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Sinassario | 5 luglio 2024

Ιούλ 4, 2024 | Συναξάρι

05.07: memoria del nostro venerabile PADRE TEOFORO ATANASIO l’ATHONITA                  

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Questo astro brillante dei Santi Padri nasce verso l’anno 930, a Trebisonda (nel Ponto), da nobili genitori e gli fu dato il nome di Abramo al Santo Battesimo. Restò orfano di padre e madre poco dopo la sua nascita, e venne preso da una parente di sua madre, moglie di uno dei personaggi più in vista di Trebisonda. Bambino, non si dedicava ai giochi turbolenti ma conduceva i suoi compagni nella foresta o presso una grotta e giocava al ruolo di egumeno. I suoi rapidi progressi nello studio destavano l’ammirazione dei suoi conoscenti e, appena divenne adolescente, fu notato da un funzionario imperiale in missione in città, che lo prese in simpatia e lo condusse con lui a Costantinopoli. Ospitato nella casa dello stratega Zephinezer [1], egli proseguì i suoi studi sotto la direzione di un maestro illustre, Atanasio, e fu ben presto nominato professore malgrado la sua giovane età. La sua applicazione alle Lettere, non gli faceva tuttavia trascurare la vita ascetica, che egli amava fin dall’infanzia e dimostrandosi monaco prima ancora dell’ora e lottando prima ancora nell’arena. Egli fuggiva la ricca tavola del generale e scambiava le vettovaglie che lui (il generale) gli faceva pervenire con due servitori, con un pane d’orzo che mangiava ogni due giorni. Egli non si sdraiava per dormire e lottava contro il sonno bagnandosi il viso con acqua fredda. Quanto agli abiti, egli li distribuiva ai poveri e quando non aveva niente da donare, egli si ritirava in un angolo per spogliarsi dei suoi stessi abiti. Gli allievi accorrevano da ogni parte per vedere Abraamios e altri disertavano le lezioni del suo maestro, non solo a causa della sua scienza e della sua capacità d’insegnamento, ma soprattutto in ragione della sua affabilità, della sua vita santa e del suo aspetto divino. L’imperatore Costantino VIII Porfirogenito lo trasferisce in un altro istituto, ma poiché i discepoli si attaccano a lui più fortemente che l’edera alla quercia, per non essere causa di scandalo e di rivalità verso il suo antico maestro, Abraamios, che considera l’amore come un’onta, decide di rinunciare alla carriera professionale e con lei a tutte le preoccupazioni del secolo,

di ritorno a Costantinopoli dopo un soggiorno di tre anni nella regione del Mar Egeo, in compagnia dello stratega Zephinerez, costui gli fa fare conoscenza di un suo parente, San Michele Meleinos (12 luglio), egumeno della Lavra del Monte Kiminas (in Bitinia a sud-est di Nicea), che era ben conosciuto da tutti gli uomini di nobili condizioni. Conquistato da questo uomo divino, il ragazzo gli rivela il suo desiderio di abbracciare la vita monastica. Verso la fine di questo colloquio, si presenta a San Michele, suo nipote, Niceforo Focà, allora stratega degli Anatolici, che si lega subito da grande affetto, misto ad ammirazione, ad Abraamios. Quest’ultimo, avendo trovato il padre spirituale che il suo cuore desiderava, seguì Michele al Monte Kiminas, dove ricevette rapidamente il piccolo abito con il nome di Atanasio. L’anziano, avendo compreso che il suo giovane e ardente discepolo era già avanti nelle pratiche ascetiche, e desiderando fare di lui un soldato di Gesù Cristo plasmato nell’obbedienza, gli rifiuta l’autorizzazione di mangiare una volta a settimana ma solo ogni tre giorni e gli ordina di dormire su una stuoia e non su una sedia come aveva abitudine.

