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Sinassario | 1 aprile 2023

Μαρ 31, 2023 | Συναξάρι

1 aprile- Memoria della nostra santa madre Maria egiziana (VI sec.); del beato Macario il confessore, igumeno del sacro Monastero di Pelecete (820); del giusto Achaz; dei santi Ermìs e Teodora, fratello e sorella martiri; del beato Giovanni il filosofo, di Georgia (fine XII- inizio XIII sec.); del beato Barsanufio di Optina (1913)

Kontakion. Tono 3. La Vergine oggi.

Colei che un tempo era piena di ogni sorta di fornicazioni, è divenuta oggi sposa di Cristo grazie al pentimento, desidera la vita degli angeli e batte i demòni con l’arma della croce: così sei divenuta sposa del Re, o glo­riosa Maria.

Ikos

Celebriamo con canti l’agnella e figlia di Cristo, la cele­brata Maria, apparsa come prole d’Egitto, ma ne fuggì tutta la seduzione e sola si offrì alla Chiesa come rampollo perfetto, esercitandosi nell’ascesi, median­te continenza e preghiera, oltre la misura dell’umana natu­ra: per questo il solo Onnipotente esaltò la sua vita e il suo operato. Prega per noi, o gloriosa Maria.

Questo kontakion con l’ikos della santa, in quaresima non si legge solo di sabato o domenica. Al suo posto leggiamo il martirikòn del tono corrente.

Sinassario del mineo, poi il seguente.

Il primo di questo mese memoria della nostra santa madre Maria egizia.
Stichi. Lo spirito è tolto, la carne ormai abbandonata. Terra, copri le ossa morte di Maria.

Lo stesso giorno memoria del nostro beato padre Macario il confessore, igumeno di Pelectì.
Stichi. Macario beatissimo in vita, beatamente ora entra nella terra dei beati.

Lo stesso giorno memoria dei santi martiri Geronzio e Basilide.
Stichi. Con Basilide Geronzio, grazie alla spada, riceve la ricompensa dal Verbo, re universale.

Lo stesso giorno memoria del santo e giusto Acaz.
Stichi. Acaz stando presso Dio dichiarava: Non tentare il mio Dio.

Per le loro sante preghiere, o Dio, abbi pietà e salvaci. Amìn.

 

 

  • 04: Memoria dei Ss.Teodora di Roma martire; Prudenzio Vescovo di Atina e Martire; Giovanni IV, detto lo Scriba, Vescovo di Napoli

a cura del Protopresbitero Giovanni Festa

Santa Teodora di Roma martire,  sorella del Santo Martire Ermete

 

Tratto da http://www.enrosadira.it/santi/t/teodora.htm

Teodora, santa, martire di Roma , viene indicata dal Piazza come sepolta nella confessione della chiesa dei Ss. Bonifacio ed Alessio all’Aventino; nel XIX secolo questa indicazione non è più riportata da nessun autore. Teodora, presunta martire di Roma, risulta sconosciuta alle antiche fonti agiografiche ed è ricordata nella leggendaria Passio dei Santi Alessandro, Evenzio e Teodulo.

  

Martiroogio.Romano .: – 1 aprile – A Roma la passione di santa Teodora, sorella dell’illustrissimo Martire Ermete, la quale, sotto l’Imperatore Adriano, martirizzata dal Giudice Aureliano, fu sepolta accanto a suo fratello sulla via Salaria, non lontano dalla città.

 Con Alessandro il papa del tempo di Traiano  Ermete  contemporaneo prefetto di Roma,  fu convertito dal papa insieme con la moglie, i figli, la sorella Teodora e milleduecentocinquanta schiavi. Traiano, avutane notizia, invia  a Roma Aureliano, il quale avrebbe fatto arrestare Ermete, consegnandolo al tribuno Quirino, che lo fece decapitare. Il corpo del martire sarebbe stato raccolto dalla sorella Teodora e deposto «in Salaria veteri, non longe ab urbe Roma sub die quinto kalendas septembris». La passio non indica il nome del cimitero, ma il riferimento topografico è esatto. La Depositio Martyrum, alla stessa data, segnala: «Hermetis in Basille, Salaria vetere».

