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Sinassario | 20 novembre 2024

Νοέ 19, 2024 | Συναξάρι

  • Memoria del nostro santo Padre GREGORIO il DECAPOLITA

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

San Gregorio nacque alla fine dell’VIII sec. in una delle città della Decapoli di Isauria, chiamata Irenopolis. Grazie alla pietà e alle cure di sua madre, il ragazzo ricevette una educazione elementare sufficiente e, all’età di otto anni, mostrò una netta preferenza per lo studio delle Sante Lettere e la frequentazione della Chiesa. Egli si applicava con assiduità al digiuno e alla pratica di tutte le virtù per riprodurre in lui fedelmente l’immagine stessa di Cristo. Arrivato all’età adulta, i suoi genitori cercarono di sposarlo, ma, desiderando preservare la sua verginità per offrirla al Signore, Gregorio fuggì in segreto dalla casa familiare e andò in un monastero dove era egumeno un vescovo esiliato a causa della persecuzione iconoclasta. Qualche tempo più tardi, dopo la morte di suo padre, sua madre finì per ritrovarlo. Ella non si oppose alla sua vocazione, ma gli chiese solo di raggiungere suo fratello, che era monaco in un monastero vicino. Gregorio obbedì, ma non poté rimanere in questo monastero, poiché l’egumeno era eretico. Egli andò allora in un altro monastero, di cui l’egumeno, Simeone, era uno dei suoi parenti e vi dimorò quattordici anni brillando in tutte le virtù della vita comune, in particolare l’obbedienza e l’umiltà.
Poiché Gregorio era avido di una vita più solitaria, ottenne dal suo egumeno l’autorizzazione a ritirarsi in una grotta dei dintorni per consacrarsi senza interruzione alla preghiera, solo avanti a Dio solo. Là affrontò numerose e terribili prove da parte dei demoni, gelosi della sua famigliarità con Dio. Costoro prendevano la forma di serpenti o di animali velenosi per terrificarlo e lo spingevano a lasciare il suo ritiro. Ma il santo, armato del segno della Croce e della speranza in Dio, rideva di tutte le loro macchinazioni e non si lasciava turbare nella preghiera. Dopo avergli dato altre tentazioni per fargli paura, i demoni lo attaccarono attraverso le spire del desiderio carnale. Gregorio resistette con ardenti suppliche mescolate a lacrime e fu un giorno miracolosamente liberato da questa tentazione in seguito ad una visione. Egli acquistò allora l’impassibilità della carne e progredì di giorno in giorno verso l’impassibilità più perfetta ancora che è una imitazione della perfezione divina.
Un giorno che era seduto, raccolto in se stesso, nella sua grotta, entrò in estasi ed una meravigliosa luce venuta dal cielo accompagnata da un soave odore, riempì la grotta e vi rimase per più giorni. Il santo, trasportato in Paradiso, nello stato che conosceranno gli eletti al momento della Resurrezione generale, perse ogni nozione del tempo e quando il suo discepolo andò per servirlo, dopo quattro giorni, a lui sembrò che fosse trascorso solo un’ora dall’arrivo di questa luce. Tuttavia, pieno di prudenza e istruito dall’esperienza dei padri sulle derisioni del demone che sa << trasformarsi in angelo di luce >>, Gregorio chiese consiglio all’egumeno del monastero per sapere se questa visione veniva realmente da Dio. Costui lo rassicurò e lo esortò a proseguire i suoi combattimenti ascetici per rendere degnamente grazie a Dio.
Così illuminato dalla luce divina, Gregorio fu ben presto inviato dal Signore nel mondo, perché risplendesse agli occhi degli uomini la luce delle sue virtù e la fermezza del suo insegnamento ortodosso. Egli andò ad Efeso, per trovare una nave per Costantinopoli, dove voleva andare per confondere gli eretici iconoclasti. Ma poté raggiungere solo le isole dei Principi, dove, malgrado il divieto formale a chiunque di ricevere i monaci confessori delle sante icone, fu accolto nella casa di un povero uomo. Impossibilitato ad entrare nella capitale, partì per la città di Enos (Tracia) e da lì arrivò a Tessalonica, dopo essere sfuggito ad una banda di briganti slavi. Arrivato poi a Corinto