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Sinassario | 24 settembre 2024

Set 23, 2024 | Sinassario

  • Memoria della santa protomartire e uguale agli Apostoli TECLA

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Santa Tecla era originaria della città di Iconio (Asia Minore). Ella era la figlia di una ricca pagana di nome Teoclia. All’età di diciotto anni era fidanzata ad un giovane di nome Tamiris, che l’amava di un amore ardente. Fu a quest’epoca che, discendendo da Antiochia, san Paolo fu accolto a Iconio nella casa di Onesiforo, vicino di Tecla e insegnava notte e giorno la parola di Dio.

A tutti coloro che l’ascoltavano on grande gioia diceva: << Beati quelli il cui cuore è puro, perché essi vedranno Dio. Beati quelli che guardano la castità nella loro carne, perché essi saranno il tempio di Dio. Beati quelli che hanno rinunciato a questo mondo, poiché saranno gradevoli a Dio. Beati quelli che temono la parola di Dio, perché saranno consolati. Beati quelli che abbracceranno la saggezza di Gesù Cristo, perché saranno chiamati figli dell’Altissimo. Beati quelli che hanno ricevuto il Battesimo, perché troveranno riposo presso il Padre. Beati quelli che hanno compreso la scienza di Gesù Cristo, perché saranno nella luce. Beati quelli che hanno rigettato l’esteriorità del mondo per amore di Dio, poiché si uniranno agli angeli e saranno glorificati alla destra del Padre. Beati i corpi delle vergini, perché la parola del Padre sarà per essi opera di salvezza al Giorno di Suo Figlio e godranno il riposo nell’eternità dell’eternità >>.

Al colmo della gioia e affascinata da queste parole celesti, Tecla fu condotta alla fede ascoltando Paolo nascosta dietro ad una finestra che non lasciò per tre giorni. Ma Teoclia e Tamiris erano in grande agitazione vedendo Tecla così dimentica di ciò che è terrestre per attaccarsi alle parole di questo straniero che insegnava ad allontanarsi dal matrimonio. Tutta la città era ugualmente allarmata, perciò si imprigionò Paolo e lo si condusse avanti al governatore. Costui ordinò di incatenarlo e condurlo in prigione. Dopo aver donato i suoi bracciali ai guardiani, Tecla andò di notte a trovare Paolo in prigione, per apprendere le grandezze di Dio, seduta ai suoi piedi e baciando le sue catene.

Quando si scoprì Tecla così incatenata dall’amore divino presso Paolo, si fecero comparire ambedue avanti al governatore. Poiché ella non rispondeva alle domande del governatore, sua madre stessa gridò: << Bruciate questa nemica del matrimonio avanti all’anfiteatro, cosicché tutte le donne, istruite da questo esempio, siano spaventate >>. Il governatore, contro la sua volontà e sotto la pressione della folla, fece flagellare Paolo, lo cacciò fuori dalla città, e condannò Tecla ad essere bruciata viva. Mentre la si conduceva nuda al luogo del supplizio e mentre in grande agitazione i ragazzi e le ragazze raccoglievano la legna per bruciarla, Tecla vide il Signore sui tratti di Paolo, che la riempiva di una forza divina, guardandola. Armandosi del segno di croce, salì sul ceppo ma benché la fiamma ardesse alta, il fuoco non la toccò e, commosso dal suo amore, Dio inviò una forte pioggia che spense il fuoco e inondò l’anfiteatro. Condotta da Dio, Tecla ritrovò Paolo, che si nascondeva in un buco in prossimità della città con Onesiforo e i suoi. Essi partirono insieme per Antiochia ma appena entrati in città , un notabile di nome Alessandro, colpito dalla bellezza di Tecla, si invaghì furiosamente della ragazza e si precipitò ad aspettarla in piena piazza pubblica. Ella si difese, gli strappò la camicia, strappò la corona dalla sua testa e lo rese ridicolo. Per vendicarsi, la liberò al governatore che la condannò alle bestie. Data in pasto ad un leone feroce, questo leccò i piedi di Tecla, come per rendere omaggio alla sua verginità. L’indomani fu liberata a numerose belve, ma queste non la poterono toccare poiché la giovane era protetta da un leone. Vedendo una grande fossa piena d’acqua, preparata per un nuovo supplizio, Tecla gridò: << È arrivato il momento di ricevere il bagno di rigenerazione! >>. Ella vi si gettò dicendo: << Nel nome di Gesù Cristo mi battezzo nel mio ultimo giorno >>. Tutta la folla acclamò convinta che le foche avrebbero divorato tanta bellezza. Nel momento in cui ella entrò nell’acqua, un fulmine colpì le bestie che rimasero morte e una nuvola di fuoco coprì la nudità della sposa di Cristo. Venne liberata allora ad altre bestie più feroci, ma le donne della città, scandalizzate per l’ingiustizia della condanna, alzarono grandi grida e, alcune gettarono aromi, altri profumi, altri frutti, altri elemosine di modo che il teatro fu riempito di profumi e gli animali presi da sonnolenza, non toccarono la santa. Si attaccò allora Tecla tra le zampe di due tori, a cui si applicarono dei ferri infiammati per renderli più furiosi. Essi saltellarono ma la fiamma, estendendosi in cerchio, bruciò le corde e lasciò la santa come se non fosse stata legata. Constatando che nessuna delle loro macchinazioni poteva niente contro la serva di Dio, il governatore e Alessandro le resero la libertà.

