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Sinassario | 15 novembre 2024

Νοέ 14, 2024 | Συναξάρι

  • Il digiuno di Natale

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Il secondo più lungo periodo di digiuno dopo la Grande Quaresima è il digiuno di Natale, conosciuto nella lingua del nostro popolo ortodosso come saranda(i)mero, i quaranta giorni.
Anch’esso dura quaranta giorni, però non ha la stessa austerità del digiuno della Grande Quaresima. Inizia il 15 novembre e termina il 24 dicembre.
La festa della nascita nella carne del Signore nostro Gesù Cristo rappresenta la seconda grande festa Despotica del ciclo di feste cristiano.
Fino alla metà del IV sec. la Chiesa Orientale festeggiava insieme la nascita ed il battesimo di Cristo sotto il nome di Epifania nello stesso giorno, il 6 gennaio. Il Natale come festa separata, festeggiata il 25 dicembre è stata importata in Oriente dall’Occidente verso la fine del IV secolo.
San Giovanni Crisostomo è il primo che parla di Natale, << la cattedrale di tutte le feste >> e ci informa verso il 381 che << non sono ancora dieci anni che questo giorno è divenuto noto fra di noi >>.
Con la ripartizione di singole feste e la costituzione delle tre separate feste della Nascita il 25 dicembre, della Circoncisione il 1° di gennaio e del Battesimo il 6 gennaio, si venne a formare il cosiddetto Dodekaimeron, periodo di dodici giorni, l’intervallo festivo di tempo che va dal 25 dicembre al 6 gennaio. Così in un qualche modo si è salvaguardata l’unità delle due grandi feste della Nascita e del Battesimo del Signore.
La grande importanza che ha acquistato con il passar del tempo nella coscienza della Chiesa la nuova festa del Natale, la devozione del popolo e particolarmente dei monaci, hanno rappresentato le condizioni per l’introduzione anche di un digiuno che precede il Natale. Questo sicuramente ebbe un impatto anche sulla precostituita Grande Quaresima che precede la Pasqua.
Come la festa così anche il digiuno, come preparazione all’accoglienza della nascita del Salvatore, apparve inizialmente in Occidente, dove il digiuno veniva chiamato la “Quaresima di san Martino” in quanto iniziava il giorno di festa successivo dello stesso santo della Chiesa d’Occidente. Allo stesso modo è stato ripreso da noi, dove molti il digiuno lo chiamano “di san Filippo” poiché ovviamente inizia il giorno seguente la memoria del Santo. Le prime testimonianze storiche che abbiamo per il digiuno di Natale risalgono al V sec. per l’Occidente e al VI sec. per l’Oriente. Fra gli autori d’Oriente ne parlano Anastasio il Sinaita, il Patriarca di Costantinopoli Niceforo il Confessore, san Teodoro Studita ed il Patriarca d’Antiochia Teodoro Bàlsamon.
Il digiuno all’inizio, come appare, era di breve durata. Teodoro Bàlsamon che scrive verso il XII sec., quindi ci informa per quanto al suo tempo, perciò lo chiama eptaimeron (sette giorni). Però con l’influenza della Grande Quaresima, è stato esteso anch’esso a quaranta giorni senza assumere in tutti i giorni l’austerità del primo.

Come dobbiamo digiunare

Durante tutta la durata dei quaranta giorni non sono concessi la carne, i latticini e le uova. Invece, è permesso il consumo di pesce (e quindi anche di olio e vino) tutti i giorni ad eccezione, naturalmente, del mercoledì e del venerdì dall’inizio del digiuno fino al 17 dicembre. Il pesce è permesso anche durante la festa dell’Entrata al Tempio della Madre di Dio (21 novembre), a prescindere dal giorno in cui capita.
Dal 18 aprile fino al 24 dicembre, vigilia della festa, vi è licenza solo di olio e vino ad eccezione, ovviamente, dei giorni che cadono di mercoledì e di venerdì in cui si sosterrà un digiuno senza licenza di olio e vino. Altrettanto dovremo digiunare con cibi secchi ovvero non cucinati (in greco ξηροφαγία ) il primo giorno di digiuno, il 15 novembre, altrettanto il giorno di vigilia, 24 dicembre, ad eccezione se tali giorni capitano di sabato o di domenica in cui sarà concesso olio e vino.