per via terra, si imbarcò e raggiunse Reggio in Calabria. Dei fedeli vollero dargli dei soldi, ma discernendo che era stato malguadagnato il santo lo rifiutò e continuò il suo cammino verso Roma. Lì restò tre mesi, sconosciuto a tutti, in una cella isolata ma, dopo aver scacciato un demone ad un posseduto, fu ben presto assalito dalla folla che lo venerava come un santo. Egli fuggì allora verso Siracusa, dove si chiuse in una torre abbandonata per trovare la quiete. I demoni lo assalirono con numerose tentazioni, ma Gregorio li scacciava sempre con la sua preghiera. Egli convertì pure una prostituta che praticava la sua triste professione nelle vicinanze e la convinse a diventare monaca e trasformare la sua casa di malcostume in un monastero. Egli compì anche altri miracoli, in particolare contro i demoni, ancora una volta attirò a lui le folle contro la sua volontà. Perciò prese ancora una volta la strada dell’esilio volontario per fuggire la gloria degli uomini. Egli non poté restare ad Otranto, poiché il vescovo era diventato eretico, per cui si imbarcò per Tessalonica. Si installò nella chiesa abbandonata di San Minà e non si preoccupò di più niente di terrestre. Quando aveva fame, usciva e riceveva l’ospitalità di qualche vicino. Dopo qualche tempo accettò dei discepoli e compì un gran numero di miracoli grazie al dono di chiaroveggenza che Dio gli aveva accordato.
Verso la fine della sua vita, fu gravemente colpito dalla malattia dei calcoli, ma supplicò Dio di accordargli piuttosto qualche idropsia e fu esaudito. Trasfigurato dalla malattia ma felice di soffrire per il Signore, poté infine andare a Costantinopoli e soggiornare qualche tempo al monte Olimpo in Bitinia, baluardo della vita monastica e della difesa dell’ortodossia. Di ritorno a Bisanzio, incontrò in prigione san Simeone, suo padre spirituale, che aveva affrontato numerose persecuzioni per la difesa delle sante icone. Tormentato ancora per un anno dalla malattia, san Gregorio predisse dodici giorni prima il momento del suo trapasso e si addormentò in pace nell’842, poco prima del ristabilirsi definitivo dell’Ortodossia. San Gregorio nacque alla fine dell’VIII sec. in una delle città della Decapoli di Isauria, chiamata Irenopolis. Grazie alla pietà e alle cure di sua madre, il ragazzo ricevette una educazione elementare sufficiente e, all’età di otto anni, mostrò una netta preferenza per lo studio delle Sante Lettere e la frequentazione della Chiesa. Egli si applicava con assiduità al digiuno e alla pratica di tutte le virtù per riprodurre in lui fedelmente l’immagine stessa di Cristo. Arrivato all’età adulta, i suoi genitori cercarono di sposarlo, ma, desiderando preservare la sua verginità per offrirla al Signore, Gregorio fuggì in segreto dalla casa familiare e andò in un monastero dove era egumeno un vescovo esiliato a causa della persecuzione iconoclasta. Qualche tempo più tardi, dopo la morte di suo padre, sua madre finì per ritrovarlo. Ella non si oppose alla sua vocazione, ma gli chiese solo di raggiungere suo fratello, che era monaco in un monastero vicino. Gregorio obbedì, ma non poté rimanere in questo monastero, poiché l’egumeno era eretico. Egli andò allora in un altro monastero, di cui l’egumeno, Simeone, era uno dei suoi parenti e vi dimorò quattordici anni brillando in tutte le virtù della vita comune, in particolare l’obbedienza e l’umiltà.
Poiché Gregorio era avido di una vita più solitaria, ottenne dal suo egumeno l’autorizzazione a ritirarsi in una grotta dei dintorni per consacrarsi senza interruzione alla preghiera, solo avanti a Dio solo. Là affrontò numerose e terribili prove da parte dei demoni, gelosi della sua famigliarità con Dio. Costoro prendevano la forma di serpenti o di animali velenosi per terrificarlo e lo spingevano a lasciare il suo ritiro. Ma il santo, armato del segno della Croce e della speranza in Dio, rideva di tutte le loro macchinazioni e non si lasciava turbare nella preghiera. Dopo avergli dato altre tentazioni per fargli paura, i demoni lo attaccarono attraverso le spire del desiderio carnale. Gregorio resistette con ardenti suppliche mescolate a lacrime e fu un giorno miracolosamente liberato da questa tentazione in seguito ad una visione. Egli acquistò allora l’impassibilità della carne e progredì di giorno in giorno verso l’impassibilità più perfetta ancora che è una imitazione della perfezione divina.
