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Lectio Magistralis del Patriarca Ecumenico

Νοέ 23, 2023 | από το Πατριαρχείο, Σχέση με την Καθολική Εκκλησία

LECTIO MAGISTRALIS
DI SUA SANTITA’
K.K. BARTOLOMEO
ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI – NUOVA ROMA
E PATRIARACA ECUMENICO
IN OCCASIONE DELLA INAUGURAZIONE
DELL’ANNO ACCADEMICO
E DELLA ATTRIBUZIONE DELLA LAUREA HONIS CAUSA IN TEOLOGIA
PRESSO LA
PONTIFICIA FACOLTA’ TEOLOGICA DELL’ITALIA MERIDIONALE
NAPOLI
(Napoli, 23 Novembre 2023)
“Dialogo e Ortodossia”
***
Ἱερώτατε Μητροπολίτα Ἰταλίας καί Μελίτης, κ. Πολύκαρπε,
Eccellenza Reverendissima Arcivescovo Metropolita di Napoli, Mons. Domenico Battaglia, Gran Cancelliere dell’Istituto,
Illustrissimo Magnifico Rettore, Prof. Francesco Asti,
Distinte Autorità Accademiche,
Eminenze, Eccellenze, Autorità tutte, graditissimi Ospiti,
Fratelli e Sorelle in Cristo,
Con sentimenti di vera gratitudine, ci troviamo ancora una volta in questa splendida e storica città di Napoli, per ricevere un prestigioso riconoscimento da parte di questa Pontificia Facoltà Teologica, per il nostro impegno e contributo al dialogo interreligioso e al movimento ecumenico.
RingraziandoVi fin d’ora per la Vostra attenzione, desideriamo però accettarlo non tanto per la nostra Modestia, ma per l’impegno che la Chiesa di Costantinopoli, il Patriarcato Ecumenico ha effuso lungo i secoli nel mantenere e saldare la comunione canonica tra le Chiese Sorelle che compongono la Chiesa Ortodossa, ossia gli antichi Patriarcati e le Chiese Autocefale. Ma anche per l’impegno effuso nel ricercare la ricomposizione della unità cristiana visibile tra le varie Chiese d’Oriente e d’Occidente. Questa particolare diaconia della Grande Chiesa di Cristo esprime la sua visione e missione profetica ed essenziale nel corso dei secoli, fatto che la nostra Modestia ha assunto interamente nel proprio ministero patriarcale e spirituale, che per benevolenza di Dio prosegue da oltre trentadue anni ormai.
Una memoria storica.
La storia ecclesiastica del primo Millennio è certamente una storia di ricchezza e di produzione teologica eccezionali, in cui – grazie alle formulazioni dei Grandi Concili Ecumenici e Locali e al sorgere della teologia patristica, – cristologia, ecclesiologia, fede e preghiera della Chiesa e antropologia cristiana – trovano il loro sviluppo fondamentale, che sarà alla base della vita della Chiesa fino ai nostri giorni, nel grande concetto di Tradizione viva che compie in un certo modo la profezia biblica e l’annuncio del Salvatore, rendendoli messaggio “sempre lo stesso e sempre nuovo” nello scorrere dei secoli. A tal riguardo, dalla Chiesa dei primi secoli giunge fino a noi oggi la espressione degna di nota del grande Padre San Atanasio, Patriarca di Alessandria che affermava esistere “ἐξ ἀρχῆς παράδοσις καί διδασκαλία καί πίστις τῆς καθολικῆς Ἐκκλησίας, ἥν μέν Κύριος ἔδωκεν, οἱ δέ Ἀπόστολοι ἐκήρυξαν, καί οἱ πατέρες ἐφύλαξαν. Ἐν ταὐτῃ γάρ ἡ Ἐκκλησία τεθεμελίωται” – “dall’inizio tradizione e dottrina e fede della Chiesa cattolica, che il Signore ha consegnato, gli Apostoli annunciato, ed i Padri custodito. In essa, dunque, la Chiesa è stata fondata”.
Tale processo non è stato indolore nella storia ecclesiastica, a causa di divisioni prodottesi molte volte per l’utilizzo di categorie di pensiero diverse e linguaggi spesso poco inclusivi. L’estraniamento tra Famiglie Cristiane, causato da diversi fattori, non solo ecclesiastici ma culturali e anche a causa degli sconvolgimenti politici del tempo, ha prodotto una divisione che è pesata, non solo nella sfera propriamente ecclesiastica o, meglio, ecclesiologica, ma soprattutto sulla capacità di incisività dell’annuncio evangelico, le cui conseguenze hanno favorito il sorgere di nuove identità religiose.