 

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San Prudenzio Vescovo di Atina e Martire

Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/97157
San Prudenzio si presume sia stato, il decimo vescovo di Atina. Nell’ipotetica, cronotassi dei vescovi succede a Vigilanzio e precede Massimo. In alcuni testi è stato ipotizzato il suo episcopato, tra il 288 e il 313, anno della sua morte.
La tradizione vuole che il primo vescovo di Atina sia un San Marco di Galilea, consacrato vescovo proprio da San Pietro, dopo averlo incontrato nel suo viaggio verso Roma. L’erudito ottocentesco Giuseppe Cappelletti scrive che “visse Marco su questa sede intorno a cinquant’anni, predicando il vangelo e guadagnando alla fede cristiana più migliaia d’idolatri: terminò poi martirizzato il dì 28 aprile dell’anno 95 sotto il consolato di Massimo”.
L’esistenza della diocesi, situata in provincia di Frosinone nella regione del Lazio, era attestata da una serie di manoscritti di carattere agiografico e storico. Questi documenti sono “La Passione di Marco” scritta nell’XI° secolo e attribuita a Atenolfo vescovo di Capua, la “Passione di santi martiri atinati Nicandro e Marciano”, il “Chronicon civitatis Atinae” , il “Catalogus episcoporum Atinensium” e il “Libellus de excidio civitatis Atinae”.
Sulla veridicità di questi testi ci sono molti dubbi, tanto che Herbert Bloch riuscì a dimostrare come fossero tutti dei falsi.
Comunque, il cosiddetto catalogo dei vescovi di Atina riporta una serie di 23 presuli, successori di San Marco.
La diocesi di Atina, secondo alcuni manoscritti medievali, sarebbe stata soppressa da Papa Eugenio III e il suo territorio annesso alla diocesi di Sora.
Nel testo di due anonimi atinati “Breve crhronicon atinensis ecclesiae” è riportato che il Papa Gaio, nel suo secondo anno di pontificato, ordinò San Prudenzio vescovo di Atina. Questo presule governò la diocesi per venticinque anni.
In quel testo si parla anche del suo martirio. Un giorno, il vescovo aveva tentato di rovesciare la statua di Giunione, che era in bella vista nel tempio vicino alle Terme Antoniane. E proprio per quel gesto fu ucciso dai pagani.
Il suo corpo interrato presso il tempio, dopo tre giorni, il primo di aprile fu trafugato dai cristiani e sepolto nella chiesa di San Pietro.
Se molti sono i dubbi sull’esistenza della diocesi prima del XI secolo, altrettanto lo sono quelli sull’esistenza di San Prudenzio, martire nel IV Secolo.
San Prudenzio era venerato ad Atina, che se si presume che il suo culto non sia anteriore al 1563.
La sua festa si celebrava nel giorno 1 aprile.

 

 

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San Giovanni IV, detto lo Scriba, Vescovo di Napoli