Atanasio, che aveva ricevuto gli incarichi di copista e sacrestano, si sottometteva a tutto ciò che faceva contrariare la sua volontà, così bene che i suoi fratelli meravigliati lo soprannominarono << figlio dell’obbedienza>>. Egli mostrò un tale zelo che in meno di quattro anni, ottenne la purezza dell’intelletto e gratificato da Dio con i premi della contemplazione, fu giudicato degno di addentrarsi nella strada dell’esichia. Michele gli permise di ritirarsi in una piccola cella eremitica ad un miglio circa dal monastero, di nutrirsi di pane secco e acqua, ogni due giorni, e di trascorrevi la notte intera nella veglia. È in questo eremitaggio che Niceforo Focà, in visita a Kiminas, va a trovarlo e gli svela la sua intenzione di divenire monaco in sua compagnia, appena le circostanze glielo avessero permesso.

Poco dopo, avendo lasciato intendere San Michele ai suoi più vicini che Atanasio sarebbe diventato suo erede nella guida e nella direzione delle anime, alcuni monaci, credendo che egli volesse fare di lui il suo successore nell’egumenato, cominciarono ad andare a importunare il giovane asceta con le loro adulazioni. Bruciato dall’amore per l’esichia e respingendo tutto l’onore, il santo scelse una volta per tutte la fuga e, non portando con sé che i suoi abiti, due libri e lo scuffo del suo padre spirituale, andò direttamente al Monte Athos che egli aveva ammirato dopo l’isola di Lemno, al tempo del suo soggiorno nel Mar Egeo e dove non vivevano che eremiti che abitavano in capanne di rami secchi e foglie che, lontani da ogni preoccupazione non possedevano altro e non lavoravano che la terra. Dopo aver ammirato il loro modo di vita in una breve visita, egli si mise sotto la direzione di un anziano molto semplice che, risiedeva nella parte nord della penisola, il Zygas, facendosi passare per un marinaio vittima, di un naufragio di nome Barnaba; e per eliminare ogni dubbio circa la sua origine, finse di essere illetterato e incapace di conoscere lo stesso alfabeto.

Dopo poco tempo, Niceforo Focà che aveva ricevuto il titolo di domestikos delle skolai, fece ricercare dappertutto Attanasio. Egli scrisse perfino al giudice di Salonicco, chiedendo di indagare sul Monte Athos. Costui si rivolge al Protos che gli risponde di ignorare la presenza di un tale monaco. Il giorno della Natività, al momento della vigilia che vede riuniti tutti gli Aghioriti nella modesta chiesa del Protaton a Karyes, il Protos riconobbe nella nobiltà del portamento del giovane Barnaba, il monaco che gli era stato descritto e gli ordinò di leggere l’omelia di san Gregorio il Teologo. Atanasio cominciò a sillabare come un bambino, ma, avendogli il Protos ordinato di leggere <>, non potendo più simulare, si mise a leggere in tale maniera che tutti i monaci presi d’ammirazione si prostrarono avanti a lui. Il più in vista tra essi, Paolo di Xyropotamo (28 luglio), predisse che colui che era venuto presso di loro sulla Santa Montagna li avrebbe anticipati nel Regno a Dio, e che tutti i monaci si sarebbero messi sotto la sua direzione. Il Protos prende Atanasio in disparte e, avendo appreso tutta la verità, gli promise di non tradirlo e gli assegnò una cella solitaria a tre miglia da Karyes, dove egli avrebbe potuto conversare senza distrazioni solo con Dio. Il santo provvedeva ai suoi bisogni trascrivendo dei libri e mostrò una tale destrezza in quella attività, da ricopiare in una scrittura elegante e curata, un Salterio a settimana.

