- Memoria del nostro santo Padre ILARIONE il GRANDE
a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria
Sant’Ilarione nacque in Palestina, nel 293, nel villaggio di Tabata, non lontano da Gaza. I suoi genitori pagani lo inviarono ad apprendere le lettere umane ad Alessandria, questa fu per lui l’occasione per entrare in contatto con i cristiani e di scoprire la dottrina sublime dell’Evangelo, che ha reso folle la saggezza del mondo. Avendo sentito parlare di san Antonio, di cui la fama risplendeva in tutto l’Egitto, Ilarione si mise in rotta per il deserto, al fine di rendergli visita. Alla vista della vita angelica che Antonio conduceva, decise di restare con lui insieme agli altri discepoli del Padre dei monaci. Ma poiché le folle che accorrevano verso il deserto per ricevere la benedizione del santo impedivano ad Antonio di dedicarsi alla preghiera silenziosa, decise di partire verso le aspre solitudini del deserto interno. Dopo aver donato ad Ilarione la sua tunica di crine ed il suo mantello di pelle, inviò il giovane ragazzo che allora aveva quindici anni, a praticare l’ascesi con qualche compagno nel deserto situato presso Maiuma nella regione di Gaza. Ilarione partì audacemente ad ingaggiare la lotta contro i demoni abitando questa incredibile solitudine dove non vi era nulla e da tempo e da tempo non era attraversata da nessuno se non da bande di briganti. Egli iniziò lì a ridurre il suo corpo in schiavitù e a spegnere gli ardori della giovinezza attraverso digiuno severo: egli non mangiava che quindici fichi al giorno, dopo il calar del sole. Durante la giornata, pregava e cantava senza sosta i salmi lavorando il suolo arido, affinché la fatica del lavoro si aggiunsero a quella del digiuno, senza produrre niente che potesse essere e trascinarlo nella tentazione dell’avarizia. Il demone così attaccato nella propria dimora da un ragazzo, passò all’assalto, come aveva fatto con san Antonio. Gli apparve sotto forma di bestia selvaggia. Ma tutto ciò era inutile, poiché il giovane ragazzo respingeva i suoi assalti con il segno di Croce e prendeva lui stesso l’iniziativa al combattimento deridendo l’impotenza del Maligno.
Dall’età di 16 anni fino all’età di 20, non ebbe alta casa che una capanna di giunchi e di erbe paludose. Egli si costruì in seguito una cella così bassa che sembrava un sepolcro anziché una casa. Si coricava sulla terra dura non si lavava e non si tagliava i capelli se non una volta l’anno, il giorno di Pasqua. Egli non si levò mai il sacco di pelle che gli aveva donato san Antonio e non cambiò la sua tunica se non quando cadde a pezzi. Egli conosceva tutte le Sante Scritture con il cuore che recitava a voce alta tenendosi con timore, come se Dio fosse presente avanti ai suoi occhi. Dall’età di 21 anni a quella di 27 mangiò ogni giorno solo un po’ di lenticchie bagnate nell’acqua fredda per tre anni. Da 27 a 30 anni visse solo di erbe selvatiche, da trenta a trentacinque anni di pane di orzo ed un po’ di erbe cotte senza olio. Ma essendosi ammalato e la sua vista diminuita, aggiunse un po’ d’olio al suo menù e continuò così fino all’età dei 63 anni. Vedendo il suo corpo indebolirsi e credendo prossima la sua morte, non mangiò altro che pane fino alla fine dei suoi giorni, raddoppiando così il fervore, come un giovane novizio, proprio in quella età in cui altri sono abituati a diminuire le loro austerità. Egli continuò così la sua maniera di vivere fino alla sua morte, senza mangiare mai prima che il sole fosse calato e non rompendo mai il suo digiuno né i giorni di festa né nelle sue più grandi malattie.