Tratto da http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-giovanni-scriba_(Dizionario-Biografico)/
Quarto vescovo di Napoli di questo nome, nacque da famiglia di umili origini presumibilmente verso la fine dell’VIII secolo. Studioso delle Sacre Scritture e dei testi dei Padri della Chiesa, di testi profani, conoscitore del latino e del greco, le fonti ne ricordano anche l’attività di amanuense che gli valse l’appellativo di scriba. Avviato alla carriera ecclesiastica, divenne diacono della cattedrale di Napoli.
Nel periodo che precedette la sua nomina vescovile, la vita politica del Ducato di Napoli era scossa da violenti scontri per il potere. Nell’831 il console e duca di Napoli Bono era entrato in conflitto con il vescovo Tiberio, lo aveva dichiarato decaduto e lo aveva posto agli arresti nello stesso episcopio (non, come riferisce Giovanni Diacono nei Gesta episcoporum Neapolitanorum, in carcere). L’ostilità del duca dovette essere rivolta al solo vescovo e non a tutto il clero, come si evince dal fatto che il suo intervento contro Tiberio non incontrò l’ostilità del clero napoletano. Esautorato il vescovo, all’interno delle candidature dei chierici che vennero proposti per sostituire Tiberio la scelta cadde su G., persona bene accetta allo stesso duca.
Chiamato alla guida della Chiesa napoletana, G., come informano i Gesta, fu costretto ad accettare l’incarico offertogli, lasciando però l’effettiva guida della diocesi a Tiberio, presso il quale egli ottenne libero accesso. La narrazione dei fatti offerta dai Gesta riprende in realtà uno schema della letteratura agiografica che vede opposti il sant’uomo e il malvagio uomo di potere: G. avrebbe infatti rifiutato l’incarico se non vi fosse stato costretto dalle minacce di Bono di rappresaglie contro il clero napoletano e contro il presule stesso, e dalla minaccia di confisca dei beni della Chiesa napoletana: “totius episcopii servos possesionesque infiscari”. Le giustificazioni offerte dai Gesta lasciano intendere come l’elezione di G. non fosse legittima; la lettura degli avvenimenti – con l’omissione delle vittorie di Bono sui Longobardi contrapposta alla descrizione dell’ascesa al potere del duca e del successivo arresto del vescovo (sempre tacendo sui fatti che avevano portato al contrasto seguito alle ingerenze di Tiberio all’interno della vita politica del Ducato) – offre deliberatamente una visione di parte delle vicende che portarono G. sul soglio vescovile.
Così Bono, una volta assicurata la non ingerenza politica di G. nelle vicende del Ducato, poté proseguire la lotta intrapresa contro i Longobardi, certo di non dover affrontare un secondo scontro con il vescovo. Dopo la morte di Bono (9 genn. 834) gli successe il figlio Leone, che fu deposto dal suocero Andrea nel settembre dello stesso anno. Sotto il nuovo duca, G. mantenne lo stesso atteggiamento nei confronti del vescovo imprigionato, come testimonia il trasferimento, voluto dal duca Andrea, di Tiberio dall’episcopio (sede del domicilio coatto del vescovo) a uno degli edifici della basilica di S. Gennaro extra moenia; episodio questo estremamente illuminante della voluta estraneità di G. dalle vicende legate al presule imprigionato, considerato anche il fatto che la nuova sede cui venne destinato il vescovo Tiberio era esposta alle scorrerie dei Longobardi. La mancata presa di posizione da parte di G. nei confronti di Tiberio tradisce da una parte la condanna della linea politica assunta dal vescovo Tiberio, e dall’altra evidenzia la sostanziale condiscendenza di G. nei confronti delle scelte dei duchi. “Sotto questo aspetto, estremamente significativo è […] il fatto che Giovanni Diacono abbia sentito il bisogno di concludere la tormentata biografia di Tiberio con l’episodio del discorso da lui pronunciato “residens in pontificali cathedra”, per attestare pubblicamente la stima e l’ammirazione che egli sentiva per Giovanni lo scriba, e per l’opera da lui svolta” (Bertolini, 1970, p. 427 n. 262).
Nel frattempo i Napoletani, approfittando della crisi che si era aperta a Benevento per la successione nel Principato, avevano cessato di pagare il tributo ai Longobardi; le ostilità con questi ultimi, peraltro mai sopite, avevano trovato rinnovato vigore con la successione di Sicardo al padre Sicone. Ma nell’836 il duca Andrea, allorché Napoli, cinta d’assedio da Sicardo, era sul punto di capitolare, riuscì, grazie a una nuova alleanza con gli Arabi di Sicilia, a indurre Sicardo a porre fine all’assedio e a stringere una tregua quinquennale. L’armistizio fu il risultato dell’intercessione tra i due contendenti attuata dal clero napoletano, alla cui funzione mediatrice probabilmente partecipò anche G., che compare tra i contraenti del patto stipulato il 4 luglio 836, quando il principe longobardo Sicardo promise al vescovo G. (“electo sancte ecclesie neapolitane”, Capasso, II, p. 149) e al duca Andrea, nonché a tutto il popolo del Ducato napoletano e ad altri soggetti ancora, la pace per terra e per mare.
