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Sinassario | 13 febbraio 2024

Φεβ 12, 2024 | Συναξάρι

  • Memoria dei santi Martiniano, Zoe e Fotinì

Vicariato Arcivescovile della Campania- Chiesa dei SS. Pietro e Paolo – Napoli

San Martiniano, di Cesarea di Palestina, visse a cavallo tra quarto e quinto secolo. Portò avanti la sua lotta spirituale nel deserto fin dalla giovane età. Dopo aver passato venticinque anni di vita ascetica, il diavolo provò a tentarlo attraverso una prostituta, di nome Zoe: costei, avendo avuto notizia della grande reputazione di uomo virtuoso di cui il Santo godeva, decise di metterlo alla prova. Arrivata alla sua cella in una notte di pioggia, disse di aver perso la strada e pregò San Martiniano di lasciarla entrare per trattenersi per quella notte, anche per paura degli animali notturni. Mosso da compassione, le permise di entrare. Quando dopo un po’ provò a sedurlo, e il fuoco del desiderio cominciò a bruciare nel suo cuore, il Santo accese un fuoco e si buttò dentro, bruciando il suo corpo, ma salvando la sua anima dal fuoco della geenna. La donna, ritornata in sé, si pentì e, seguendo il suo consiglio, andò a Betlemme da una giovane vergine chiamata Paola (memoria il 26 giugno), presso la quale visse in digiuno e preghiera per dodici anni. Prima della sua morte, fu considerata degna di un carisma taumaturgico. Quando San Martiniano guarì dalle ustioni, prese la decisione di recarsi in un luogo ancora più inaccessibile, scegliendo un’isola rocciosa disabitata. Un marinaio di tanto in tanto gli portava delle provviste e il Santo gli regalava in cambio cestini da lui stesso intrecciati. Ad un certo punto una giovane di nome Fotinì arrivò sull’isola, vittima di un naufragio. San Martiniano la aiutò e le disse di rimanere sull’isola, dove erano conservate provviste di pane e acqua dolce, e che entro due mesi sarebbe state rimpiazzate da una nave che arrivava con regolarità. Lui invece si tuffò e nuotò via dall’isola. Delfini lo aiutarono a raggiungere la terraferma. Passò gli ultimi anni di vita in vagabondaggio, arrivando un giorno ad Atene, dove cadde malato. Sentendo sopravvenire la morte, si recò in una chiesa, dove si addormentò nel Signore adagiandosi sul pavimento. Dio rivelò al vescovo di Atene chi fosse quell’uomo, così che San Martiniano ricevette una sepoltura con ogni onore, intorno all’anno 422.

  • Memoria del santo apostolo Aquila, ebreo per nascita e fabbricante di tende a Roma e la sua sposa Santa Priscilla discepoli di San Paolo e martiri entrambi probabilmente a Efeso

Tratto dal quotidiano Avvenire
Aquila e Priscilla erano due coniugi giudeo – cristiani, molto cari all’apostolo Paolo per la loro fervente e molteplice collaborazione alla causa del Vangelo. Aquila, giudeo originario del Ponto, trasferitosi in tempo imprecisato a Roma, sposò Priscilla (o Prisca). L’apostolo intuì subito le buone qualità dei due coniugi, quando chiese di essere ospitato nella loro casa a Corinto. I due lo seguirono anche in Siria, fino ad Efeso. Qui istruirono nella catechesi cristiana Apollo, l’eloquente giudeo – alessandrino, versatissimo nelle Scritture, ma ignaro di qualche punto essenziale della nuova dottrina cristiana, come il battesimo di Gesù. Aquila e Priscilla fecero in modo di battezzarlo prima che partisse per Corinto. Niente si può asserire con certezza sul tempo, luogo e genere di morte di Aquila e Priscilla, dato che le uniche fonti su di essi sono citazioni bibliche. Alcuni identificano Priscilla con la vergine e martire romana Prisca e Aquila con qualcuno della gens Acilia, collegata con le Catacombe, perciò i due sarebbero martiri per decapitazione.

