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Sinassario | 13 novembre 2024

Νοέ 12, 2024 | Συναξάρι

  • Memoria del nostro Padre tra i santi GIOVANNI CRISOSTOMO, arcivescovo di Costantinopoli

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

Questo astro radioso nel firmamento dei Santi, questa colonna della Chiesa e questo dottore dell’universo, nacque nel 344 (o 354) ad Antiochia da genitori cristiani: Secondo, che era generale d’armata, e Antusa, donna ammirabile di fede e di pietà. Costei restò vedova ad appena venti anni e anziché risposarsi, preferì consacrare il resto della sua vita a Dio e all’educazione dei suoi figli. Ella insegnò a Giovanni l’amore per la castità e piantò in lui le sementi della virtù. Egli stesso dimostrò d’avere una natura ardente per la pietà e la difesa della giustizia, uno zelo intrepido ed un coraggio irremovibile. Sua madre gli donò una educazione accurata nelle lettere pagane, presso i migliori maestri, tra cui il celebre Libanio. I suoi doni per l’arte oratoria erano tali che si pensava di fare di lui un brillante avvocato, e Libanio desiderava averlo come suo successore. Ma Giovanni non si lasciò disperdere dalla vanità del mondo; battezzato all’età di diciotto anni e fatto lettore qualche tempo più tardi, egli si diresse allora verso la vera Filosofia dei Santi. Dopo il battesimo nessuno lo sentì pronunciare alcuna ingiuria, né menzogna, né maldicenza, né tantomeno cullarsi nelle beffe o la critica del suo prossimo. Egli si rivestì veramente di Cristo, ornandosi con la collana delle virtù mediante un combattimento intenso e quotidiano. Sull’esempio del suo amico Basilio, con cui condivideva il medesimo amore per Dio, abbandonò tutte le relazioni mondane per ritirarsi nella residenza di famiglia e praticarvi l’ascesi. Molto severo verso se stesso, il giovane uomo si dedicava con ardore il digiuno, alla veglia e alla preghiera, senza concedersi mai alcuna distrazione. Egli restava permanentemente solo con Dio nel silenzio, attento a respingere gli slanci della voluttà come della collera e lo fece così bene che acquisì ben presto la capacità di pregare senza distrazioni e di mantenere in ogni circostanza un intelletto impassibile e una dolcezza irremovibile. Quando più tardi egli arrivò a spingersi nei sermoni fu sempre per la correzione del suo gregge e senza giammai perdere la sovrana padronanza di se stesso. Allorché raggiunse l’età di venticinque anni, la fama della sua virtù era già molto grande e il vescovo di Antiochia volle farlo prete, ma l’umile Giovanni, spaventato dalla grandezza temibile di questa funzione, preferì la fuga e, grazie ad una santa scaltrezza, riuscì a far ordinare il suo amico Basilio al posto suo.

Alla morte di sua madre, poté realizzare il desiderio che aveva da molto tempo di rinunciare totalmente al mondo e andare a ritirarsi tra i monaci che vivevano nelle montagne dei dintorni di Antiochia. Egli visse lì sotto la direzione di un asceta siriano, nell’obbedienza, la povertà assoluta, il digiuno e la preghiera. Questi monaci si alzavano ogni giorno verso mezzanotte e pregavano insieme fino al levar del sole, poi ognuno rientrava nella sua cella per trascorrere, nel silenzio, il resto del giorno in umili lavori o la meditazione delle Sante Scritture. Essi prendevano come nutrimento un po’ di pane e del sale dopo il calar del sole, poi si intrattenevano qualche istante su argomenti spirituali, prima di prendere un leggero riposo. Dopo quattro anni di questo modo di vita, in cui si mostrò un modello per i suoi fratelli, Giovanni decise di ritirarsi da solo con Dio in una grotta. Egli poté dedicarsi lì ai combattimenti più accaniti per sottomettere la carne allo spirito. Trascorse tutto questo periodo senza mai sedersi per dormire, ma prendeva un po’ di riposo sostenendo le spalle ad una corda attaccata al soffitto. Egli trascorreva tutto il suo tempo a pregare e a meditare la Scrittura, da cui trasse una conoscenza di una profondità unica. Ma si espose a tali austerità nel digiuno e il freddo, che cadde gravemente malato di reni dopo un anno e dovette ritornare ad Antiochia. Durante questo breve periodo della sua vita monastica, Giovanni acquistò una straordinaria conoscenza delle cose divine e, malgrado la sua giovane età, cominciò a insegnare attraverso la redazione di molti trattati sulla vita spirituale.