La lampada non poteva tuttavia rimanere molto tempo nascosta sulla Santa Montagna, e quando il fratello di Niceforo, Leone Focà, andò in pellegrinaggio sull’Athos per rendere grazie a Dio dopo una campagna vittoriosa contro i barbari, riuscì a scoprire Atanasio. I monaci aghioriti, constatando che Atanasio era sì caro a personaggi di così alto grado, gli chiesero di intercedere presso Leone, perché la chiesa del Protaton fosse ricostruita e ingrandita. Egli fu subito accontentato e, dopo ave preso congedo dal suo potente amico, ritornò nella sua solitudine. Ma, poiché i monaci andavano senza interruzione a chiedergli consiglio, egli si diede di nuovo alla fuga, nella quiete dell’esichia e si ritirò sul capo sud della Santa Montagna, in un luogo deserto, battuto dai venti, Melana. Lì egli venne duramente provato dal demonio, che scatenò contro l’asceta tutte le sue macchinazioni, e soprattutto la guerra della <>, prova distintiva degli eremiti. Il nemico gli procurava una tale aridità spirituale, che giunto quasi al completo scoraggiamento, Atanasio desiderò lasciare quel luogo; ma in un supremo sforzo, decise tuttavia di portare pazienza fino alla fine dell’anno. Arrivato all’ultimo giorno, allorché si preparava a lasciare Melana, non avendo trovato sollievo nella prova,una luce celeste lo penetrò improvvisamente, colmandolo di una gioia ineffabile e procurandogli il dono delle lacrime, che egli versava da allora, senza interruzione, fino alla fine dei suoi giorni; è per questo che tale luogo gli diventò tanto caro quanto gli era stato precedentemente insopportabile. Nel frattempo, Niceforo Focà, che aveva ricevuto il comando di tutta l’armata bizantina per liberare Creta dagli Arabi, che saccheggiavano tutte le coste con i loro atti di pirateria, inviò dei messaggeri nei centri monastici del tempo, e particolarmente all’Athos, poiché aveva appreso da suo fratello che Atanasio si trovava lì, chiedendo che gli venissero mandati dei monaci capaci di aiutarlo per mezzo delle loro preghiere. I Padri della Santa Montagna riuscirono a vincere le resistenze dell’amante dell’esichia, ricordandogli che moti monaci si trovavano prigionieri degli Arabi, e Atanasio arrivò a Creta in compagna di un anziano, poco dopo l’eclatante vittoria di Niceforo (961). Preso dalla gioia di ritrovare il suo padre spirituale, costui gli conferma di avere sempre l’intenzione di ritirarsi dal mondo, e lo supplica di iniziare la costruzione di un monastero presso il suo eremitaggio per abitarvi entrambi. L’uomo di Dio, valutando che lavorare per la propria salvezza fosse un onere già abbastanza pesante, e fuggendo ogni occasione di preoccupazione e di distrazione, rifiutò questo incarico e ripartì per l’Athos. Niceforo inviò al suo seguito, uno dei suoi (uomini) vicini, Metodio, che diventerà in seguito egumeno di Kiminas, e quest’ultimo riuscì a convincere Atanasio ad iniziare la costruzione. Con l’oro offerto da Niceforo si poté rapidamente costruire un oratorio dedicato al Precursore, con delle celle eremitiche dedicate ad Atanasio e Niceforo [2] e, alla partenza di Metodio, si ricominciò la costruzione di una grande chiesa dedicata alla Madre di Dio e della Lavra [3], detta <>,nel punto esatto dove Atanasio era stato liberato dall’akedia grazie alla visione della luce divina . Atanasio avendo scacciato con la preghiera un demonio che aveva tormentato gli operai, costoro, costoro decisero di diventare monaci e furono tonsurati dal Santo che, prima di accettarli come discepoli, andò a ricevere il grande abito dalle mani di un eremita dei paraggi, Isaia. Quell’anno (962-963) una terribile carestia colpì tutto l’impero, cosicché il rifornimento di tutta la Lavra si trovò interrotto. Atanasio, avendo deciso di andare a chiedere consiglio agli anziani di Karyes, incontrò nel cammino la Madre di Dio, che fece zampillare avanti a lui una sorgente d’acqua abbondante [4], e gli raccomandò di non preoccuparsi, poiché avrebbe assunto Ella stessa, per il resto del tempo, l’incarico di Economa [5] del monastero. E allorché il santo rientrò al monastero, la Tutta-Santa gli mostrò le riserve piene. Per la grazia di Dio e le preghiere del santo, i lavori avanzavano rapidamente, malgrado le grandi difficoltà dovute a questo luogo scosceso, pieno di sassi e di densi cespugli. Alla chiesa, munita di due cori in forma di croce [6], si aggiunse un refettorio [7], un alloggio, un ospedale munito di un bagno, un acquedotto, un mulino e tutto ciò che era necessario alla vita di un grande monastero. Il numero dei monaci cresceva rapidamente e il santo badava all’organizzazione della comunità, regolando nei più piccoli dettagli, tanto gli uffici liturgici che le osservanze quotidiane, secondo il modello del monastero di Studion: di modo che tutto venisse portato a termine dignitosamente e in ordine, e che i monaci, spogliati da ogni avere e della volontà propria, potessero perseverare con un sol cuore e senza sosta nella glorificazione permanente di Dio. Per san Atanasio la vita comune consisteva nel << Guardare in comune lo scopo della vita, cioè la salvezza, e formare nella vita cenobitica un solo cuore e una sola volontà. Cosicché d’un comune desiderio tutta la fraternità non formi che un solo corpo costituito da molteplici membri [8]>>.

