svolse in un periodo di ritorni al paganesimo e di eresie. Riportò nella città le spoglie del suo predecessore san Massimo, che era morto in esilio in Oriente, durante la persecuzione ariana. Fu amico di sant’Ambrogio (340-397) che conobbe durante il Concilio plenario campano del 392 a Capua. A Severo viene attribuita la costruzione del celebre Battistero di Napoli, il più antico dell’Occidente. Una «Vita» di Severo scritta nell’XI secolo, riporta un suo miracolo operato in vita: non potendo aiutare in altro modo una vedova, minacciata di schiavitù da un uomo, che pretendeva di essere pagato per un debito del defunto marito, Severo condusse l’uomo al sepolcro del defunto, richiamandolo in vita e da lui lo fece sbugiardare
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91851
Nel catalogo dei vescovi napoletani è al dodicesimo posto; della sua vita anteriore al suo ministero vescovile, non si sa praticamente nulla.
San Severo espletò il suo episcopato dal febbraio 363 al 29 aprile 409, quindi qualche decennio dopo la libertà di culto decretata da Costantino ai cristiani (313); fu certamente un periodo in cui le due religioni, pagana e cristiana, furono costrette a convivere, ed i rigurgiti del paganesimo erano frequenti.
La sua opera si svolse dopo questi ritorni pagani ed i violenti attacchi degli eretici ariani; i seguaci dell’eretico Ario di Alessandria (280-336) affermavano che il Verbo, incarnato in Gesù, non è della stessa sostanza del Padre, ma rappresenta la prima delle sue creature; l’eresia condannata dai Concili di Alessandria del 321 e Nicea del 325, provocò una lotta a volte anche violenta, fra le due posizioni esistenti nella Chiesa di allora.
La Chiesa di Napoli, con la sua guida illuminata, rifiorì nella fede genuina del cristianesimo; riportò nella città le spoglie del suo predecessore san Massimo (sec. IV), che era morto in esilio in Oriente, durante la persecuzione ariana.
Bisogna dire che s. Massimo fu il decimo vescovo di Napoli e s. Severo il dodicesimo, quindi fra i due ci fu l’usurpatore ariano Zosimo, che probabilmente ritornò, durante i suoi sei anni di episcopato, alla fede originale e quindi venne considerato l’11° vescovo legittimo.
Svariati antichi documenti confermano che si conquistò stima ed affetto non solo dei cristiani, ma anche dei pagani. Fu amico di s. Ambrogio (340-397) vescovo di Milano, che ebbe occasione di conoscerlo durante il Concilio plenario campano, tenutasi nel 392 a Capua.
Gli vengono attribuite le fondazioni di quattro basiliche, di cui una adorna di marmi e preziosi mosaici era dedicata al Salvatore, di questa antica basilica chiamata poi S. Giorgio Maggiore, è rimasto solo l’abside.
A Severo viene concordemente attribuita la costruzione del celebre Battistero di Napoli, anteriore di circa trenta anni a quello eretto al Laterano da Sisto III (432-440) e pertanto è il più antico dell’Occidente. Il Battistero è attualmente addossato alla basilica di Santa Restituta nel Duomo di Napoli; chiamato anche “San Giovanni in fonte”, si ispira a canoni orientali, con mosaici ritenuti i più preziosi fra quelli pervenutaci da altri battisteri.
Fuori delle mura della città, Severo fece costruire a poca distanza dalla Basilica di S. Fortunato, una basilica cimiteriale, dove fece deporre le reliquie del vescovo s. Massimo e che pare sia stata pure la sua prima sepoltura.
Da questa basilica, le sue reliquie furono trasferite verso la metà del IX secolo, in un oratorio della Basilica urbana di S. Severo nel Rione Sanità, tenuta da una Congregazione sacerdotale detta “della feria sesta”.
Nel 1310 l’arcivescovo Umberto d’Ormont, che era stato in precedenza insignito del titolo di abate della Basilica di S. Severo, collocò le reliquie sotto l’altare maggiore, innalzandovi sopra un magnifico ciborio di marmo, che alcuni studiosi attribuirono a Tino da Camaino o alla sua scuola.