Digiuno: astensione da ogni peccato

<< Altresì dobbiamo non solo rispettare la regola del digiuno che riguarda i cibi, ma dobbiamo desistere anche da ogni peccato, così quindi, così come digiuniamo nei confronti dello stomaco, dobbiamo digiunare nei confronti della lingua, sottraendoci dalla maldicenza, dalla bugia, dal vano parlare, dall’insultare, dalla collera e da ogni genere di peccato che commettiamo attraverso la lingua.
Altresì dobbiamo digiunare anche nei confronti degli occhi. Non guardiamo cose vane, futili. Non entriamo in confidenza attraverso gli occhi. Non osserviamo il prossimo con sfacciataggine. Dovremo anche preservare mani e piedi da ogni cosa malvagia.
Digiunando in questo modo un digiuno sarò gradito a Dio, evitando ogni genere di malizia >>.

Nota fuori testo:
Da sottolineare soprattutto che ogni fedele deve consultare il proprio padre spirituale e agire di conseguenza. Poiché ogni anima ha bisogno di un diverso farmaco, allo stesso modo di come il medico dà al malato diverse ricette mediche…

«Η νηστεία της Εκκλησίας», Αρχιμ. Συμεών Κούτσα Εκδ. Αποστολική Διακονία, σελ. 88-92

  • Riposo del benemerito staretz PAЇSSY VELITCKOVSKY

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

15 novembre • Riposo del benemerito staretz PAЇSSY VELITCKOVSKY [1].