Morto il vescovo Tiberio, tra il 28 e il 31 marzo 839, seguì un lungo periodo di vacanza del seggio vescovile napoletano. L’incarico assunto da G. alla guida della Chiesa partenopea mentre era ancora vivo il vescovo titolare non era regolare dal punto di vista del diritto canonico e di conseguenza l’ordinazione di G. dovette essere sottoposta a procedimento di verifica; a creare ulteriori perplessità concorsero anche i buoni rapporti che lo stesso G. aveva intrattenuto con Bono prima e con i successori di questo poi (Leone, Andrea, Contardo e Sergio I). Così, quando Sergio I inviò una legazione a Roma per richiedere la consacrazione di G., ricevette in risposta da Gregorio IV una commissione con l’incarico di accertare che l’elezione di G. si fosse svolta in conformità alle norme canoniche e senza l’opposizione del clero. L’inchiesta durò ben due anni e mezzo e solo il 26 febbr. 842 G. venne consacrato vescovo di Napoli.
Nei primi mesi seguiti alla consacrazione di G., Sergio I gli affidò il proprio figlio Atanasio affinché approfondisse gli studi delle Sacre Scritture e degli usi liturgici, nonché l’insegnamento del greco (secondo le prescrizioni del concilio di Nicea del 787 che prevedevano, per l’elezione a vescovo, la conoscenza di tali materie). Si attuava così, consenziente G., il disegno di Sergio I che avrebbe visto Atanasio vescovo e che avrebbe confermato la sottomissione della Chiesa di Napoli al potere ducale (con un processo già ben attestato sotto Giovanni).
G. morì il 17 dic. 849, come riferiscono i Gesta episcoporum Neapolitanorum; venne sepolto nell’oratorio di S. Lorenzo all’interno della catacomba di S. Gennaro, e poi traslato prima nella Stefania e quindi nella basilica di S. Restituta, dove le reliquie furono poste nella cappella di S. Maria del Principio. Nel Martirologioromano la festa di G. viene posta al 22 giugno, in concomitanza con quella di s. Paolino, per assimilazione della notizia relativa a Giovanni (I), vescovo di Napoli, con la vita di G. narrata da Giovanni Cimeliarca (cfr. Bibl. hagiografica Latina, I, n. 4417).
Negli anni immediatamente precedenti la consacrazione, G. aveva fatto traslare le reliquie dei vescovi suoi predecessori Aspreno, Epitimito, Marone, Efebo, Fortunato I, Massimo e Giovanni (I) dal cimitero di S. Gennaro all’interno della basilica della Stefania, dove furono collocate in tombe ad arcosolio fatte affrescare da G. con i ritratti dei vescovi. La traslazione è messa in sincronia dall’autore della biografia di G. con “gli ultimi tempi dell’imperatore Teofilo (ottobre 829 – gennaio 842 […]), con l’avvento e i primi anni di governo di Michele III (21 genn. 842 – 23 sett. 867 […]), e con lo sbarco degli Arabi a Ponza, che avvenne prima dell’agosto dell’846” (Bertolini, 1974, p. 105). Queste traslazioni all’interno della Stefania sono state interpretate come atto di difesa e di conservazione delle reliquie stesse situate nella catacomba di S. Gennaro dalle scorrerie rapinatrici dei Longobardi. Secondo una diversa lettura, invece, tale gesto da parte di G. si inquadrerebbe nell’ambito del tentativo più vasto e di portata europea, da parte dei vescovi, di affermare il proprio potere; e in tale ottica di “tendenza al potenziamento della funzione carismatica episcopale” (Cilento, La Chiesa, p. 685) dovrebbe essere letta l’azione di G.; così come “a dar prestigio alla Chiesa di Napoli e al suo vescovo concorse in maniera particolare la redazione del Liber pontificalis” (ibid.), la cui prima parte sarebbe stata attribuita (secondo una contestata ipotesi formulata da Mallardo, 1947) allo stesso Giovanni. Sempre all’attività di agiografo di G. sarebbe da ricondurre la stesura del calendario marmoreo scoperto a Napoli nella basilica di S. Giovanni Maggiore nel 1742, la cui attribuzione però rimane dubbia. Alla sua attività di vescovo è legato anche il notevole impulso che ricevette l’attività dello scriptorium e della scuola della cattedrale, attività proseguita anche dal successore Atanasio (I).