Queste fatiche sovrumane che sant’Ilarione intraprese per amore di Dio aprirono non solo il suo cuore a ricevere la contemplazione dei misteri celesti, ma la grazia ricoprì il suo corpo e gli diede il potere di compiere miracoli per la consolazione dei fedeli. Egli guarì i malati e liberò un gran numero di posseduti da spiriti impuri. Allorché non aveva ancora ventidue anni, essendo la sua reputazione già famosa in tutta la Palestina nonché in Egitto ed in Siria, accorrevano verso di lui a fiotti e numerosi erano coloro che gli chiedevano di abbracciare la vita angelica a fianco a lui, poiché fino ad allora la vita monastica non era ancora apparsa in Palestina ed in Siria. Fu così che Ilarione diede per queste regioni ciò che san Antonio era per l’Egitto. Egli restava in relazione epistolare con il grande Antonio il quale, quando mandava a lui dei malati provenienti da quelle regioni diceva loro: << Perché vi date la pena di venire così da lontano? Voi avete laggiù il mio figlio Ilarione! >>. Coloro che abbracciarono la vita solitaria e si stabilirono nelle celle attorno a sant’Ilarione raggiunsero ben presto il numero di duemila. Tutti lo riconoscevano come loro Padre e guida e una volta l’anno, all’epoca della vendemmia, Ilarione partiva per visitare tutti i suoi monasteri. Egli portava la sussistenza per tutto l’anno e prendeva l’occasione per riunire la folla dei suoi discepoli.
Arrivato all’età di 63 anni, la moltitudine dei fratelli riuniti sotto la sua benedizione e le folle di malati e di fedeli, che accorrevano senza sosta da ogni parte verso il suo ritiro, non gli lasciavano più neanche un istante di respiro per dedicarsi alla contemplazione nel silenzio. Così, fu con lacrime abbondanti che si ricordò dei suoi primi anni passati nell’ascesi, sconosciuto a tutti ma, arrivato il giorno, più di diecimila persone volevano seguirlo ovunque egli andasse al fine di non perdere la grazia che era legata alla sua persona. Egli li convinse ad andare via e prese con lui solo quaranta discepoli capaci di sopportare il lungo viaggio a piedi digiunando tutto il giorno. Poiché aveva appreso della morte di san Antonio, Ilarione si diresse verso l’Egitto, per venerare i luoghi che erano stati santificati dal soggiorno del santo. È con lacrime abbondanti che visitò e si prostrò avanti a tutti i luoghi e gli oggetti che san Antonio aveva toccato. All’uscita dal deserto di san Antonio, Ilarione partì alla ricerca di solitudine ma, ovunque andasse, dal deserto ad Alessandria, spandeva attorno a lui la grazia, i miracoli e le guarigioni tanto forte che accorrevano le folle e la sua fama lo precedeva ovunque andasse, senza lasciargli riposo.
Durante i tre anni di tirannia di Giuliano l’Apostata (360-363), il monastero di sant’Ilarione a Gaza fu distrutto ed i suoi monaci dispersi, così il santo decise di trovare rifugio in Libia. Da lì, partì per la Sicilia, pensando di trovare la solitudine in quelle regioni dove era sconosciuto. Ma, costretto dal suo amore per gli uomini, scacciò di nuovo i demoni, guarì i malati attirando così a lui le folle. Egli fuggì ancora e andò in un borgo di Dalmazia, regione ancora abitata dai barbari. Ma anche là, mise a morte una bestia mostruosa che impauriva gli abitanti e li convertì al Cristianesimo. Prese la fuga di notte per sfuggire gli onori e si imbarcò su un vascello che navigava verso l’isola di Cipro. Appena arrivato sull’isola, i posseduti si misero a gridare annunciando con panico che Ilarione, il servitore di Gesù Cristo, era arrivato sull’isola per scacciarli e ciò lo costrinse a trovare un uovo rifugio. Perciò andò in un luogo disabitato dell’isola e si installò in una grotta inaccessibile, situata in cima ad una montagna a strapiombo. Egli visse là cinque anni, visitato solo ogni tanto dal suo discepolo Esichio, che veniva a portargli notizie dalla Palestina. Arrivato all’età di 60 anni con il corpo estremamente indebolito dall’austerità sostenuta, Ilarione fece i preparativi per la sua partenza e rimise attorno a lui i pochi discepoli che avevano potuto raggiungere la sua dimora. Mentre era disteso, con il corpo quasi morto, teneva gli occhi aperti dicendo: << Esci anima mia, che temi? Esci, di cosa hai paura? Tu hai servito Gesù Cristo per settanta anni e ora temi la morte? >>. Dicendo queste parole, rese la sua anima a Dio e fu subito sepolto dai suoi discepoli, conformemente alle sue istruzioni, al fine di non ricevere gli onori della sepoltura dei santi. Qualche tempo più tardi, Esichio andò a prendere il corpo del santo e lo trasportò in Palestina, perché fosse venerato dalla moltitudine dei suoi discepoli.