Poco dopo il suo ritorno ad Antiochia (380), fu ordinato diacono da san Meletio (cf. 12 feb.), poi cinque anni più tardi, prete dal suo successore Flaviano (386). Egli fu ricevuto con allegria dal popolo e assunte per dodici anni la reale direzione spirituale della grande metropoli che soffriva di una deplorevole situazione ecclesiastica già da molti anni. Si racconta che al momento della sua ordinazione alcuni videro una colomba bianca posarsi sulla sua testa, e infatti, la grazia del Santo Spirito che il giorno di Pentecoste discese sugli Apostoli sotto forma di lingue di fuoco, abitò da allora in Giovanni e diede alla sua parola la potenza del Fuoco divino. La sua eloquenza era così brillante che riuniva la città intera per ciascuno dei suoi sermoni nelle differenti chiese, e scatenava un così grande entusiasmo nei suoi uditori che era spesso interrotto da un tuono di applausi. Le sue parole erano simili alle acque abbondanti di un fiume che <> (Salmo 45,5);esse penetravano profondamente nei cuori ed elevavano le anime verso Dio e l’amore per le virtù. Tra tutti i Padri, fu Giovanni che eccelse di più nell’eloquenza e fu perciò che ben presto si prese l’abitudine di chiamarlo CRISOSTOMO (<>). La sua predicazione si fondava soprattutto sulla Santa Scrittura, di cui aveva laboriosamente assaporato il miele nella solitudine: egli amava spiegare il senso letterale e mostrare l’unità del piano divino che ella rivela, applicandola sempre alla vita cristiana immediata. Egli contemplava l’abisso dei misteri divini e sondava la ricchezza dei dogmi ma sapeva mostrare che questi trovano la loro irradiazione nelle sante virtù, in particolare l’elemosina, la giustizia, l’umiltà, la penitenza e la compunzione di cuore fondata sulla fiducia nella grandezza infinita della misericordia di Dio. E perciò che è stato spesso definito: <> e << Occhio illuminato della penitenza >>. Ma non si accontentava della predicazione, egli organizzava anche la beneficenza, dirigeva le cerimonie e le preghiere, si occupava di ognuno come della sua propria anima, e arbitrava gli affari pubblici, come la distruzione delle statue dell’imperatore Teodosio dal popolo in rivolta (387), che senza l’intervento del santo, avrebbe portato a sanguinanti repressioni.