Fonti e Bibl.: Iohannes Diaconus Neapolitanus, Gesta episcoporum Neapolitanorum, a cura di G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Script. rerum Langob., Hannoverae 1878, pp. 430-433 (capp. 56-62); A. Di Meo, Annali critico-diplomatici del Regno di Napoli della Mezzana Età, XI, Napoli 1810, p. 289; D.M. Zigarelli, Biografie dei vescovi e arcivescovi della Chiesa di Napoli con una descrizione del clero… della basilica di S. Restituta…, Napoli 1861, pp. 35 ss.; B. Capasso, Monumenta ad Neapolitani Ducatus historiam pertinentia, I, Neapoli 1881, pp. 208 ss.; II, ibid. 1892, p. 149; Bibliotheca hagiographica Latina, I, Bruxelles 1898-99, p. 654; Martyrologium Romanum, Romae 1902, p. 89; P.F. Kehr, Italia pontificia, VIII, Berolini 1961, pp. 421 n. 14, 444 n. 57; H. Delehaye, Hagiographie napolitaine, II, in Analecta Bollandiana, LIX (1941), pp. 19-21; D. Mallardo, Storia antica della Chiesa di Napoli, I, Le fonti, Napoli 1943, pp. 56 ss.; Id., S. Giovanni I e s. G. IV vescovi di Napoli (un errore del Martirologio romano e del Breviario), in Ephemerides liturgicae, LXI (1947), pp. 297-308; Id., Giovanni diacono napoletano. La continuazione del “Liber pontificalis”, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, IV (1950), pp. 343 s.; G. Mathon, G. IV lo Scriba, vescovo di Napoli, in Bibliotheca sanctorum, VI, Roma 1966, p. 938; G. Cassandro, Il Ducato bizantino, in Storia di Napoli, II, 1, Napoli 1969, pp. 56, 69, 138; N. Cilento, La cultura e gli inizi dello Studio, ibid., II, 2, ibid. 1969, pp. 549, 562, 576, 578, 582; Id., LaChiesa di Napoli nell’Alto Medio Evo, ibid., pp. 685, 697; M. Rotili, Arti figurative e arti minori, ibid., pp. 926, 928, 976; P. Bertolini, La serie episcopale napoletana nei sec. VIII e IX, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XXIV (1970), pp. 349-440; N. Cilento, La storiografia nell’Italia meridionale, in Atti della XVII Settimana di studio del Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo… 1969, Spoleto 1970, p. 538; P. Bertolini, La Chiesa di Napoli durante la crisi iconoclasta. Appunti sul codice Vaticano latino 5007, in Studi sul Medioevo cristiano offerti a R. Morghen, Roma 1974, I, pp. 104 s.; M. Rotili, L’arte a Napoli dal VI al XIII secolo, Napoli 1978, pp. 40, 57, 70; Rep. fontium hist. Medii Aevi, VI, p. 415; Dict. d’hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXVII, coll. 336 s.