Questo fervore e fermento del pensiero e dell’atteggiamento è riscontrabile già nella Comunità di Gerusalemme e al Concilio degli Apostoli. Tuttavia, ricchezza teologica e conseguenti divisioni che hanno prodotto scismi ed eresie, nella storia cristiana del primo Millennio, non offuscano la identità stessa della Chiesa in cui il detto paolino resta uno dei cardini fondamentali: “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3,28). Non solo c’è la autocoscienza di essere uno in Cristo, ma vi è soprattutto un preciso mandato del Signore dell’essere uno: “Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Luca 17,21), rappresentazione di uno splendido mosaico in cui ogni pietra ha la sua giusta collocazione.
Ma se una pietra si rovina e deteriora il mosaico o, meglio, deteriora quanto vi è raffigurato, (Scrittura, Eucaristia, Chiesa), quella pietra NON cessa di appartenere all’insieme del mosaico. Significa che anche le Comunità sorte dopo i Concili di Efeso e Calcedonia, pur nello scisma o nell’eresia, esse continuano a formare la coscienza dell’appartenenza all’unico mosaico. In altre parole, la divisione, – scisma o eresia, – anche se privano della comunione, non privano dell’appartenenza alla unica Chiesa di Cristo, così come una malattia di un organo del corpo non rende estraneo al corpo l’organo stesso.
La Grande Chiesa Bizantina, nell’VIII e IX secolo e poi nell’XI secolo al culmine di uno scontro tra Oriente ed Occidente, più socioculturale che ecclesiologico, anche se spesse volte polemico, non pone in essere il dubbio di appartenere tutti all’unico Corpo del Signore. A dispetto delle stesse scomuniche tra il Cardinale Umberto di Silva Candida, legato del Papa Leone IX e del Patriarca Michele I Cerulario il 16 luglio 1054, la coscienza di essere “la Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica” è ancora comune. Questa coscienza, nonostante l’evolversi di una diversa ecclesiologia, di tipo più giurisdizionale in Occidente e di tipo più dogmatico e canonico-disciplinare in Oriente, verrà scossa il 12 aprile 1204 col sacco di Costantinopoli e con la intronizzazione di Patriarchi latini a Costantinopoli, Antiochia e Gerusalemme. Ma solo la polemica nell’intravedere usanze diverse e la assolutizzazione delle proprie tradizioni hanno portato le Chiese, – come ha scritto il teologo Yves Congar, “a trovarsi divise senza essersi mai formalmente separate”.
Queste formali divisioni e implicazioni non hanno tuttavia prodotto una perdita di coscienza della identità cristiana di appartenere alla unica Chiesa di Cristo. E grazie a questa coscienza, i tentativi unionisti nel Concilio di Lione del 1274 e del Concilio di Ferrara-Firenze negli anni 1431-1443, al di là dei risultati conseguiti, – non possono essere considerati storicamente fenomeni di “inglobamento”, anticipazioni della teoria del “ritorno” dell’Oriente a Roma, fenomeno tra l’altro allora sconosciuto, e neppure una mera posizione politica di difesa degli Imperatori Bizantini di fronte all’avanzare dei Turchi. Non possiamo certamente negare una motivazione data dalla situazione contingente; tuttavia, la partecipazione delle Chiese a questi Concili manifestano concretamente il riconoscimento “a priori” dell’altro nella sua comune identità ecclesiologica. E anche le polemiche e le accese argomentazioni allora dibattute restano il collegamento tra Oriente e Occidente.
La incapacità dei Cristiani del tempo, soprattutto delle gerarchie ecclesiastiche, di trovare soluzioni al diverso approccio al pensiero teologico, hanno certamente favorito, secoli dopo, il sorgere di una nuova “identità” di Chiesa, scaturita prima dalla Riforma Protestante e successivamente dalla Controriforma e dalle sue conseguenze.
Dobbiamo riconoscere che esiste, fino alla Controriforma, una qualche forma di dialogo (δια/λόγος) tra le grandi famiglie Cristiane del tempo.