Questo trasferimento di reliquie, risvegliò il culto per il santo vescovo, che si era alquanto sopito, dopo il 1294, per la sopravvenuta devozione verso il martire domenicano s. Pietro da Verona.
Il celebre Calendario Marmoreo di Napoli, scolpito nel IX secolo e conservato negli ambienti conglobati nel Duomo, riporta la sua festa al 29 aprile e con questa data è passato nel ‘Martirologio Romano’.
Una ‘Vita’ leggendaria di s. Severo scritta nell’XI secolo, riporta un miracolo operato in vita dal santo vescovo: non potendo aiutare in altro modo una povera vedova con piccoli figli, minacciata di schiavitù da un uomo, che pretendeva di essere pagato un debito del defunto marito; allora Severo lo condusse con sé, insieme al clero e molto popolo, al sepolcro del defunto, richiamandolo in vita e da lui pubblicamente fece sbugiardare il pretendente, perché non gli doveva niente.
È un tipo di miracolo che si trova anche nei racconti delle ‘Vite’ di altri celebri santi antichi, quindi è molto probabile che sia una leggenda aggiunta dall’anonimo agiografo di s. Severo.
Il santo è anche patrono della città e diocesi di S. Severo, in provincia di Foggia.
Tratto da https://vangelodelgiorno.org/main.php?language=IT&module=saintfeast&localdate=20170429&id=2174&fd=0
Severo fu il dodicesimo vescovo di Napoli. Il suo episcopato data dal 364 al 410, e s’inserisce d’autorità nella storia napoletana all’indomani di complesse vicende religiose e civili. Parche sono le notizie sulla vita del santo, ma un’importante testimonianza ne illumina lo spessore umano e religioso: una lettera a lui indirizzata da sant’Ambrogio nel 393. Anche il pagano Quinto Aurelio Simmaco, prefetto romano, riconosce le qualità di san Severo, come dimostra una sua lettera del 397-8 al console napoletano Decio Albino. A san Severo inoltre, secondo la leggenda, è legato il primo miracolo della liquefazione del sangue di san Gennaro.
L’episcopato severiano è caratterizzato da una forte spinta evangelizzatrice, concretizzatasi nella costruzione di diversi edifici di culto, tra cui la basilica di san Giorgio Maggiore dove, sotto la mensa dell’altare maggiore, sono tuttora conservate le venerande spoglie del santo, sottoposte a ricognizione tra il 1990 ed il 1992.
Il patronato di san Severo sulla città e diocesi omonima è attestato ai primi del Settecento, quasi certamente introdotto da mons. Carlo Francesco Giocoli (vescovo di San Severo dal 1703 al 1716).
Il santo venne, dunque, ad affiancare san Severino con pari rango, finanche precedendolo nelle invocazioni sinodali a causa della corrispondenza col nome della città. Da subito fu istituita una processione in suo onore da farsi il 30 aprile di ogni anno, solennità del protettore.
Una prima reliquia del santo patrono si ottenne nel 1749, dono del duca di Torremaggiore. Un’altra, donata da mons. Bartolomeo Mollo, fu offerta alla venerazione dal 1753. Nel 1834 fu commissionata allo scultore napoletano Arcangelo Testa una mirabile statua di san Severo, che è quella tuttora venerata e portata in processione.
Nel 1945 mons. Francesco Orlando ottiene dalla Sacra Congregazione dei Riti, con decreto dell’8 novembre, il trasferimento della festa del santo – per la sola diocesi di San Severo – dal 30 aprile al 25 settembre.
Nel 1992, su richiesta di mons. Silvio Cesare Bonicelli, il card. Michele Giordano, arcivescovo di Napoli, concede a San Severo alcune reliquie insigni del patrono, portate nella cattedrale nel 1993 e collocate sotto l’altare del santo.
consultare anche
San Severo e il suo patronato- Questioni agiografiche e cultuali, In Tesi di Dottorato di Lidya Colangelo-Università di Foggia-
Dipartimento di Studi Umanistici, Lettere, Beni Culturali e Scienze della Formazione
Consultare anche
Napoli. La Chiesa di San Giorgio Maggiore-Fu costruita tra il IV e il V secolo per volere di San Severo, celebre vescovo di Napoli
http://www.ecampania.it/napoli/itinerari/napoli-chiesa-san-giorgio-maggiore-1
San Paolo II vescovo di Brescia
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/97363
San Paolo II è un vescovo di Brescia. Nella lista dei vescovi in alcuni casi risulta al diciottesimo posto in altri al diciannovesimo dopo san Tiziano e prima di san Cipriano. Si ritiene governò la diocesi nei primi anni del VI secolo. Alcuni studiosi gli assegnarono il nome di Paolino, confondendolo con l’omonimo predecessore Paolo I.