  • Memoria del venerabile SIMEONE il MIROVLITA, fondatore del Sacro Monastero di Chilandari

a cura della Chiesa Greco-Ortodossa di San Paolo Apostolo dei Greci, Reggio di Calabria

San Stefano di Nemania nacque nel 1114, nella provincia di Zeta, attuale Montenegro, che si trovava allora sotto dipendenza latina. Appena i suoi genitori poterono riguadagnare la Serbia, gli fecero conferire il Battesimo della Chiesa Ortodossa e lo crebbero nell’amore della vera fede e delle sante virtù. Suo padre gli affidò ben presto il governo di una provincia e, grazie alle sue grandi capacità di governare e all’affetto che il popolo gli portava, divenne in seguito il Grande-principe di tutta la Serbia (1165) che egli era riuscito ad unificare in un solo regno. Egli fu così il fondatore della dinastia Nemanide che andava a regnare sul popolo serbo per ben 200 anni (1172 – 1371) e che donò alla Chiesa un gran numero di santi [1].
Nel corso del suo regno dovette affrontare i fratelli rivali e subì la prigionia a causa dell’Ortodossia. Ma grazie alla sua grande fede e all’assistenza visibile del Megalomartire Giorgio, poté riportare la vittoria sui suoi nemici. Egli riunì allora un sinodo per sbarazzare il paese dalla infame eresia dei bogomili. Con l’aiuto della sua sposa, Anna, fece costruire numerose chiese e monasteri e fece ricche donazioni ai grandi santuari del mondo cristiano. Allorché ebbe affermato l’indipendenza del suo Stato rispetto a Bisanzio e assicurato la buona organizzazione della Chiesa, egli seguì l’esempio di suo figlio Rastko-Saba e ricevette l’abito monastico al Monastero di Stoudenitsa (1199), sotto il nome di Simeone, mentre la sua sposasi ritirò in convento rendendo il nome di Anastasia. Dopo due anni, egli andò a raggiungere suo figlio sulla Santa Montagna, al Monastero di Vatopedi, e divenne suo umile discepolo, imitando per quanto la sua età glielo permettesse, lo zelo di Saba per la preghiera. Essi contribuirono ambedue all’abbellimento del monastero poi, dopo aver acquistato le rovine di Chilandari, fondarono questo bello e grande monastero che doveva restare la culla della cultura serba. Solo otto mesi dopo la loro installazione a Chilandari, Simeone cadde malato. Egli chiamò suo figlio Saba, gli fece dei toccanti addii, e gli chiese di rivestirlo dei suoi vestimenti funerari, di stendere al suolo il suo corpo sulla cenere poggiando la sua testa su una pietra. Egli convocò allora tutti i monaci, chiese loro perdono e, con gli occhi fissati su una icona della Madre di Dio rimise la sua anima a Dio dicendo:<< Che tutto ciò che respira lodi il Signore! >> (Salmo 148). Era il 13 febbraio 1200.
Poco tempo dopo il suo corpo iniziò a liberare un balsamo miracoloso che compì una quantità di miracoli. Le sue reliquie furono ricondotte in Serbia da san Saba e contribuirono alla riconciliazione dei suoi due altri fratelli: Stefano e Vukan. Allorché il principe Stefano volle rinnegare l’Ortodossia per motivi politici (1216), il balsamo miracoloso cessò di colare, ma dopo l’invio di una lettera di Saba indirizzata a suo padre, che venne letta sulla tomba, il santo mostrò di nuovo il suo favore e la sua protezione per il popolo.
Dalla tomba vuota di san Simeone, che era restata a Chilandari, crebbe miracolosamente una vite i cui grani d’uva disseccati vengono distribuiti ancora oggi nel mondo intero per la benedizione delle coppie rimaste senza figli.

Per le preghiere del Tuo Santo, Signore Gesù Cristo, abbi pietà di noi.
Amen.

Note:

1) Oltre san Stefano – Simeone, la sua sposa, suo figlio Saba (+ 14 genn.), l’altro figlio e successore Stefano II il Primo Incoronato che divenne monaco ed è onorato come santo (+ 24 sett.). Il figlio di quest’ultimo, Stefano III divenne anche lui monaco .

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