Un giorno che era seduto, raccolto in se stesso, nella sua grotta, entrò in estasi ed una meravigliosa luce venuta dal cielo accompagnata da un soave odore, riempì la grotta e vi rimase per più giorni. Il santo, trasportato in Paradiso, nello stato che conosceranno gli eletti al momento della Resurrezione generale, perse ogni nozione del tempo e quando il suo discepolo andò per servirlo, dopo quattro giorni, a lui sembrò che fosse trascorso solo un’ora dall’arrivo di questa luce. Tuttavia, pieno di prudenza e istruito dall’esperienza dei padri sulle derisioni del demone che sa << trasformarsi in angelo di luce >>, Gregorio chiese consiglio all’egumeno del monastero per sapere se questa visione veniva realmente da Dio. Costui lo rassicurò e lo esortò a proseguire i suoi combattimenti ascetici per rendere degnamente grazie a Dio.
Così illuminato dalla luce divina, Gregorio fu ben presto inviato dal Signore nel mondo, perché risplendesse agli occhi degli uomini la luce delle sue virtù e la fermezza del suo insegnamento ortodosso. Egli andò ad Efeso, per trovare una nave per Costantinopoli, dove voleva andare per confondere gli eretici iconoclasti. Ma poté raggiungere solo le isole dei Principi, dove, malgrado il divieto formale a chiunque di ricevere i monaci confessori delle sante icone, fu accolto nella casa di un povero uomo. Impossibilitato ad entrare nella capitale, partì per la città di Enos (Tracia) e da lì arrivò a Tessalonica, dopo essere sfuggito ad una banda di briganti slavi. Arrivato poi a Corinto per via terra, si imbarcò e raggiunse Reggio in Calabria. Dei fedeli vollero dargli dei soldi, ma discernendo che era stato malguadagnato il santo lo rifiutò e continuò il suo cammino verso Roma. Lì restò tre mesi, sconosciuto a tutti, in una cella isolata ma, dopo aver scacciato un demone ad un posseduto, fu ben presto assalito dalla folla che lo venerava come un santo. Egli fuggì allora verso Siracusa, dove si chiuse in una torre abbandonata per trovare la quiete. I demoni lo assalirono con numerose tentazioni, ma Gregorio li scacciava sempre con la sua preghiera. Egli convertì pure una prostituta che praticava la sua triste professione nelle vicinanze e la convinse a diventare monaca e trasformare la sua casa di malcostume in un monastero. Egli compì anche altri miracoli, in particolare contro i demoni, ancora una volta attirò a lui le folle contro la sua volontà. Perciò prese ancora una volta la strada dell’esilio volontario per fuggire la gloria degli uomini. Egli non poté restare ad Otranto, poiché il vescovo era diventato eretico, per cui si imbarcò per Tessalonica. Si installò nella chiesa abbandonata di San Minà e non si preoccupò di più niente di terrestre. Quando aveva fame, usciva e riceveva l’ospitalità di qualche vicino. Dopo qualche tempo accettò dei discepoli e compì un gran numero di miracoli grazie al dono di chiaroveggenza che Dio gli aveva accordato.
Verso la fine della sua vita, fu gravemente colpito dalla malattia dei calcoli, ma supplicò Dio di accordargli piuttosto qualche idropsia e fu esaudito. Trasfigurato dalla malattia ma felice di soffrire per il Signore, poté infine andare a Costantinopoli e soggiornare qualche tempo al monte Olimpo in Bitinia, baluardo della vita monastica e della difesa dell’ortodossia. Di ritorno a Bisanzio, incontrò in prigione san Simeone, suo padre spirituale, che aveva affrontato numerose persecuzioni per la difesa delle sante icone. Tormentato ancora per un anno dalla malattia, san Gregorio predisse dodici giorni prima il momento del suo trapasso e si addormentò in pace nell’842, poco prima del ristabilirsi definitivo dell’Ortodossia.