Riforma e Controriforma non possono essere considerate una problematica o una situazione dinamica e contingente della Chiesa d’Occidente. L’affermare il valore “assoluto” della Chiesa Romana nella Cristianità, modifica i presupposti della sinfonia e della sinodalità della Chiesa del primo Millennio e apre un solco incolmabile anche con l’Oriente. Lutero ed i Riformatori in un primo momento guardano con favore a quella parte di Cristianità non sottoposta al vescovo di Roma, e cercano un aggancio con la Cristianità Orientale, sul presupposto della unica appartenenza alla Chiesa. Ma le argomentazioni presentante al Patriarca di Costantinopoli e le osservazioni formulate dai teologi orientali e dal Patriarca Germanos II Trànos ai Teologici di Tubinga, non soddisfano i Riformatori. Gli incontri tra Ortodossia e Riforma, hanno espresso comunque una volontà di ascolto, abbiamo gli esempi del Patriarca Cirillo Lukaris, o delle splendide pagine scritte sul rapporto dei Pastori Luterani Tedeschi con lo Zar di Russia Ivan il Terribile. La Confessio Augustana giunge in Oriente tradotta in greco, ma l’Oriente risponde con la sua fedeltà alla Tradizione della Chiesa Indivisa.
La Controriforma, per arginare l’onda protestante, assolutizza la propria presenza, e il dialogo diviene monologo (μόνος/λόγος). Il mosaico iniziale è scisso, le pietre – i legami tra le Chiese – anche se indebolite, ora non sono più riconosciute parte della stessa opera di Dio. Sorge così la teoria del “ritorno” che ha prodotto pagine tragiche nei rapporti tra Oriente e Occidente: l’Uniatismo. Questo fenomeno, per cui una Chiesa Orientale locale, mantenendo tutto il proprio bagaglio liturgico e soteriologico, riconosce la supremazia del Romani Pontefice (Ucraina – Unione di Brest-Litovsk 1596; Rutenia – Unione di Užhorod, 1646; Transilvania – Unione di Ala Julia, 1698) segnerà una delle pagine più buie della storia ecclesiastica del secondo millennio, le cui conseguenze hanno pesato nelle relazioni tra le Chiese fino quasi ai nostri giorni.
​Ma il monologo priva della opportunità dell’incontro con l’altro, della crescita e della capacità di assaporare tutti i doni che Dio ha consegnato alla Chiesa. Per cui anche tale situazione di isolamento ha prodotto alcuni frutti, i cui risultati saranno visibili nel XX secolo, nell’epoca dell’Ecumenismo e dell’incontro. I Vescovi di Roma nell’Ottocento cercano nuovamente un approccio con l’Oriente, attraverso le lettere ai Patriarchi Orientali di Papa Pio IX nel 1848 e successivamente di Papa Leone XIII nel 1895. La risposta alla prima lettera è espressa nella Enciclica dei Patriarchi Orientali, la quale rappresenta un vero trattato teologico che porrà successivamente le basi alle Encicliche Patriarcali del 1902, 1920 e 1952 sulla unità delle Chiese Cristiane.
In questa Enciclica viene espresse in modo lungimirante la prima ipotesi di dialogo teologico: “… la unità dovrebbe essere fatta senza alcun ritorno – come dice Sua Santità (Pio IX), ma senza fretta… dopo consultazioni con i più saggi, religiosi amanti della verità e prudenti vescovi, teologi e Dottori, che si trovano nel giorno presente, grazie alla buona provvidenza di Dio, in ogni nazione dell’Occidente”.
Nella Enciclica i Patriarchi si rivolgono a Pio IX chiamandolo comunque “Vescovo della Antica Roma”, permanendo in Oriente la coscienza della Unica appartenenza che neppure l’errore può distruggere: “La Chiesa di Cristo non può essere divisa!”
​Anche la risposta del Patriarca Anthimos IV a Leone XIII ha elementi degni di nota: tra questi l’appello ai “popoli amanti di Cristo dei gloriosi paesi dell’Occidente” per invitarli “non a tornare”, ma “a riscoprire la salutare fede di Cristo, retta in ogni cosa e conforme alla Sacra Scrittura e alle Tradizioni Apostoliche, sulle quali è basato l’insegnamento dei Padri divini e dei Sette Concili Ecumenici”.
La svolta ecumenica del XX secolo.