Su di lui non sappiamo nulla.
Le sue reliquie furono ritrovate, il 17 febbraio, non si sa se nel 1453 o nel 1455, presso un oratorio nelle vicinanze di San Pietro in Oliveto.
Nel 1798 dono state trasportate nella chiesa di Sant’Agata.
La sua festa viene celebrata il giorno 29 aprile.

• 29.04: Memoria di San Torpete o Torpè martire a Pisa nel I secolo
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90607
Secondo la tradizione, Pietro, prima di raggiungere Roma, giunse ad una cittadina poco lontana dalla futura Repubblica Marinara di Pisa. A ricordo del soggiorno di Pietro è la bellissima Chiesa di S. Piero a Grado, che ancora oggi testimonia le origini della presenza cristiana nella provincia pisana. Le scarse notizie su Torpete ci informano che fu contemporaneo a questi avvenimenti. Gli Atti del martirio di S. Torpete, che attestano la devozione per il santo pisano già dal IX secolo, ad opera dei Bollandisti e il Martirologio Romano, che contiene l’Elogio del santo martire, costituiscono le uniche scarse fonti, che sebbene debbano essere lette con molta prudenza, offrono un quadro generale plausibile sulla figura di Torpete.
Torpete visse in tempo di persecuzioni. L’impero romano, che ebbe spesso nei confronti della Chiesa Cristiana un rapporto conflittuale e talvolta di aperto contrasto, ricorse anche a pratiche intimidatorie ed eliminazioni fisiche dei seguaci di Gesù. Divenuto anch’egli cristiano, Torpete praticava di nascosto la nuova fede religiosa, il che non gli impediva di svolgere un ruolo importante presso l’amministrazione romana, come troviamo scritto in Filippesi 4, 22.
Tornato a Pisa, fu riconosciuto cristiano dal prefetto della città, Satellico, il quale tentò di riportarlo alla religione pagana. A nulla valsero i suoi sforzi: né le false promesse, né le prove fisiche convinsero Torpete a rinnegare Gesù Cristo, che raggiunse in cielo il 29 aprile, giorno del suo martirio. Dopo la morte, il suo corpo fu abbandonato sopra una imbarcazione, che si arenò presso Sino, un porto talvolta riconosciuto in Francia, in altre occasioni in Spagna o anche in Portogallo. Ciascuna di queste nazioni rivendicano infatti il corpo del martire, testimonianza del fatto che il culto del santo pisano è effettivamente molto antico, come dimostrano le Chiese dell’XI secolo dedicate in suo onore. Sempre nello stesso secolo, intorno al 1084, si trova traccia della Chiesa pisana di San Torpete.
L’importanza del santo pisano crebbe nei secoli anche in virtù dei numerosi miracoli riconosciuti a Torpete. Monsignor Federigo Visconti, vescovo di Pisa dal 1254 al 1278, riporta nel Sermone 36, recitato il giorno dell’Ascensione, che la chiesa di S. Piero ad Gradus era meta di molti pellegrini, non solo toscani, che concurrunt cum devozione maxima ad Ecclesiam istam beati Petri Apostoli. Il Codice Civile della Repubblica del 1284 stabiliva che il giorno 29 aprile si celebrasse la sua festa. Tra i segni prodigiosi compiuti dal santo pisano merita di essere ricordato quello del 29 aprile 1633: colpita da una gravissima peste, la città di Pisa ricorse alle preghiere ed alla intercessione di Torpete, e ne fu immediatamente liberata.

Tratto da
http://www.associazioneamicidipisa.it/storia-e-fotografie-dei-santi-pisani-san-ranieri-san-sisto-santa-bona/71-san-torpe.html
Il culto di san Torpè è legato direttamente ed esplicitamente con Pisa, tanto da sembrare “pisano” a tutti gli effetti, anche se con ogni probabilità si tratta di un culto importato.