 

Tutto sembrava andare per il meglio, quando arrivò la notizia dell’incoronazione di Niceforo sul trono imperiale (963). Disarmato da quello che egli riteneva essere un tradimento, Atanasio, con il pretesto di andare a Costantinopoli, si imbarcò subito con tre discepoli. Ma appena allontanatosi dalla costa, inviò uno di essi presso il sovrano, portatore di una lettera annunciante le sue dimissioni, incaricò il secondo Teodoro, di portare questa notizia alla Lavra, e si diresse con il terzo, Antonio, verso l’isola di Cipro. Essi si presentarono al monastero dei Preti, dicendo si essere dei pellegrini che, avendo rinunciato a raggiungere la Terra Santa occupata dai Saraceni, chiedevano di vivere in ascesi nelle vicinanze. La gioia di Niceforo mentre accoglieva l’inviato del suo padre spirituale fu rapidamente appianata dalla lettura della lettera, ed egli fece subito cercare Atanasio. Nel frattempo, la Lavra, privata del suo padre, decadde rapidamente, e i monaci orfani non poterono trovare né consolazione né armonia.

Quando i due fuggitivi appresero che l’egumeno era stato informato che l’imperatore ricercava i due monaci corrispondenti alla loro descrizione, essi presero la fuga. Avendoli i venti respinti sul litorale del’Asia Minore, presso la Atalia, Atanasio ebbe una rivelazione che gli rivelava la situazione penosa in cui si trovava la Lavra, e gli annunciava che era destinata sotto la sua direzione, ad un brillante avvenire. Egli non aveva ancora deciso di prendere la via del ritorno, quando grazie ad una coincidenza provvidenziale, incontrarono Teodoto, che si era messo in viaggio verso Cipro al fine di trovare il santo e informarlo su quale fosse la situazione all’Athos. Al suo ritorno al monastero, Atanasio, fi ricevuto dai suoi monaci come Cristo che entra a Gerusalemme, e la Lavra riprese rapidamente vita. Egli si recò poco dopo a Costantinopoli. L’imperatore Niceforo, confuso, non osò riceverlo con la pompa abituale ed è vestito semplicemente che prese in disparte il santo, nella sua camera, per porgergli le sue scuse e incitarlo a portare pazienza fino a che le circostanze non gli avrebbero permesso di mantenere le sue promesse. Atanasio, avendo ricevuto da Dio la rivelazione che Niceforo andava a morire sul trono, l’esortò alla giustizia e alla mansuetudine, poi prese congedo, munito di un crisobolla che accordava alla Lavra il titolo di monastero imperiale, con una rendita annua considerevole, e gli concedeva il monastero di San Andrea di Peristerà, nella regione di Salonicco, come dipendenza (Metochion [9]). Di ritorno dall’Athos il santo riprese la direzione dei lavori. Nel corso della sistemazione del porto, egli fu gravemente ferito al piede e dovette restare a letto per tre anni, ma egli trasse profitto da questa immobilità per dedicarsi di più a Dio e alla direzione spirituale dei fratelli.