Senza questo breve excursus storico, non possiamo comprendere la portata degli avvenimenti del XX secolo per la intera Chiesa. Un noto teologo cattolico, p. Le Guillon diceva che il Movimento Ecumenico è semplicemente venuto per compiere una vocazione proveniente dall’interno stesso del mondo ortodosso. Egli si riferiva alle Encicliche Patriarcali, la prima del 1902 in cui il Patriarcato Ecumenico invitava le Chiese Ortodosse a una maggiore collaborazione tra loro e a “chiedersi se è maturo il tempo per una riunione preparatoria per un reciproco e amichevole riavvicinamento” con le altre “Vigne del Cristianesimo”, “… facendo uso di concessioni, dove è lecito, non ritenendo come presupposto indispensabile la rigidezza e la statica uniformità in cose non sostanziali, abituata (la Chiesa) dalla sua vita collegiale alla unità nella varietà”, e poi la seconda Enciclica del 1920, indirizzata “A tutte ovunque le Chiese di Cristo”, che a ragione si può affermare che essa rappresenti il primo manifesto dell’ecumenismo contemporaneo, chiaro, ricco di proposte. Redatta dai teologi della rinomata Facoltà Teologica di Chalki (Costantinopoli), essa rivolge un invito alle Chiese per costituire una “κοινωνία τῶν Ἐκκλησιῶν” – una comunione delle Chiese e invita le Chiese alla collaborazione per eliminare diffidenze, rafforzare l’amore cristiano, per poter poi giungere a riunioni di tipo dogmatico. Essa propone, cioè, un Consiglio di Chiese, sull’onda della costituita Società delle Nazioni. Ricordiamo per inciso che il Consiglio Mondiale delle Chiese nascerà 28 anni dopo, ad Amsterdam, alla cui assemblea parteciperanno per la Chiesa Ortodossa solamente il Patriarcato Ecumenico e la Chiesa Russa della Diaspora. Nel 1925 a Stoccolma, al primo Congresso mondiale di “Vita e Lavoro”, saranno presenti le Chiese di Costantinopoli, Alessandria, Gerusalemme, Romania, Bulgaria, Grecia e Cipro, così come a Oxford nel 1937.
Non possiamo non citare la figura di un nostro grande predecessore, il Patriarca Atenagora, un visionario, un sognatore della unità delle Chiese di Cristo, il profeta del “dialogo dell’amore”. La sua famosa Enciclica nel 1952 chiamava le Chiese Ortodosse a trovare modi e mezzi per la collaborazione tra le Chiese e a partecipare al Consiglio Mondiale delle Chiese. Lo slancio, a seguito della convocazione del Concilio Vaticano II, per preparare un futuro Concilio della Chiesa Ortodossa attraverso le Conferenze Panortodosse di Rodi (1961-1963-1964), l’incontro con Papa Paolo VI a Gerusalemme, a Roma e Costantinopoli, la reciproca cancellazione delle “scomuniche”, sono tutti elementi che hanno caratterizzato il suo patriarcato, ma hanno anche aperto una strada senza ritorno all’incontro di tutte le Chiese Cristiane.
Il primo risultato di tutti questi avvenimenti è stato il fatto di riconoscersi come “Chiese Sorelle” (all’inizio pareva più opportuno definirsi “Chiese amiche”) e di dare il via ai grandi dialoghi teologici: a) con la Chiesa Romano-Cattolica; b) con le Antiche Chiese Orientali; c) con la Chiesa Vecchio Cattolica e la Chiesa Anglicana; d) con la Chiesa Luterana e con le Chiese Riformate. Gli anni ’70 e ’80 sono stati anni ricchi sotto questa prospettiva. Di pari passo hanno visto la luce anche diversi dialoghi bilaterali,
Anche il Consiglio Mondiale delle Chiese ha sviluppato numerosi temi comuni, di carattere sociale, con i quali spesso però la Chiesa Ortodossa non si è trovata pienamente d’accordo.
A questo si aggiunge il grande impatto che ha avuto la Scuola di Parigi, nell’incontro dei grandi teologi della Diaspora con l’Occidente, tra i quali ricordiamo N. Nissiotis, P. Nellas, P. Evdokimov, A. Schmemann, J. Meyendorff, O. Clement, D. Stanilaoe, D. Popescu, rappresentanti della sintesi teologica neopatristica, ma anche G. Florovskij, P. Florenskij, S. Bulgakov, V. Lossky, P. Afanassiev, C. Yannaras e altri.