Nel 397, l’arcivescovo di Costantinopoli san Nektario (cf. 11 ott.) morì e il suo seggio vacante divenne oggetto di aspre cupidigie, in particolare da parte di Teofilo, arcivescovo d’Alessandria che, geloso dell’influenza crescente della città imperiale, voleva piazzare uno dei suoi uomini di fiducia, Isidoro. Nonostante tutto la fama di Giovanni aveva ampiamente superato i limiti della provincia d’Antiochia ed egli passava come il solo veramente degno di assumere questa carica. Sotto la pressione del primo ministro Eutropio, l’imperatore Arcadio lo designò come Arcivescovo e lo fece condurre a Costantinopoli grazie ad uno stratagemma per metterlo avanti al fatto compiuto, poiché era ben saputo che la sua umiltà non avrebbe mai accettato una tale carica. Egli fu intronizzato in febbraio 398, da Teofilo che nutriva verso di lui un profondo rancore. Divenuto così vescovo, Giovanni fece brillare con splendore il suo talento di oratore e la sua santità. Egli predicava dappertutto e senza stancarsi, riunendo folle immense che l’ascoltavano con entusiasmo. Mostrava l’amore di un padre per i suoi fedeli e parlava loro con familiarità rallegrandosi dei loro progressi nella virtù e versando lacrime quando le sue lezioni restavano senza risultati. Straniero ad una riconoscenza servile verso i grandi della corte che avevano sostenuto la sua nomina, attaccava l’eccesso del lusso, i piaceri e la pietà ipocrita dei ricchi, senza giammai accusarli per nome. Mostrava egli stesso l’esempio della povertà evangelica tagliando ogni lusso legato alla persona del vescovo. Fece vendere dei beni della diocesi e degli oggetti preziosi per distribuire il ricavato ai poveri e fece costruire ospedali ed ospizi per gli stranieri. Egli non possedeva niente di proprio e si era privato di ogni sollievo legato agli inviti o ai pranzi ufficiali: mangiava sempre da solo, giusto il necessario per sostenere il suo corpo malato e scarno e non accettava mai inviti per fuggire le conversioni mondane. Al contrario praticava largamente l’ospitalità, visitava i malati e i prigionieri, assisteva i poveri e i bisognosi. Per evitare i giochi e gli spettacoli corruttori delle anime egli organizzava processioni e salmodie che risuonavano nella città al mattino e perfino nella notte. Venivano infatti celebrate spesso delle veglie per coloro che, lavorando di giorno, potevano andare a pregare nella calma della notte. Giovanni esortava ognuno ad interrompere il suo sonno per consacrare un po’ di tempo alla preghiera. Fu allora che compose le preghiere della santa Liturgia che celebriamo ai giorni nostri. Mentre celebrava, egli vedeva sovente scendere dal cielo una moltitudine di angeli che circondavano l’altare. Malgrado tutti i suoi impegni pastorali, la sua prima occupazione restava la contemplazione e la meditazione della santa Scrittura: egli ne era talmente assorbito che spesso dimenticava di mangiare e dormire. Una notte, il discepolo che lo serviva, guardò in segreto nella sua cella e vide che san Paolo in persona era a fianco a lui e gli dettava il commento delle sue <>. Lo zelo di Giovanni per la virtù si estendeva a tutto il suo circondario e si impegnava a raddrizzare le abitudini del clero e fare scomunicare taluni vescovi simoniaci [2]. Egli mostrava grande predisposizione per le missioni e l’estensione del Vangelo presso i barbari in particolare ai Goti e cui diede una chiesa a Costantinopoli.

Tutta questa attività e decisione a riformare le abitudini attirarono ben presto numerose ostilità al santo vescovo. Da parte di alcuni nobili devoti e vescovi mondani, che cercarono tutti i pretesti per calunniarlo. Teofilo d’Alessandria approfittò di questo rumore e della protezione che Giovanni aveva accordato ad alcuni monaci origenisti che erano fuggiti da Nitria, per accusarlo e tentare di farlo deporre da un concilio composto solo dai suoi partigiani (Concilio di Chene, 403). Anziché rispondere alle accuse fortemente menzognere e agli intrighi di corte, Giovanni preferì imitare il Cristo, suo maestro, che manteneva il silenzio avanti ai suoi accusatori e si offrì alla passione come agnello al suo macellaio. Egli si lasciò condannare e deporre e, benché il popolo fosse pronto a sollevarsi per difendere il suo amato pastore, si offrì personalmente ai soldati che lo condussero in esilio in Bitinia. Ma subito dopo la partenza del santo, un terremoto si scatenò sulla capitale, seguito da altre catastrofi che fecero comprendere il suo errore all’imperatrice Eudocia e le fecero richiamare Giovanni tra l’entusiasmo popolare.