Il nostro padre Paїssy nacque nel 1722 in seno ad una numerosa famiglia di un prete della città di Poltava, in Ucraina. Dolce, riservato, dotato di una grande capacità di raccoglimento e di una viva intelligenza, egli apprese molto presto a leggere e si immerse con passione nella lettura delle Scritture, delle vite dei santi monaci e degli scritti dei Padri della Chiesa, sull’ascesi e la compunzione. Inviato all’accademia ecclesiastica di Kiev per proseguire i suoi studi, fu profondamente deluso dall’insegnamento sterile, troppo influenzato dalla scolastica latina e dalla cultura pagana e dallo spettacolo del clero e dei monaci corrotti dalla ricchezza e lo spirito mondano. Dopo quattro anni abbandonò i suoi studi e partì alla ricerca di un padre spirituale e di un monastero dove poter vivere nello spogliamento, a imitazione della povertà di Cristo. Egli soggiornò in diversi monasteri, divenne rasoforo [2] sotto il nome di Platone, poi avendo sentire vantare il modello di vita che si conduceva nella scete di Maldo-Valachia (attuale Romania), dove si era rifugiato il meglio dei monaci russi scacciati dalla riforma di Pietro il Grande, andò lì on qualche compagno. Visse là qualche anno nella condizione ideale per la vita monastica, presso dei padri spirituali avanzati che seguivano fedelmente l’insegnamento dei santi Padri e mostrò le qualità di un discepolo esemplare: obbedienza assoluta, umiltà, amore per i fratelli, costanza e gioia nelle prove, zelo per la meditazione e la preghiera. Poiché i suoi superiori, alla vista dei suoi progressi, volevano farlo ordinare prete prima dell’età richiesta (trenta anni), temendo di venir meno a ciò che erano le prescrizioni della santa tradizione, egli lasciò il suo monastero per andare verso la fine delle sue aspirazioni: il Monte Athos.
Tuttavia, in ragione dell’occupazione turca, la situazione della Santa Montagna non era molto brillante: l’ignoranza regnava e gli uomini spirituali erano rari, tanto tra i monaci greci che tra gli slavi. Non avendo potuto trovare un padre spirituale malgrado le ricerche, Platone si installò da solo, vicino al monastero di Pantokrator, avendo come guida la Santa Scrittura, gli scritti dei Padri e la testimonianza della sua coscienza. Ridotto alla più estrema povertà, mangiava un giorno ogni due, lottando ogni giorno contro le tentazioni dello scoraggiamento, perseverava nella preghiera e nella meditazione degli scritti patristici. Dopo quattro anni di lotte, un anziano che aveva conosciuto in Romania, nel corso di una visita all’Athos, lo tonsurò monaco sotto il nome di Paїssy (Paїsios), consigliandogli di prendere con sé qualche compagno per sfuggire ai pericoli di una vita eremitica prematura. Poco tempo dopo, un giovane monaco rumeno, Bessarione, che come lui non aveva potuto trovare un padre spirituale, si presentò a lui chiedendogli in lacrime di riceverlo come discepolo. Paїssy, giudicandosi indegno d’insegnare, accettò di prenderlo con lui non come discepolo ma come fratello e compagno d’ascesi. Essi vissero così nell’obbedienza reciproca, avendo insieme una sola anima ed un sol cuore diretti verso Dio. Quando raggiunsero il numero di dodici, adottarono il modo di vita comunitario: poiché la vita cenobitica è l’immagine di vita dei santi Apostoli attorno al Signore e della Liturgia perpetua degli angeli attorno al Trono del Re celeste. Nel1758, Paїssy, che rifiutava sempre di considerarsi come loro maestro, cedette finalmente alle lacrime dei suoi compagni e divenne loro confessore. Malgrado le difficoltà materiali, la comunità cresceva senza sosta. Essi cambiarono dimora per la scete del Profeta Elia e da lì cercarono di ridare vita al monastero di Simon Petra, ma senza sosta continuavano le piraterie dei turchi per cui decisero di lasciare l’Athos per ritornare in Romania (1763).
Paїssy e i suoi settanta discepoli furono accolti con gioia dal Metropolita e il despota di Valachia che misero a loro disposizione il piccolo monastero del Santo Spirito a Dragomirna. Paїssy vi organizzò la vita comunitaria segnando gli usi athoniti e conformandosi scrupolosamente alle prescrizioni dei Santi Padri. Spogliato da ogni bene e da ogni attaccamento al mondo, rinunciando costantemente alla propria volontà, ciascuno teneva la coscienza a nudo avanti a Dio, avendo come mediatore il loro Padre comune, simbolo vivente del Cristo. L’obbedienza insegnava Paїssy, è la scala che conduce dalla terra al cielo, la via che conduce all’impassibilità. Tagliando la propria volontà nelle multiple occasioni procurate dalla vita comunitaria, con umiltà, pace e timor di Dio il monaco può mantenere continuamente il ricordo di Dio e invocare in segreto il santo Nome di Gesù; una volta rientrato nella sua cella, egli si dedica alla meditazione della Scrittura ed egli scritti ispirati dei Padri, alle prostrazioni con le lacrime, e soprattutto secondo le capacità di ognuno, a far discendere il proprio intelletto nelle profondità del cuore acquietato per invocarvi senza sosta il Nome di Cristo. Fu nella comunità del benemerito Paїssy che si adottò per la prima volta alle condizioni di vita cenobitica, il metodo della “preghiera interiore” [3] fino ad allora riservato agli eremiti ed agli esicasti. Nella chiesa gli offici erano perfettamente regolati, un coro cantava in slavo e l’altro rispondeva in rumeno. Ogni sera i monaci si confessavano al loro anziano, in modo da non << lasciare il sole tramontare sulla collera >> (Efes. 4,26) o il risentimento. Se tuttavia un fratello portava rancore ad un altro, gli era vietato d entrare in chiesa e anche di recitare il Padre Nostro.
Il benemerito Paїssy guidava la sua truppa senza sosta nutrendola in conoscenza con devozione negli scritti dei grandi maestri del monachesimo. Egli avvicinava i testi con tutto il rispetto, l’umiltà, l’amore di un discepolo per il suo padre spirituale. Poiché dopo Kiev aveva sofferto per l’insufficienza delle traduzioni slave, che rendevano sovente il testo incomprensibile e si era vanamente affaticato a comprarli, una volta all’Athos, cominciò ad apprendere il greco antico e iniziò con pazienza la comparazione di tutta una serie di copie degli scritti patristici nella loro lingua originale. A Dragomirna, egli lavorava senza sosta, con un ammirabile rispetto e un metodo di un perfetto rigore critico, alla correzione e, poco a poco, alla traduzione dal greco delle opere di numerosi Padri, come san Antonio, Esichio, Macario, Diadoco, Filoteo del Sinai, Teodoro Studita, Simeone il Nuovo Teologo, Gregorio il Sinaita e soprattutto san Isacco il Siro. Aiutato da un gruppo crescente di collaboratori, egli li correggeva senza sosta e li provava leggendoli e commentandoli alla comunità riunita: una sera in slavo e l’indomani in rumeno. 
In seguito alla guerra russo-turca (1774), la comunità dovette lasciare Dragomirna e partì per installarsi a Sekou; ma essendo il monastero strapieno, Paїssy dovette accettare a malincuore di dividere la sua famiglia spirituale ed andò ad installarsi con il maggior numero in un monastero vicino a Neamts (1779), centro di vita spirituale in Moldavia dopo il 14°sec. L’armata monastica raggiunse ben presto il numero di mille monaci: 700 a Neamts e 300 a Sekou, e, oltre le attività liturgiche e spirituali, vennero organizzate un insieme di attività di beneficenza dipendenti dal monastero. I visitatori venivano dalla Russia e da tutte le contrade dei Balcani per ammirare l’ordine, la pace, la carità mutuale, la devozione che vi regnavano e molti tra di loro restavano come monaci. Paїssy, assorbito sempre più dai suoi lavori di traduzione, era il padre attento di ogni figlio, riceveva senza distinzione tutti coloro che andavano a chiedere i suoi consigli e intratteneva una vasta corrispondenza con tutto il mondo slavo. Egli si addormentò in pace il 15 novembre 1794, un anno dopo la pubblicazione della prima traduzione slava della “Filocalia”, pubblicata in greco dieci anni prima da san Macario di Corinto (cf.7 aprile) e san Nicodemo Aghiorita (cf. 14 luglio), la quale era composta principalmente di traduzioni da molto tempo preparate da Paїssy e i suoi discepoli. Queste traduzioni e l’irradiazione della santità del benemerito staretz diffuse dai suoi discepoli in Russia furono all’origine di un vasto movimento di restaurazione della vita spirituale e del monachesimo tradizionale che durò fino alla Rivoluzione del 1917 [4].