 

 

  • 04: Memoria del beato Macario l’igumeno

Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli

Il Beato Macario, il cui nome di nascita era Cristoforo, nacque a Costantinopoli. In giovane età rimase orfano di entrambi i genitori, ed un pio parente si occupò della sua educazione. Attratto dalla vita solitaria, lasciò il mondo e si ritirò nel Monastero di San Giovanni il Teologo, detto anche di Pelecete, a Triglia di Prusa, in Bitinia. Qui fu tonsurato e prese il nome di Macario. Il giovane monaco si diede ad una vita di ascesi e preghiera, e la sua condotta lo portò a diventare igumeno di quel Monastero. Il Beato Macario divenne padre spirituale non solo di tutti i monaci, ma anche di tutti i fedeli che si rivolgevano a lui per consultarlo, per chiederne le preghiere, per essere curati da mali dell’anima e del corpo, poiché il beato Macario aveva anche il carisma della guarigione.
La fama del beato giunse all’attenzione del Patriarca Tarasio (784-806), il quale gli inviò il patrizio Paolo, che era stato guarito in precedenza dal Beato, perché ne guarisse anche la moglie. Dopo di ciò, il Patriarca lo convocò a Costantinopoli e lo ordinò presbitero.
Quando si esacerbò l’eresia iconoclasta sotto l’imperatore Leone l’Armeno, il Beato Macario, difensore della fede dei padri, fu arrestato, rimanendo in prigione fino alla morte dell’imperatore. Fu liberato dal suo successore, l’imperatore Michele II, che però, non essendo riuscito a modificarne il modo di pensare sule sante icone, confinò Macario nell’isola di Afusia, nel Mar di Marmara, di fronte a Cizico. In quel luogo il Santo, in mezzo ad ogni genere di privazioni, si addormentò in pace nell’anno 820. Solo alla sua morte i monaci del Monastero di Pelecete nominarono un altro igumeno.

 

 

  • 04: Memoria della nostra santa madre Maria egiziana

Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli

All’età di appena dodici anni Maria lasciò la sua famiglia e partì per Alessandria, dove condusse una vita dissoluta per diciassette anni. Poi, mossa dalla curiosità, si unì ad un gruppo di pellegrini in viaggio verso Gerusalemme, per partecipare alla cerimonia dell’Esaltazione della Santa Croce. Perfino nella Città Santa si abbandonò ad ogni sorta di licenziosità e condusse molti alla perdizione. Il giorno della Festa avrebbe voluto entrare insieme a tutti gli altri nella Chiesa, ma, nonostante i ripetuti tentativi, era come se una forza invisibile glielo impedisse. Rimasta sola all’esterno del Tempio, profondamente colpita dall’accaduto, decise di cambiare la sua vita e riconciliarsi con Dio attraverso il pentimento. Invocò la Santissima Theotokos come protettrice, le chiese di aprire per lei la strada per potere venerare la Croce e fece il voto di rinunciare al mondo. Ritornata dunque alla Chiesa, entrò senza ostacoli. Dopo avere venerato il prezioso Legno, partì quello stesso giorno da Gerusalemme e oltrepassò il Giordano. Penetrò profondamente nel deserto, e per quarantasette anni visse in grandi privazioni e difficoltà, oltre l’umana forza. L’unica sua risorsa era la preghiera.
Verso la fine della sua vita, incontrò un eremita di nome Zosima, cui raccontò tutta la sua vita. Gli fece la richiesta di portarle i santi Misteri, per potere prenderne parte. L’anno successivo, nel giorno del Santo e Grande Giovedì, Zosima soddisfò la sua richiesta. Dopo un altro anno, Zosima si recò di nuovo nel luogo dei loro incontri, ma la trovò distesa sul terreno, morta, con vicino al suo corpo, scritto sulla sabbia, un messaggio per lui: “Padre Zosima, seppellisci qui il corpo dell’umile Maria. Sono morta il giorno in cui ho preso parte ai Santi e Immacolati Misteri. Prega per me.”
La sua vita è stata raccontata da San Sofronio di Gerusalemme. La data della sua morte è incerta: per alcuni nel 378, per altri nel 437, per altri ancora nell’anno 522.
Viene commemorata anche nella Quinta Domenica della Grande Quaresima.

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