  • Memoria del nostro venerando padre Cipriano il Medico

Archimandrita Antonio Scordino

Egli nacque attorno al 1140 nella grande città di Reggio, da genitori nobili e ricchi i quali, da fanciullo, lo affidarono a diversi maestri. Da costoro fu condotto alle vette della Scrittura divina; dal padre, medico, ma più ancora dalla Grazia del Santo Spirito, apprese la scienza della medicina. Con il permesso dei suoi genitori, dopo avere rinunciato alle ricchezze, al nome e alle proprietà a favore dei fratelli, seguì Cristo e si recò nel Monastero del Salvatore di Messina; si presentò al suo igumeno e gli chiese di giudicarlo degno di accoglierlo e di indossare l’abito monastico. Questi, sapendo da tempo chi fosse e da dove venisse, riconoscendo la pietà e la condizione del giovane, lo accolse ben volentieri. Dopo averlo guidato e istruito, gli tagliò i capelli e lo enumerò tra i fratelli: in seguito ricevette tutti gli ordini sacri. Avendo vissuto a lungo nella stessa fraternità, fu preso dall’irresistibile desiderio di tornare dalle sue parti per dedicarsi a Dio in solitudine e allontanarsi dagli scandali che si possono verificare in un cenobio. Presentatosi al Superiore, gli manifestò la volontà di vivere in solitudine e lo trovò incline e d’accordo con le sue parole: in spirito quegli vide che Cipriano si avviava all’esicasmo.
Da Messina, Cipriano si trasferì quindi in una proprietà di famiglia, detta Pavlìana, oggi Pavigliana, nella quale c’era un tempio bellissimo e famoso, dedicato a santa Paraskevì. Lì si dedicava alle virtù utili all’anima e si guadagnava con il proprio lavoro il pane della giornata. La sua fama si diffuse ovunque e molti afflitti da malattie fisiche e spirituali che si recavano da lui non restavano delusi nelle loro speranze perché egli, profondo conoscitore della scienza di entrambi le malattie, a tutti dispensava con abbondanza la cura senza farsi pagare. Non pochi, grazie ai suoi insegnamenti, abbandonarono la vita mondana e decisero di vivere con lui, facendosi tagliare i capelli dalle sue preziose mani.
Intanto, parte da questa vita l’igumeno Paolo del Monastero di San Nicola dei Calamizzi, e suo successore fu eletto Cipriano. Designato all’incarico non dagli uomini ma dall’alto, con premura e impegno insegnò in modo divino tutto ciò che era gradito a Dio e utile alla vita monastica, presentandosi a tutti come copia, modello e regola perfetta.
Mentre si impegnava bene in tutte queste cose, molto si logorava e soffriva per il suo gregge. La situazione illegale di quel tempo, spingeva i Latini a ridurre a male le cose del monastero, ma l’uomo di Dio non si stancava di ammonire, supplicare, esortare a temere Dio e smettere di trattare ingiustamente la Chiesa ortodossa. E si placarono nel fare il male; anzi alcuni dei Latini si fecero familiari della Chiesa e fratelli del monastero.
Dopo essere vissuto sempre bene e giunto a grande vecchiaia, per grazia del Santissimo Spirito conobbe la sua partenza verso Dio. Pur essendo senza forze per la vecchiaia e pur avendo il piede destro paralizzato tanto che non poteva fare nemmeno un passo senza il bastone (il grande odio di Satana lo aveva fatto precipitare da un carro e gli aveva maciullato un piede), prese due fratelli e, salito su una carrozza, si recò in tutti i metochia del monastero. In ciascuno si fermò un giorno, per consigliare e istradare i fratelli che c’erano lì, dettando le ultime volontà. Infine, dando a tutti il perdono, chiedeva il loro perdono: quelli gli concedevano il perdono, abbracciandolo e baciandogli le mani e i piedi, senza che essi capissero perché. Dopo avere fatto questo in tutti i metochia, tornò al monastero, si ammalò subito e si addormentò nel sonno dei giusti, attorno all’anno 1240, insegnando a tutti, ammaestrando tutti, perdonando tutti.