Alla morte di Niceforo Focà, assassinato da G. Tzimiskis che salì allora sul trono (969-976), siccome il nuovo sovrano si trovava fortemente maldisposto verso il santo a causa dell’attaccamento al suo predecessore, alcuni eremiti athoniti, uomini semplici ed attaccati alla loro forma antica di vita, accusarono san Atanasio di trasformare la Santa Montagna in un luogo mondano grazie alle sue costruzioni, alle sue piantagioni e all’impianto di un grande monastero. L’imperatore convocò Atanasio a Costantinopoli, ma il santo esercitò su di lui una così grande impressione che Tzimiskis cambiò completamente nei suoi riguardi e gli accordò con una crisobolla una rendita doppia alla precedente. Poi egli inviò all’Athos Eutimio di Studion con il compito di mettere pace al conflitto provocato dal diavolo e di dare alla Santa Montagna la sua prima organizzazione ufficiale [10] (972). Da questo momento si videro monasteri cenobitici rimpiazzare le capanne [11], e gli eremiti riconciliati con i cenobiti scambiarsi i propri beni: gli uni offrivano ai cenobiti il loro impegno delle’esichia e della preghiera continua, mentre gli altri procuravano agli eremiti l’ordine e l’armonia sotto la direzione dell’egumeno, sistemato al centro della comunità come immagine di Cristo.

Si videro eremiti abbandonare il loro deserto, egumeni rinunciare al loro monastero e perfino vescovi dare dimissione, per andare a mettersi sotto la direzione di Atanasio. I discepoli accorrevano all’Athos dall’Italia, dalla Calabria, da Amalfi [12], dall’Iberia [13] e dall’Armenia. E degli asceti di fama, come il benemerito Niceforo il Nudo [14], preferivano rinunciare alle loro austerità, per godere dell’egumenato del santo egumeno e trovare la perfezione nell’ascesi dell’umiltà e della sottomissione. La preghiera del santo era così potente contro i demoni che quest’ultimi circondavano invisibilmente la Santa Montagna, senza poter colpire i suoi monaci, ma essi continuavano non di meno ad attaccare Atanasio stesso. Un giorno, essi suggerirono ad un monaco negligente, che era infastidito dalla tensione ascetica de santo di attentare alla sua vita. Egli si presentò di notte alla porta della cella dell’egumeno, ma poiché Atanasio uscì e lo rimproverò paternamente, l’infelice lasciò cadere il suo ferro e, caduto ai piedi del santo, confessò il suo funesto disegno. Il santo lo perdonò subito e gli dimostrò da allora un più grande affetto che a tutti gli altri suoi discepoli.

Facendo il tutto per tutti, monaci del cenobio, asceti dei dintorni o pellegrini venuti da ogni part per trovare alla Lavra la guarigione dell’anima e del corpo, san Attanasio non cessava nel frattempo il suo intrattenimento permanente con Dio nonché i suoi combattimenti ascetici. In periodo di digiuno egli non mangiava niente tutta la settimana, e in tempo ordinario il suo regime era quello dei monaci sottomessi alle più severe penitenze. Quando egli assisteva al pranzo, distribuiva la sua parte, senza che se ne rendesse conto, egli non mangiava altro che l’antidoron distribuito alla fine della Liturgia. Tutto il tempo che egli non trascorreva nell’insegnamento o nella confessione dei suoi discepoli, lo consacrava alla preghiera, sempre segnata di lacrime, e il suo fazzoletto, che era sempre fradicio, guariva a più riprese i malati., capo e guida, in autorità che non soffriva alcuna contestazione, agli si faceva a immagine di Cristo, il servitore di ciascuno, e dava una attenzione particolare ai malati, assumendo egli stesso gli incarichi che ripugnavano agli altri monaci. Egli considerava come i lebbrosi il più grande tesoro della Lavra e li affidava ai suoi discepoli più esperti. Quando uno dei monaci moriva, il santo si avvicinava al corpo effondendo in lacrime, non tanto singhiozzi d’emozione, ma piuttosto lacrime d’intercessione per l’anima del defunto e, rialzandosi, il viso illuminato come fuoco, egli rendeva gloria a Dio per avergli accettato il suo discepolo in sacrificio gradevole.