Note:

1) Nonostante non sia ufficialmente canonizzato (eccetto dalla Chiesa Russa oltre frontiera) Paїssy è considerato santo dalla maggior parte dei fedeli ortodossi. Lo introduciamo qui per la grande importanza che ebbe nella storia del monachesimo slavo.

2) La terminologia è abbastanza confusa in questo campo. Bisogna distinguere la “Preghiera di Gesù” ( ευχὴ ) – la formula: Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore! – dalla “Preghiera interiore” ( νοερά προσευχὴ ), cioè l’attività costante di far scendere l’intelletto nel cuore per ripetere senza altro pensiero la preghiera o il Nome di Gesù. Da lì, con l’aiuto di Dio si è condotti alla “Preghiera del cuore” ( καρδιακὶ προσευχὴ ) che è lo stato stabile dell’intelletto fissato dalla Grazia senza distrazione nel cuore, con il sentimento costante della presenza intima del Signore. Ella corrisponde allo stato di purificazione e di liberazione dalle passioni e conduce verso la “Preghiera spirituale” ( πνευματικὶ προσευχὴ ) o “Preghiera dello Spirito Santo” che grida nel cuore in gemiti ineffabili: Abbà Padre (Gal. 4,6). È questo lo stato oltre della preghiera, cioè la deificazione ( θέωσεις ).

3) Questo movimento nato da Paїssy fu illustrato in particolare dai celebri staretz del monastero di Optina e da un libro come “I racconti di un pellegrino russo”.

  • Memoria dei martiri di Edessa Gurià, Samonà e Abibo

Illustri Martiri della città di Edessa in Siria, Guria e Shamuna lottarono per la fede durante il regno di Diocleziano, nel 288; dopo molte torture, furono gettati in prigione e poi decapitati. San Habib, un diacono, lottò al tempo di Licinio, nell’anno 316; fu arso vivo, poi sepolto con i santi Guria e Shamuna. I tre hanno una festa comune, ed è sempre insieme che vengono raffigurati in icone e invocati dai fedeli. A causa di un famoso miracolo che hanno operato, vengono invocati per chiedere aiuto nelle difficoltà coniugali. Un certo Goto era venuto con l’esercito romano a Edessa, acquartierato nella casa di una pia vedova di nome Sofia. Il Goto chiese a Sofia la mano di sua figlia, Eufemia; dopo aver resistito a lungo, Sofia alla fine diede il suo consenso. Quando fu il momento per l’esercito di tornare a casa, Sofia fece fare un voto al Goto, per il potere dei santi Martiri Shamuna, Guria e Habib, di mantenere Eufemia come la pupilla dei suoi occhi. Mentre si avvicinava a casa sua, tuttavia, l’uomo traditore rivelò a Eufemia di avere già una moglie. Eufemia fu costretta a servire la moglie del Goto, che la trattò senza pietà. Dopo sofferenze estreme, che includevano l’essere sigillata viva in una tomba e lasciata lì a morire, Eufemia fu miracolosamente trasportata a Edessa, proprio al santuario dei santi martiri che avevano invocato in garanzia, e si riunì a sua madre attraverso le loro sante preghiere.

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