Ad un agiografo vissuto nell’area pisano-lucchese è comunque da attribuire l’antica Passio, redatta probabilmente fra VII e VIII secolo, al più tardi all’inizio del IX, dal momento che ad essa fanno riferimento i martirologi carolingi, a partire da Adone (†855) e Rabano Mauro (†857); e sempre a Pisa si svolge la vicenda narrata dalla Passio. Tuttavia il culto di Torpè è certamente anteriore, poiché il suo nome compare nell’elenco di santi riportato all’interno del cosiddetto Dittico di Areobindo (secolo VI), elenco attribuito dal Guidi, su base paleografica, al secolo VI-VII. In realtà della linea 21 si leggono solo le prime tre lettere, “TOR”, tuttavia non appare possibile identificare con queste lettere alcun altro santo che abbia avuto un culto a Lucca, mentre è evidente che l’elenco dei santi del Dittico è chiaramente collegato con la Chiesa lucchese, come dimostra la presenza di san Frediano nell’ultima linea.
Secondo la Passio, che segue il classico modello agiografico martiriale, Torpè era un soldato romano vissuto al tempo di Nerone. Dopo aver ricevuto il battesimo per mano di Antonio, un eremita che viveva sul Mons Pisanus, si oppose risolutamente all’ordine dell’imperatore che cercava di imporre il culto della dea Diana, in onore della quale aveva fatto edificare un sontuoso tempio presso le mura, a nord della città. Imprigionato per ordine del prefetto Satellico e sottoposto a torture, fu infine condotto alla foce dell’Arno, dove fu decapitato. Il corpo fu collocato su una piccola imbarcazione insieme a un cane e un gallo (la pena che il diritto romano riservava ai parricidi, una “citazione erudita” dell’agiografo finalizzata ad accreditare l’antichità del testo) e lasciato alla deriva. Dopo una lunga navigazione la barca giunse nel porto di Sinus, dove fu raccolto da una nobildonna cristiana di nome Celerina, che edificò una chiesa in onore del martire. Secondo una tradizione successiva il luogo d’approdo sarebbe invece la Provenza, precisamente la località che in onore del santo fu denominata St. Tropez. La testa del martire, che era stata lasciata presso la foce dell’Arno, fu successivamente raccolta dai cristiani e collocata dapprima in una cappella eretta in suo onore in S. Rossore, quindi in una cappella in prossimità dell’attuale chiesa di S. Ranierino, infine nell’attuale chiesa di S. Torpè, presso i cosiddetti “Bagni di Nerone“, ruderi romani che probabilmente sono all’origine della fantasiosa storia del tempio di Diana e forse di tutta la Passio, che è evidentemente una elaborazione letteraria, costruita radunando luoghi comuni della tradizione martiriale.
La Passio è una interessante testimonianza dell’epoca dello scrivente ma è inutilizzabile per dare una identità al santo, sul quale non si può dire null’altro che in area pisano-lucchese, in età imprecisabile ma verosimilmente intorno al secolo VI, si è affermato il culto di un martire di nome Torpes, legato all’arrivo di una importante reliquia, che nulla vieta possa identificarsi con il cranio ancora oggi conservato nella chiesa cittadina a lui dedicata. Torpè è festeggiato il 29 aprile a Pisa, in Sardegna e a St. Tropez (Francia), dove, secondo la tradizione locale, sarebbe approdata l’imbarcazione con il corpo del martire, del quale però non c’è traccia.
Tratto da: G. Zaccagnini, Il santorale pisano nei calendari liturgici dei secoli XII e XIII, in Profili istituzionali della santità medievale. Culti importati, culti esportati e culti autoctoni nella Toscana Occidentale e nella circolazione mediterranea ed europea, a c. di C. Alzati e G. Rossetti, Pisa 2008 (= Piccola Biblioteca GISEM, 24), pp. 35-63 (pp.36-38)
Consultare anche
San Torpè primo fiore di Pisa di Rossella Mazzarella
Sta in
https://www.academia.edu/7333749/San_Torp%C3%A8_primo_fiore_di_Pisa

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