La comunità, in un primo tempo limitata a ventiquattro monaci dall’imperatore, fu portata al numero di centoventi verso la fine della vita di Atanasio e poi non cessò di aumentare [15]. Il santo rimaneva nel frattempo per ciascuno un padre. Egli incoraggiava i suoi monaci al il lavoro manuale per evitare l’ozio, madre di tutti i vizi e mostrava l’esempio intromettendosi con loro nei lavori più faticosi che però non erano mai privati del canto dei salmi e del sale della Parola divina. Egli insegnava che lo scopo della vita monastica, nel cenobio, era il medesimo di quello degli eremiti: <> (dal Typikon). Un giorno, il monaco Gerasimo, si recò in un kellion dove il santo si era ritirato, e vide il suo viso ardente come una fornace. Egli indietreggiò dapprima, spaventato, e quando si avvicinò di nuovo, lo vide radioso e circondato da un’orbita angelica. Quando lanciò un grido che tradì la sua presenza, Atanasio gli fece giurare di non rivelare a nessuno ciò che aveva visto.

Questa familiarità acquistata con Dio, procurò al santo una divina saggezza, necessaria tanto nella direzione della comunità che nella correzione degli errori dei suoi monaci. Quando imponeva una penitenza a dei fratelli, vi si sottometteva lui stesso e, nonostante egli avesse in pubblico un atteggiamento austero e magistrale quando si trovava con i suoi discepoli, in privato o per un lavoro esterno, era sempre molto semplice, allegro e di una grande dolcezza.

Egli guariva numerosi malati, dopo aver avuto cura di applicar loro delle piante medicinali per nascondere la potenza della sua preghiera. E molti di quelli che andavano da lui a confessare qualche passione persistente, come la collera o l’invidia, si ne andavano liberati, dopo che il santo li aveva toccati con il suo bastone pastorale dicendo:<< Vai in pace, tu non soffri più di alcun male!>>. Per accontentare i bisogni della comunità intraprese l’ingrandimento della chiesa e, andando i lavori avanti rapidamente grazie alle donazioni imperiali e ai doni degli amici di Cristo, non restò altro che la cupola da terminare. Il santo che aveva ricevuto da Dio la rivelazione della sua fine, dopo aver esortato i suoi discepoli in un’ultima catechesi, indossati i suoi paramenti solenni, si cinse dello scuffo di San Michele Meleinos, che non indossava se non nelle grandi occasioni, salì sull’impalcatura per ispezionare i lavori (5 luglio 1001). Improvvisamente la cupola crollò, trascinando il santo e sei altri monaci che l’accompagnavano. Cinque di loro morirono sul colpo, solo Atanasio e il muratore Daniele rimasero vivi, bloccati sotto le macerie. Per tre ore, si poté udire la voce del santo mormorare:<< Gloria a Te o Dio, Signore Gesù Cristo vieni in mio aiuto!>>. Quando i monaci accorsi riuscirono a liberarlo, lo trovarono morto, le mani incrociate sul petto non avendo altro che una piccola ferita alla gamba. Il suo corpo restò incorrotto e come addormentato per tre giorni, finché tutti gli aghioriti, nel numero di tremila circa, si riunirono per celebrare i funerali del loro Padre e Patriarca. Dalla sua ferita scolò allora del sangue fresco che ci si affrettò a raccogliere e che compì numerose guarigioni. In seguito, San Attanasio non cessò d’intervenire miracolosamente per coloro che andarono a venerare la sua tomba, davanti alla quale brucia perennemente una lampada ad olio. Quando la Grande Lavra celebrò il ritorno alla sa vita cenobitica, il 5 luglio 1981, dopo dei secoli passati all’idioritmia, un liquido profumato trasudò sulle superfici del vetro che proteggeva l’icona posta sulla tomba, manifestando la grande contentezza del santo.

 

Note:

 

1) Quest’ultimo era parente di Focà e di Meleino. Suo figlio aveva sposato la cugina e amica d’infanzia d’Attanasio.

2) Questo kellion esiste tuttora a circa cinque minuti da Lavra.

3) Nominata Lavra, in ricordo dei grandi monasteri eremiti di un tempo, la costruzione fu improvvisamente destinata ad essere un monastero cenobitico.

4) Sopra l’attuale posizione dell’acqua santa di san Attanasio. Questo episodio non appare nella vita ma è stato trasmesso dalla tradizione orale.

5) È perciò, che ancora oggi, non c’è l’economo a Lavra, ma solo un sotto-economo, e si venera l’icona della Madre di Dio Ekonomissa.

6) È la prima chiesa di questo tipo, detta athonita, che si diffonderà in seguito in tutto l’impero.