Dopo essersi riposata qualche giorno presso Trifanio, una ricca dama della città che l’aveva presa come figlia adottiva dall’inizio delle sue tribolazioni, Tecla, desiderosa solo di ritrovare Paolo, partì per Mira. Da là ella ritornò con lui ad Iconio per proclamare le meraviglie di Dio. Ella trovò Tamiris morto e sua madre ostinata a rimanere sorda al messaggio di salvezza. Perciò partì per Seleucia, dove dimorò per settantadue anni praticando l’ascesi in una grotta situata nei dintorni della città, nella montagna di Calamon. Ella iniziò violenti combattimenti contro i demoni e si fece conoscere da tutti per i numerosi miracoli che compiva. Gelosi dei suoi successi, i medici pagani della città inviarono dei giovani di malaffare per corromperla. Ma, per la provvidenza divina, ella entrò nella roccia e si infilò sotto terra.

Si racconta che sarebbe andata a Roma per cercare Paolo, ma che lo avrebbe trovato morto. Ella sarebbe rimasta lì per qualche tempo e si sarebbe addormentata in pace, sepolta a due o tre metri circa dal suo maestro.

  • Memoria di del miracolo della Madre di Dio avvenuto nell’isola di Cytera, quando fra i mirti venne rinvenuta un’icona della Tutta Santa che rialzò un paralitico

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

L’icona della Santissima Deipara “del Mirto” ( Myrtidiotissa – Μυρτιδιώτισσα ) si trova nella chiesa del Monastero di Myrtides, nell’isola di Cytera. Prende tale denominazione poiché fu ritrovata nel quattordicesimo secolo presso un cespuglio di mirto.

In quel tempo, un pastore stava pascendo le sue pecore in una brulla valle piena di mirto. Il 24 settembre, quaranta giorni dopo la Dormizione, la Madre di Dio gli apparve e gli disse di cercare la sua icona che era stata portata lì molti anni prima.

Il pastore, attonito si buttò a terra, pregando la Madre di Dio. Non appena si alzò e si voltò, vide un’icona fra i rami di un cespuglio di mirto. Piangendo di gioia, portò l’icona in casa e disse ad amici e ai parenti di come l’avesse trovata.

Quando si svegliò la mattina successiva, il pastore vide che l’icona non c’era più, e pensò che qualcuno gliela avesse rubata di notte. Con cuore pesante condusse le pecore nel luogo del ritrovamento. Con suo grande stupore, vide l’icona di nuovo tra i rami del cespuglio di mirto. Glorificando Dio, il pastore prese con sè ancora una volta l’icona. Il giorno successivo scomparve come aveva già fatto. Alla terza volta, il pastore capì che la Made di Dio voleva che l’icona rimanesse dove era apparsa per la prima volta.

Una piccola chiesa fu costruita per ospitare l’icona e fu chiamata “del mirto”. L’edificio negli anni fu rimaneggiato ed ingrandito e molti miracoli vi ebbero luogo.

Alla fine del sedicesimo secolo, Theodoros Koumprianos, un discendente del pastore che trovò l’icona, viveva nel villaggio di Kousoumaris, era paralitico ed aveva una fede incrollabile che la Madre di Dio lo avrebbe guarito. Ogni anno il 24 di settembre mandava un familiare ad accendere candele per lui. Un anno chiese alla sua famiglia di essere trasportato per venerare di persona l’icona. Durante la veglia, si sentì una grande rumore provenire dal mare. Le persone lasciarono la chiesa, temendo un’incursione dei pirati. Il paralitico di sua sponte rimase in chiesa, chiedendo protezione alla Madre di Dio. Improvvisamente sentì una voce provenire dall’icona che gli diceva di alzarsi e di correre. Si alzò e uscì dalla chiesa, presto fu in grado di correre e

di raggiungere i suoi parenti che si rallegrarono di vedere questo miracolo. Si scoprì che non c’era nessuna attacco dei pirati e si ricollegò il rumore ad un segno della Provvidenza di Dio affinché il paralitico potesse rimanere in chiesa da solo con l’icona. Da quel momento la famiglia Koumprianos celebrò la festa dell’icona con particolare devozione dal momento che Theodoros era stato guarito in quel giorno.

Alcuni degli altri miracoli associati alla Santissima Deipara e alla sua icona ” del Mirto” includono la protezione dell’sola dalla peste, la fine della sterilità di una donna ebrea d’Alessandria, la salvezza delle persone dalla morte ed altri grandi miracoli.

I pellegrini vengono a venerare l’icona il giorno della Dormizione (15 agosto) ed nel giorno del suo ritrovamento (24 settembre)        

  • Memoria di San Silvano dell’Athos

Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli

San Silvano l’Atonita divenne noto prima ancora di essere santificato dalla Chiesa ortodossa grazie alla sua biografia “L’anziano Silvano dell’Athos”, magnificamente scritta dall’Archimandrita Sofronio Sacharov, igumeno del Monastero del Venerabile Precursore nell’Essex, in Inghilterra, lui stesso vissuto per molto tempo sull’Athos. Secondo Sofronio, San Silvano lottò spiritualmente sul Monte Athos per 46 anni interi, in particolare nel monastero di San Panteleimon. Nacque nel 1866 nel villaggio di Sevok, Lembendiasch, in Russia, e il suo nome secolare era Symeon Ivanovich Antonov. In Russia divenne carpentiere. Venne sul Monte Athos nel 1892 e si dedicò completamente all’ascesi e alla preghiera. Nel 1911 divenne monaco del grande abito e fu adornato di molte sacre virtù ed era tutto pieno di luce divina. Nel 1915 uscì brevemente dal Monte Athos e visitò i monasteri della sua terra natale. Si addormentò il 24 settembre 1938. Il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico ha recentemente riconosciuto ufficialmente la sua santità.

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