Purtroppo, il XX secolo, così come la sua storia generale è stata foriera di grandi scoperte e miglioramenti della vita umana, lo è stata anche di grandi catastrofi umane con guerre mondiali e conflitti e genocidi in molte parti del mondo. Allo stesso modo la vita delle Chiese, rinvigorita dal nuovo corso della storia teologica e di dialogo, ha dovuto affrontare anche nuove sfide, bruschi rallentamenti e alle volte anche conflitti dettati dal nazionalismo, da un certo settarismo, dalla crisi economica, da una libertà – seguita alla caduta del muro – che invece di aprire cuori e menti, supportava paure e rivalse tra i cristiani. Anche gli stessi dialoghi teologici hanno subito dei ripensamenti. Tuttavia, abbiamo personalmente richiamato tutti al motto: “persistenza e pazienza” (Creta 2009).
​Un nuovo inizio.
​Carissimi Amici,
​Per grazia del Signore, sediamo sul Trono Apostolico e Patriarcale di Costantinopoli da oltre trent’anni, e seguendo anche l’esempio fulgido dei nostri beati Predecessori, non abbiamo mai avuto dubbi che il dialogo sia l’unica via che il Signore ci indica, se vogliamo essere suoi discepoli: “…perché tutti siano una sola cosa”. (Gv. 17, 21).
La Santa e Grande Chiesa di Cristo, il Patriarcato Ecumenico non possiede grandi risorse; “La debolezza delle risorse umane e materiali di Costantinopoli, il suo soffocamento e le sue sofferenze nelle attuali circostanze storiche sono ciò che assicura la perennità della sua imparzialità e accresce il suo prestigio”. Come dice il Signore all’apostolo Paolo: “La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12, 9). Con questa certezza abbiamo affrontato il ruolo che i Concili Ecumenici hanno affidato alla Chiesa di Costantinopoli all’interno dell’Ortodossia e nel mondo Cristiano. E per questo non abbiamo mai avuto dubbi sulla importanza del dialogo, promuovendo e assumendo prominenti iniziative per sostenere il movimento ecumenico, contribuendo alla crescita del Consiglio Mondiale delle Chiese e della Conferenza delle Chiese Europee. Non da meno, a coloro che si erigevano a zeloti e difensori dell’Ortodossia, abbiamo proclamato che “…La Chiesa Ortodossa non ha bisogno né di fanatismo né di intolleranza per auto proteggersi. Chiunque crede che l’Ortodossia abbia la verità, non teme il dialogo, perché mai la verità è messa in pericolo dal dialogo. Al contrario, quando tutti oggi tentano di superare le proprie diversità attraverso il dialogo, l’Ortodossia non può procedere con intolleranza e fanatismo. Abbiate piena fiducia nella vostra Madre Chiesa. Essa ha preservato in modo inalterato nei secoli l’Ortodossia e l’ha trasmessa agli altri popoli. E anche oggi essa si sforza in condizioni difficili di conservare l’Ortodossia vitale e venerabile attraverso tutto il mondo…” (Domenica dell’Ortodossia 2010).
Il nostro ruolo patriarcale si è espresso in quattro assiomi principali: 1) Unità visibile della Chiesa Ortodossa; 2) Dialogo e collaborazione con tutte le Chiese Cristiane; 3) Dialogo e collaborazioni con le fedi del mondo e principalmente con Ebraismo e Islam; 3) Giustizia, Pace, Unità della Famiglia Umana e Salvaguardia del Creato.
1) Unità visibile della Chiesa Ortodossa.
Fin dalla nostra ascesa al Trono Ecumenico, abbiamo riunito diverse Sinassi dei Primati delle Chiese Ortodosse, per regolare temi di comune interesse, risolvere incomprensioni per una comune testimonianza nel mondo. Il nostro ruolo di Patriarca Ecumenico, a dispetto di coloro che vorrebbero affibbiarci il titolo di Papa d’Oriente, e secondo i canoni della Chiesa, non è mai stato percepito come un modello secolare di espansionismo, ma è propriamente spirituale e di servizio alla Chiesa. Per questo abbiamo sostenuto e operato per la riuscita delle Conferenze e Commissioni preparatorie del Grande Concilio, che – nonostante alcune defezioni per ambizione o per tentennamenti – si è tenuto nell’isola di Creta nel 2016. Il Santo e Grande Concilio della Chiesa Ortodossa, ha prodotto documenti importantissimi per la vita della Chiesa e dei Cristiani di oggi e ha aperto la strada a ulteriori approfondimenti su molti temi del mondo moderno.