7) Con ventuno tavoli in marmo di un solo pezzo, che esistono tuttora a Lavra, come numerosi oggetti dell’epoca del santo, in particolare il suo bastone pastorale e la pesante croce di ferro che egli portava.

8) Tipikon di San Attanasio.

9) Questo monastero era stato fondato nel secolo precedente da san Eutimio il Giovane (15 ottobre). Secondo taluni, è G. Tzimiskis che fece dono di questo monastero alla Grande Lavra.

10) L’atto chiamato Tragos, sottoscritto dall’imperatore, Attanasio e cinquantasette egumeni, che sancisce questa missione è conservato a Karyes. Esso non è mostrato, in presenza della Santa Comunità, se non in rare occasioni.

11) È allora che furono fondati i monasteri di vatopedi, Iviron e Dochiariou.

12) Il monastero degli Amalfitani, il più importante dei tre monasteri italiani conosciuti all’Athos e che seguiva probabilmente la regola di san Benedetto, restò in attività fino al XIII secolo.

13) Vita dei Santi Giovanni e Eutimio (13 maggio), Attanasio aveva un tale affetto per Giovanni l’Ibero che lo designa nel suo testamento come <> della Grande Lavra, incaricato di sorvegliare la disciplina monastica e di sorvegliare la nomina dell’egumeno, giacché si doleva di aver vanamente cercato un successore. Essendo deceduto san Giovanni alla morte del santo, suo figlio san Eutimio fu nominato epitrope, ma non poté svolgere normalmente questo incarico, a causa dei dissenzi tra Greci e Georgiani che erano compagni a Iviron. I due monasteri hanno tuttavia sempre intrattenuto relazioni privilegiate, e ogni anno è l’egumeno di Iviron che presiede alla festa di san Attanasio.

14) È in seguito ad una rivelazione avuta da san Fantino che essi partirono insieme dalla Calabria (30 agosto). Alla sua morte il corpo di San Niceforo lascia colare del myron. Egli non è menzionato dal sinassario, ma in ogni caso è ben distinto da San Niceforo menzionato il 4 maggio.

15) Ne conterà settecento nell’XI secolo.

 

 

  • 05.07: memoria del nostro venerando padre Niceforo il Nudo

Archimandrita Antonio Scordino

Tra i monaci costretti ad abbandonare l’Italia Meridionale a causa delle invasioni, va annoverato san Niceforo il Nudo, uno tra i primi compagni di sant’Atanasio di Trapezunte, fondatore della Grande Laura al Monte Athos. Su di lui si hanno pochissime notizie: viveva nudo sulle aspre vette dell’Appennino calabro-lucano (ma possedeva manoscritti di pregio, ora in possesso del convento uniate di Grottaferrata), quando si unì a san Fantino il Nuovo. Seguì Fantino a Tessalonica e, alla sua morte, si ritirò all’Athos, chiamato dall’amicizia con sant’Atanasio e con san Paolo (fondatore del Monastero di Xiropòtamo). All’Athos Niceforo si adattò poco a poco alle esigenze della vita cenobitica, e acconsentì a coprire le sue nudità con un panno fatto di peli di capra intrecciati; mantenne tuttavia il suo rigido regime alimentare: una zuppa di crusca era il suo unico pasto quotidiano. Quando si addormentò nel Signore [nell’eremo di Glossìa?], egli era stato del tutto divinizzato dalle increate Energie: infatti fu subito venerato come santo mirovlìta perché dalle sue ossa stillava un odoroso unguento.

  • 05.07: Ss. STEFANO e SOCRATE di Reggio

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Del primo vescovo di Reggio si è conservato il ricordo che si chiamasse Stefano, e che fosse sepolto in un Martyrion a sud-est della città, a circa un miglio dal centro, insieme a san Socrate (che potrebbe essere stato diacono o corepiscopo o successore di Stefano).

La memoria di Stefano è riportata dal Sinassario Delahaye (Synaxaria Selecta pag. 800,52 e 804,37 ).

Lo stesso giorno è menzionata la memoria della Dedicazione della Chiesa di San Stefano Metropolita di Reggio. Secondo il Codice 53 del Monastero Vlatèon (Βλατέων )

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