Di ritorno sul suo seggio, Giovanni non era comunque disposto a fare compromessi: egli mantenne un buon rapporto con l’imperatrice solo qualche mese, finché questa non fece inaugurare una statua in suo onore in mezzo a festa e manifestazioni tumultuose che turbarono gli uffici della chiesa e scatenarono il biasimo di san Giovanni. Gli intriganti approfittarono di questo allontanamento del favore imperiale per passare ancora una volta all’attacco. Teofilo ed i suoi riuscirono a convincere l’imperatore a non assistere alle cerimonie di Pasqua presiedute da Giovanni (404), col pretesto dell’illegalità della sua posizione. Arcadio fece cacciare il vescovo dalla sua chiesa e diede ordine di allontanare il clero restato fedele al santo insieme ai fedeli dalle chiese, nel momento stesso in cui si celebravano i Battesimi, il Sabato santo, tanto che il sangue colò fin nelle piscine battesimali. Le turbe si prolungarono anche nei giorni che seguirono la Pasqua e Giovanni rimase prigioniero nel suo palazzo, strettamente sorvegliato dai soldati. Finalmente qualche giorno dopo Pentecoste, malgrado i timori di Eudocia di vedere rinnovare le catastrofi della sua precedente partenza, l’imperatore si decise ad ordinare l’esilio di Giovanni. Egli si presentò sua sponte, ma il popolo ammassato attorno a Santa Sofia si agitava, scoppiarono ei tumulti e si accese un gran incendio che distrusse gran parte della cattedrale e del palazzo del senato. Non si mancò di accusare i partigiani del santo e di utilizzare questo pretesto per perseguitarli con odio. Durante questo periodo, Giovanni subì tutti i rigori di un aspro esilio. Prima condotto a Nicea, fu trasportato persino nel Caucaso (piccola Armenia), dove soffrì i rigori del clima, la carestia, le incursioni dei barbari, l’isolamento. Ma arroccato nel suo coraggio e nella sua speranza, il santo non cessava di confortare attraverso una abbondante corrispondenza coloro che soffrivano l’esilio e le persecuzioni a causa sua. La sua situazione risvegliò l’interesse del Papa di Roma, Innocenzo, che tentò di sostenerlo, ma senza successo. Poiché la sua sola presenza era per i suoi nemici una condanna, essi cercarono di farlo trasferire in un luogo ancora più inospitale, sui bordi del Mar nero, ai piedi del Caucaso. Senza alcun riguardo per la sua età e le sue infermità, si costrinse il santo vescovo a camminare in aspri cammini per lungo tempo. Dopo tre messi essi raggiunsero la città di Comana, nel Ponto, e si fermarono presso una cappella dedicata al martire locale, Basilisco. Durante la notte, mentre Giovanni pregava, malgrado la sua estrema stanchezza, il santo gli apparve dicendo:<< Buon coraggio, fratello mio Giovanni, domani noi saremo insieme >>. Al mattino egli chiese dei vestimenti bianchi, comunicò ai santi Misteri e rese a Dio la sua anima dicendo:<< Grazie a Dio per ogni cosa! >> (14 sett. 407).

La chiesa di Costantinopoli soffrì ancora per molti anni lo scisma: i discepoli di Giovanni non riconoscevano i suoi sostituti installati dall’imperatore. Una volta ritornata la pace e riconosciuta unanimemente la santità di Giovanni, vennero ricondotte le sue sante reliquie nella capitale (438) [3].

Note:

1) La sua dormizione ha avuto luogo il 14 settembre, il giorno della festa dell’Esaltazione della santa Croce. La sua celebrazione è stata spostata ad oggi per poterlo celebrare più solennemente.

2) Cioè che avevano ottenuto la loro carica con soldi.

3) Traslazione commemorata il 27 gennaio.

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