Non ci spaventa oggi la posizione di alcune Chiese locali, critiche del nostro ruolo: ci spaventa maggiormente il loro supporto a una guerra ingiusta, come stiamo osservando purtroppo ancora in Ucraina e ci spaventa la riluttanza di altre Chiese a condannare questi atteggiamenti.
2) Dialogo e collaborazione con tutte le Chiese Cristiane.
Abbiamo voluto avere rapporti non solo di stima, ma di vera e fraterna amicizia con i Primati delle Chiese Cristiane. In modo particolare ricordiamo gli incontri con ben tre Papi e che per la prima volta nella storia, un Patriarca Ecumenico è stato presente alla intronizzazione del Vescovo di Roma, Papa Francesco, col quale ci accomuna l’impegno in tantissimi campi. I dialoghi teologici continuano, e anche difronte alle difficoltà, l’impegno continua imperterrito. Possiamo dire che la difficoltà del linguaggio teologico sia stato superato con le Antiche Chiese Orientali e ormai il dialogo sia quasi concluso. Con la Chiesa di Roma sono stati affrontati i maggiori temi e soprattutto si è riusciti a concludere la comprensione del ruolo del Vescovo di Roma nel Primo e nel Secondo Millennio. Anche con la Chiesa Vecchio-Cattolica e la Chiesa Anglicana e con le Chiese della Riforma i dialoghi proseguono e stanno portando ottimi frutti.
3) Dialogo e collaborazioni con le fedi del mondo e principalmente con Ebraismo e Islam.
Gli incontri con l’Islam sono ovviamente una costante dell’Ortodossia, fin dai tempi di San Giovanni di Damasco, visto che molte delle nostre Chiese vivono quotidianamente a contatto con i nostri fratelli e sorelle Mussulmani e anche con i fratelli e sorelle Ebrei. Crediamo che la nostra comune conoscenza e comprensione favorisca, non solamente la mutua tolleranza, ma la pacifica convivenza e collaborazione su molti temi dell’umanità. Quanto vediamo in questi giorni in Medio Oriente non ha nulla a che fare con la fede di questi popoli, ma troppo spesso la fede è stata assunta per giustificare fanatismo e integralismo che sfociano troppe volte nella violenza. Nessuno osi usare il nome di Dio per giustificare qualsiasi violenza.
3) Giustizia, Pace, Unità della Famiglia Umana e Salvaguardia del Creato.
È impensabile che la pace prevalga nel mondo se le religioni non assumono la regola d’ora della convivenza, richiamata nel Vangelo di Luca: “Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Lc. 6,31). Non c’è pace senza giustizia, e non c’è giustizia senza pace. Dobbiamo essere attenti ai bisogni dei più poveri che non significa mera assistenza ma comprendere le necessità dell’altro; l’unità della famiglia umana passa attraverso il rispetto di tutti gli aspetti della vita con la salvaguardia di ogni tradizione culturale, religiosa, artistica e sociale e nel rispetto della propria terra e tradizione. Per questo il nostro Patriarcato Ecumenico e noi personalmente promuoviamo e partecipiamo ad ogni iniziativa che ponga al centro della propria missione la pace, la giustizia e la solidarietà. Così in questi anni abbiamo anche sollecitato l’attenzione di tutta l’umanità per la salvaguardia dell’ambiente naturale, con tutto ciò che esso contiene, dono di Dio e che ci ha posti in esso come buoni economi e non avidi sfruttatori. La nostra non è una battaglia ecologica ma spirituale, in quanto ravvisiamo il peccato contro la Creazione “assai bella”. E siamo consolati che in questo cammino ci affianchi il nostro fratello Francesco e tanti altri Leader Cristiani e non.
​Amati Fratelli e Sorelle,
​Con questo spirito la Chiesa di Costantinopoli nei secoli e noi personalmente anche oggi proseguiamo nel dialogo sincero e pieno d’amore per camminare sempre più profondamente nella relazione tra i Cristiani ancora separati. Dobbiamo proclamare a ogni credente e ad ogni persona di buona volontà, che il dialogo arricchisce e non toglie nulla. Solo così potremo bandire fanatismi e conflitti, perché siamo convinti che “la pace di Dio sorpassa ogni intelligenza” (Fil. 4,7), come anche che “la carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine.” (1 Cor. 13, 4-8).
​La pace e l’amore del Signore scendano su tutti voi.
Grazie dell’attenzione.
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