21.10: Memoria di Sant’Asterio martire ad Ostia sotto Alessandro Severo (232)
Santo Asterio, uno dei 44 presbiteri ordinati da papa Callisto (Eusebio, Historia Ecclesiastica, VI, 43) sei giorni dopo l’ordinazione fu fatto precipitare per ordine di Alessandro Severo dal ponte Sublicio. Il corpo sarebbe stato rinvenuto ad Ostia ed ivi seppellito il XII giorno prima delle calende di novembre, cioè il 21 ottobre del 222, primo anno d’impero di Alessandro (Acta SS. Octobris, IX, Bruxelles 1858, p. 7 )
- San Filoteo l’Aghiorita
Il beato Filoteo nacque nel 1526 a Crisopoli in Macedonia, nei pressi della città di Kavala.
I suoi genitori provenivano dalla città di Elatìa, in una provincia dell’Asia Minore. Per paura dei musulmani, si trasferirono a Crisopoli, dove il padre morì poco dopo aver generato due figli. I bambini furono presi dai Turchi e, per il grande dolore, la madre Evdokia decise di chiudersi in un monastero femminile.
Ad un certo punto, però, nel giorno della festa di un altro monastero, maschile, incontrò i suoi due figli e con grande commozione ascoltò la storia della loro salvezza dalle labbra dell’igumeno. Il figlio Teofilo -questo era il suo nome di battesimo- mostrava un grande ardore e fu tonsurato monaco on il nome di Filoteo.
Poi, nel 1551, e all’età di 25 anni Teofilo andò sul Monte Athos e precisamente al Santo Monastero di Dionysiou, dove le sue lotte ascetiche divennero un esempio per molti fratelli.
Più tardi, cercando una maggiore esichia, sostenne di essersi ammalato e di aver perso l’udito, ritirandosi in una grotta all’esterno del monastero. Lì si rivelò come un asceta taumaturgo e un vincitore di demoni. Quando fu rivelato l’espediente cui era ricorso, fu costretto a cambiare il luogo di residenza. Nella nuova sistemazione acquisì tre discepoli. Dio, per i suoi sforzi, lo ha ricompensato con il dono della preveggenza.
Morì in pace all’età di 84 anni, nel 1610. Aveva ordinato ai suoi discepoli di non seppellire il suo corpo, di lasciarlo nella foresta. Il buon Dio, tuttavia, lo fece risplendere di luce: un monaco, da essa guidato, raccolse il suo capo e lo consegnò ai discepoli del beato.
Il capo è conservato fino ad oggi nel monastero di Petra, in Tessaglia, in una teca d’argento, ed è molto venerato dai fedeli. Parte della sacra reliquia del beato nel 1972 fu trasferita dal beato igumeno e archimandrita Gabriele dal monastero di Koroni al monastero di Dionysiou.
La vita del santo fu scritta dal monaco Daniele di Dionysiou, sulla base di un documento più antico, compilato dal monaco Agapios Landos nel 1802 e pubblicato settant’anni dopo a Venezia.