  • Memoria di San Proclo, Arcivescovo di Costantinopoli

a cura di Joseph Giovanni Fumusa

Le fonti sui primi anni della vita di San Proclo sono quasi inesistenti, tanto che non se ne conosce nemmeno l’anno di nascita. Tuttavia, si sa che fin da giovane era dedito allo studio delle Scritture e alla preghiera e che fu ordinato lettore quando era molto giovane.
Fu discepolo di San Giovanni Crisostomo, il quale lo ordinò dapprima diacono e presbitero poi; alcune fonti, tuttavia, riportano che il santo sia stato ordinato dall’Arcivescovo di Costantinopoli Attico I, di cui Proclo era segretario.
Nel 425, Sisinnio I succedette ad Attico sul trono arcivescovile di Costantinopoli e, qualche tempo dopo, ordinò San Proclo vescovo della città di Cizico, in Misia. Era l’era dell’eresia nestoriana e in quella città era stato eletto un vescovo nestoriano prima dell’arrivo di San Proclo; per questo motivo, il vescovo Proclo fece ritorno a Costantinopoli, dove predicò l’Ortodossia e denunciò l’eresia nestoriana anche dopo l’elezione di Nestorio ad Arcivescovo di Costantinopoli. Proprio a questo periodo risale una famosa omelia sull’Incarnazione, in cui San Proclo difese il titolo di Theotokos, che fu in seguito inserita negli atti del Concilio di Efeso, con cui fu deposto Nestorio.
Nel 434, dopo la morte del successore di Nestorio, l’Arcivescovo Massimiano, San Proclo fu elevato al trono arcivescovile di Costantinopoli. Due anni dopo, ricevette dei vescovi armeni che erano giunti per sostenere le tesi di Teodoro, vescovo siro di Mopsuestia; in risposta, scrisse una lettera nota come Tomo di Proclo (o Tomo agli armeni) in cui condannò le opinioni di Teodoro di Mospuetsia come fondamenta su cui si era basata l’eresia nestoriana, pur senza mai citare una sola volta il vescovo siro.
Qualche anno dopo, fece traslare a Costantinopoli le reliquie di San Giovanni Crisostomo, che era stato il suo mentore in gioventù. In quel periodo, la capitale dell’Impero fu scossa da uno sciame sismico durato svariati mesi; a questo stesso periodo risale l’entrata in uso del Trisagion. Sull’origine di questa preghiera, la tradizione narra che durante un officio di preghiere un giovane fu rapito verso il cielo e, una volta tornato con i piedi per terra, narrò di aver visto e udito gli angeli cantare “Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale”. Il popolo cominciò subito a pregare allo stesso modo, aggiungendo “Abbi misericordia di noi!”.
San Proclo si riposò nel Signore nell’anno 446, dopo averLo servito per dodici anni come Arcivescovo di Costantinopoli, ricoprendo questo incarico come un pastore saggio e conciliatorio e saldo nella fede ortodossa.

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